Farmacovigilanza
Comunicato stampa dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) in merito al rischio di epatotossicità grave correlato all’uso di agomelatina (Valdoxan®/Thymanax®).
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Agomelatina è un agonista melatoninergico (recettori MT1 e MT2) e antagonista dei recettori 5-HT2C, autorizzato per il trattamento degli episodi di depressione maggiore nei pazienti adulti; il suo meccanismo d’azione, diverso dagli altri antidepressivi, gli conferisce la capacità di migliorare non solo l’umore, ma anche i cicli del sonno e dell’appetito. Il farmaco è stato, infatti, utilizzato anche per il trattamento della Sindrome da Alimentazione Notturna (Night Eating Syndrome –NES), così come riportato in un case report del 2013 [1].
Nel 2009, l’EMA ha concesso l’Autorizzazione all’Immissione in Commercio (AIC) per l’agomelatina, raccomandando di effettuare test di funzionalità epatica (liver function tests – LFTs) prima e durante il trattamento con il farmaco, nello specifico, dopo 3 e 6 settimane (fine della fase acuta) e dopo 12 e 24 settimane (fine della fase di mantenimento) dall’inizio del trattamento [2].
Al fine di verificare l’effettiva incidenza di epatotossicità correlata al farmaco, Gahr e collaboratori hanno condotto un’analisi delle segnalazioni di epatotossicità presenti nel database dell’Agenzia Regolatoria tedesca (German Medical Regulatory Body – BfArM). Complessivamente, sono stati identificati 58 casi di epatotossicità in pazienti (69% donne, età > 50 anni, 57% in trattamento con più farmaci, 58,5% con fattori di rischio cardiovascolare) in trattamento con agomelatina; nello specifico, il 79% dei pazienti ha presentato incrementi asintomatici degli enzimi epatici e il 10% epatite tossica. Nella maggior parte dei casi, le reazioni sono migliorate o scomparse alla sospensione del trattamento. Tali risultati hanno evidenziato la forte correlazione tra assunzione di agomelatina e comparsa di epatotossicità grave, e, in particolare, hanno mostrato come la presenza di fattori di rischio (età, sesso femminile, terapie farmacologiche combinate) possa determinare un aumento dell’incidenza di comparsa di tale reazione avversa [3]. Inoltre, così come riportato nella nota informativa AIFA, da una revisione di studi clinici è stato riscontrato un notevole incremento delle transaminasi (> 3 volte il limite superiore del valore normale) in pazienti trattati con agomelatina, soprattutto alla dose di 50 mg (il 2,5% rispetto al 1,4% di quelli trattati con 25 mg).
Alla luce di quanto riportato e, dato il mancato monitoraggio della funzionalità epatica e dei fattori di rischio per danno epatico prima e durante il trattamento con agomelatina, l’EMA ha concluso che i benefici di agomelatina superano i rischi solo se saranno introdotte ulteriori misure atte a garantire la sicurezza del paziente. Pertanto, il Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto (RCP) sarà aggiornato con le informazioni relative alla controindicazione del medicinale in pazienti con rischio di danno epatico (valori di transaminasi > 3 volte il valore normale) o affetti da compromissione della funzionalità epatica (con cirrosi o epatopatia in atto).
Si raccomanda, inoltre, agli operatori sanitari di non somministrare il farmaco a pazienti anziani di età ≥ 75 anni, data la mancanza di un’efficacia significativa provata in questa fascia d’età, e di ripetere i test di funzionalità epatica qualora il paziente presenti un aumento delle transaminasi sieriche, nel caso in cui venga aumentato il dosaggio di agomelatina o quando clinicamente indicato.
Siti di riferimento
www.agenziafarmaco.gov.it/
www.ema.europa.eu/
Bibliografia
1. Milano W et al., Agomelatine efficacy in the night eating syndrome. Case Rep Med. 2013; 2013:867650.
2. Sinnott C et al., Agomelatine: clinical experience and adherence to EMA recommendations for a novel antidepressant. Ir Med J. 2013; 106:52-4.
3. Gahr M et al., Agomelatine and hepatotoxicity: implications of cumulated data derived from spontaneous reports of adverse drug reactions. Pharmacopsychiatry. 2013; 46: 214-20.
Nota informativa importante concordata con l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA).
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Le formulazioni orali e suppositorie dei SABA, in particolare ritodrina (Miolene®) e isossisuprina (Vasosuprina®), non devono essere utilizzate in alcuna indicazione ostetrica; inoltre l’uso parenterale deve essere limitato al massimo a 48 ore e consentito solo con la supervisione dello specialista per le indicazioni: inibizione del parto pretermine tra la 22a e 37a settimana di gestazione. Si specifica, inoltre, che le formulazioni parenterali dei SABA non devono essere somministrate in pazienti con storia pregressa di malattia cardiaca, in quanto sono associate alla comparsa e all’aggravamento di eventi avversi cardiovascolari sia per la madre che per il nascituro.
Sono farmaci che agiscono sui recettori β2-adrenergici dell’utero e determinano inibizione della contrazione della muscolatura liscia del miometrio mediante attivazione dell’adenilciclasi e conseguente aumento della concentrazione intracellulare di adenosin monofosfato ciclico (AMPc). Nella classe dei β-agonisti, quelli maggiormente usati come tocolitici sono ritodrina, isossisuprina e terbutalina, che, ampiamente studiati nel corso di una meta-analisi, si sono dimostrati efficaci nel prolungare la gravidanza di 2-7 giorni, senza però ridurre il rischio di mortalità perinatale. Nel corso di questa meta-analisi, le reazioni avverse presentatesi a carico della madre sono risultate gravi, come nel caso di aritmie cardiache ed edema polmonare (1).
In generale, le reazioni avverse maggiormente associate all’assunzione di β2-agonisti a breve durata d’azione includono tachicardia, sudorazione, tremori, nausea e mal di testa nelle, prime ore successive all’assunzione, e alterazioni delle concentrazioni di potassio e glucosio. Tali effetti tendono a ridursi in seguito ad esposizioni ripetute al farmaco; i casi di aritmia risultano maggiormente frequenti se presente ipossemia. È stata, inoltre, riscontrata un’aumentata incidenza di reazioni cardiovascolari gravi quali morte cardiovascolare, ischemia ed insufficienza cardiaca, a seguito dell’assunzione delle formulazioni orali di β2-agonisti, che hanno incluso (2).
A causa della comparsa di reazioni cardiovascolari gravi in ostetricia, il Comitato per la Valutazione dei rischi in Farmacovigilanza (PRAC) presso l'EMA ha rivalutato il rapporto rischio/beneficio di tutti i SABA nelle indicazioni ostetriche e ha concluso che i β2-agonisti a breve durata d’azione, per uso orale e suppositori sono associati ad eventi avversi gravi e dose-dipendenti, soprattutto cardiovascolari, osservati sia nella madre che nel feto. Non ci sono sufficienti evidenze a supporto dell'uso dei beta-agonisti orali nella prevenzione del parto pretermine nelle donne ad alto rischio. In studi randomizzati e controllati non è stato osservato alcun effetto statisticamente significativo della tocolisi su mortalità o morbilità perinatale.
Dato che i vantaggi dei SABA orali e suppositori nelle indicazioni ostetriche non superano i rischi, i suddetti farmaci non devono più essere utilizzati e pertanto, le indicazioni ostetriche saranno rimosse da tutte le formulazioni orali o suppositorie dei SABA. Pertanto riguarda le formulazioni parenterali dei β2-agonisti a breve durata sono ritenute efficaci nella rapida distensione dell'utero;le donne con maggiore probabilità di trarre beneficio dall'uso di farmaci tocolitici sono quelle con una minaccia di parto pretermine molto precoce. Il tempo ottenuto nel ritardo del parto pretermine può essere utilizzato per mettere in atto altre misure note per migliorare la salute perinatale (3). Anche in questo caso il PRAC ha concluso che i benefici delle formulazioni parenterali dei SABA superano i rischi nelle indicazioni ostetriche della tocolisi nel breve termine, in particolare quando vengono assunti per periodi di tempo > 48 ore per le pazienti tra la 22a e la 37a settimana di gestazione e con la supervisione di uno specialista.
Il PRAC ha quindi raccomandato, per ridurre al minimo il rischio di eventi avversi cardiovascolari nella madre e nel feto, che l'uso nella tocolisi richiede un adeguato screenig pre-trattamento e un monitoraggio della paziente al fine di individuare l'insorgenza precoce di eventi cardiovascolari e minimizzare ulteriormente il rischio di un evento cardiovascolare grave. I SABA non devono inoltre essere utilizzati nelle donne con una storia di malattia cardiaca o nelle condizioni in cui il prolungamento della gravidanza è pericoloso per la madre o per il feto.
Siti di riferimento:
http://www.agenziafarmaco.gov.it/
http://www.ema.europa.eu/ema/
Bibliografia
1. Ekkehard Schleußner et al., The Prevention, Diagnosis and Treatment of Premature Labor Dtsch Arztebl Int. 2013; 110: 227–236.
2. Abramson MJet al. Adverse effects of β-agonists: are they clinically relevant? Am J Respir Med. 2003;2:287-97.
3. McParland PC. Obstetric management of moderate and late preterm labour. Seminars in Fetal and Neonatal Medicine 2012; 17:138-142
Comunicato stampa dell'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) in merito alla restrizione d’uso, emanata dal Pharmacovigilance Risk Assessment Committee (PRAC), dei β-agonisti a breve durata d’azione per le indicazioni ostetriche. Leggi archivio>>
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I suddetti farmaci agiscono sui recettori β2-adrenergici dell’utero e determinano inibizione della contrazione della muscolatura liscia del miometrio mediante attivazione dell’adenilciclasi e conseguente aumento della concentrazione intracellulare di adenosin monofosfato ciclico (AMPc). I β-agonisti a breve durata d’azione sono stati autorizzati con procedure nazionali in diversi Stati membri dell’Unione Europea; in particolare, quelli oggetto della rivalutazione europea sono fenoterolo, exoprenalina, isossisuprina, ritodrina, salbutamolo e terbutalina, autorizzati per il trattamento tocolitico e disponibili sul mercato nelle formulazioni a compresse, soluzione orale, soluzione per iniezione o infusione e suppositori.
Tra i β-agonisti, quelli maggiormente usati come tocolitici sono la ritodrina e la terbutalina, che, ampiamente studiati nel corso di una meta-analisi di studi clinici presenti nel database Cochrane, si sono dimostrati efficaci nel prolungare la gravidanza di 2-7 giorni, senza però ridurre il rischio di mortalità perinatale. Nel corso di questa meta-analisi, le reazioni avverse presentatesi a carico della madre sono risultate gravi, come nel caso di aritmie cardiache ed edema polmonare [1].
In generale, le reazioni avverse maggiormente associate all’assunzione di β-agonisti a breve durata d’azione includono tachicardia, sudorazione, tremori, nausea e mal di testa nelle prime ore successive all’assunzione, ed alterazioni delle concentrazioni di potassio e glucosio. Tali effetti tendono a ridursi in seguito ad esposizioni ripetute al farmaco. I casi di aritmia risultano maggiormente frequenti se presenti comorbidità ed ipossemia. Variazioni genetiche dei recettori β-adrenergici hanno condotto, inoltre, alla comparsa di reazioni avverse a carico della funzionalità respiratoria, inclusi 2 casi di morte per asma da assunzione di isoproterenolo e fenoterolo [2]. È stata, inoltre, riscontrata un’aumentata comparsa di gravi reazioni cardiovascolari, conseguenti all’assunzione delle formulazioni orali di β-agonisti, che hanno incluso morte cardiovascolare, ischemia ed insufficienza cardiaca [3].
La comparsa di tali reazioni ha indotto l’Agenzia dei Medicinali ungherese a richiedere al PRAC una rivalutazione dei β-agonisti a breve durata d’azione. Il PRAC, dopo un’attenta analisi dei dati provenienti da studi clinici, segnalazioni post-marketing e letteratura, ha concluso che vi è un notevole rischio di eventi avversi gravi cardiovascolari, sia per la madre che per il nascituro, in particolare quando i suddetti farmaci vengono assunti per periodi di tempo > 48 ore. Pertanto, le formulazioni orali e suppositorie dei β-agonisti non saranno più utilizzate per il trattamento tocolitico; al tempo stesso, il PRAC ha concluso che i benefici delle formulazioni iniettabili superano i rischi cardiovascolari e che, dunque, possono essere utilizzati per bloccare il parto prematuro tra la 22a e 37a settimana, per non più di 48 ore, sotto supervisione di uno specialista con il monitoraggio continuo della madre e del nascituro.
Le raccomandazioni del PRAC saranno trasmesse e valutate dal Coordination Group for Mutual Recognition and Decentralised Procedures – Human (CMDh), che, nel corso della riunione del 16-18 settembre 2013, adotterà una posizione finale.
Siti di riferimento:
http://www.agenziafarmaco.gov.it/
http://www.ema.europa.eu/ema/
Bibliografia
1. Ekkehard Schleußner et al., The Prevention, Diagnosis and Treatment of Premature Labor Dtsch Arztebl Int. 2013; 110(13): 227–236.
2. Malcolm R. Sears et al. “Adverse effects of β-agonists”. J Allergy Clin Immunol 2002;110:S322-8.
3. Abramson MJet al. Adverse effects of β-agonists: are they clinically relevant? Am J Respir Med. 2003;2:287-97.
Nota informativa importante dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) sui fattori di rischio di sanguinamento relativi all’uso dei nuovi anticoagulanti orali Eliquis®, Pradaxa® e Xarelto ®.
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Dal 1940 al 2010, il warfarin è stato l’unico anticoagulante orale presente sul mercato utilizzato per la prevenzione e il trattamento degli eventi tromboembolici.
Eliquis® (apixaban), Pradaxa® (dabigatran etexilato) e Xarelto® (rivaroxaban) sono anticoagulanti
orali che hanno recentemente ricevuto l’autorizzazione per le indicazioni per le quali vengono attualmente utilizzati gli antagonisti della vitamina K (warfarin, fenprocumone e acenocumarolo) o le eparine a basso peso molecolare (EBPM). A differenza degli antagonisti della vitamina K, questi nuovi farmaci non richiedono il monitoraggio di routine dell’attività anticoagulante.
In particolare, nel 2010, la Food and Drug Administration (FDA) ha approvato dabigatran, principio attivo di Pradaxa®. Dabigratan è un potente inibitore diretto, competitivo, selettivo e reversibile della trombina; questo farmaco è in grado di legare la trombina sia nella sua forma libera sia nella forma legata alla fibrina, prevenendo la formazione di trombi.
Nel 2011, è stato approvato rivaroxaban, principio attivo di Xarelto®, inibitore diretto ed altamente selettivo del fattore Xa. L’inibizione del Fattore Xa interrompe le vie intrinseca ed estrinseca della cascata della coagulazione e inibisce sia la formazione di trombina, sia lo sviluppo di trombi. Infine, nel dicembre 2012 è stato approvato l’apixaban, principio attivo di Eliquis®, inibitore reversibile, diretto ed altamente selettivo del sito attivo del fattore Xa libero e legato al coagulo. Apixaban non ha bisogno dell'antitrombina III per esercitare l'attività antitrombotica, in quanto inibisce indirettamente l'aggregazione piastrinica indotta dalla trombina. Con l'inibizione del fattore Xa, apixaban previene la generazione della trombina e così lo sviluppo del trombo.
Tre grandi trials clinici randomizzati, ARISTOTLE (Apixaban for Reduction of Stroke and Other Thromboembolic Events in Atrial Fibrillation), RE-LY (Randomized Evaluation of Long-Term Anticoagulation Therapy) e ROCKET AF (Rivaroxaban Once Daily Oral Direct Factor Xa Inhibition Compared With Vitamin K Antagonism for Prevention of Stroke and Embolism Trial in Atrial Fibrillation) hanno dimostrato la non inferiorità di questi nuovi anticoagulanti in termini di efficacia e sicurezza, rispetto al warfarin, nella prevenzione dello stroke e dell’embolia sistemica in pazienti con fibrillazione atriale. Inoltre, dai dati ottenuti da questi studi, è stato possibile osservare che l’incidenza di emorragia intracranica è significativamente ridotta con l’impiego dei nuovi anticoagulanti ma, comunque, il rischio di sanguinamento gastrointestinale o di sanguinamenti minori, epistassi ed ematuria, è possibile.
Dall’esperienza post-marketing è stato dimostrato, inoltre, che gli eventi di sanguinamento maggiore, inclusi eventi fatali, non sono limitati al solo uso degli antagonisti della vitamina K/EBPM ma sono rischi significativi anche per i nuovi anticoagulanti orali. Le segnalazioni post-marketing hanno anche evidenziato che non tutti i medici prescrittori sono sufficientemente informati delle caratteristiche di questi farmaci per quanto riguarda la gestione dei rischi di sanguinamento; pertanto, risulta necessario che i medici tengano presente il rischio individuale di sanguinamento di ogni paziente e che si attenegano alla posologia, alle controindicazioni, alle avvertenze speciali e alle precauzioni di impiego di questi prodotti. Le controindicazioni comuni ai tre anticoagulanti orali sono: sanguinamento attivo clinicamente significativo; lesioni o condizioni che comportano un rischio significativo di sanguinamento maggiore come ulcera gastrointestinale in corso o recente, presenza di neoplasie maligne ad alto rischio di sanguinamento, recente lesione cerebrale o spinale, recente intervento chirurgico cerebrale, spinale o oftalmico, recente emorragia intracranica, varici esofagee accertate o sospette, malformazioni arterovenose, aneurismi vascolari o anomalie vascolari maggiori intraspinali o intracerebrali; trattamento concomitante con ogni altro anticoagulante.
Per ridurre il rischio di sanguinamento è fondamentale prestare attenzione alla posologia e alle avvertenze speciali effettuando, anche, un’attenta valutazione del rapporto rischio-beneficio in pazienti con lesioni o in trattamento con farmaci che possano aumentarne il rischio. Inoltre, è d’uopo controllare la funzionalità renale, in quanto, la compromissione di tale organo costituisce una controindicazione all’ uso dei farmaci in questione ed è necessario fare riferimento agli RCP (Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto) dei tre medicinali poiché presentano raccomandazioni differenti e ad oggi non sono presenti antidoti specifici.
Siti di riferimento:
http://www.ema.europa.eu
http://www.ema.europa.eu/docs/it_IT/document_library/EPAR__Product_Information/human/000829/WC500041059.pdf
http://www.ema.europa.eu/docs/it_IT/document_library/EPAR__Product_Information/human/000944/WC500057108.pdf
http://ec.europa.eu/health/documents/communityregister/2012/20121119124682/anx_124682_it.pdf
Bibliografia
Budovich A, Zargarova O, Nogid A. Role of apixaban (eliquis) in the treatment and prevention of thromboembolic disease. P T. 2013 Apr;38(4):206-31.
Comunicato stampa dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA): l’indagine sulle terapie per il diabete a base di GLP-1 è conclusa.
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In data 25/07/2013, l’EMA ha concluso la revisione sulle terapie per il diabete mellito di tipo II a base di agonisti del recettore del peptide-1-glucagone-simile (GLP-1) e ha stabilito che i dati ad oggi disponibili non confermano l’aumento del rischio di eventi avversi pancreatici a seguito della terapia con farmaci incretino-mimetici, quali GLP-1 e inibitori della dipeptidil peptidasi-4 (DPP-4), entrambi utilizzati per la terapia del diabete mellito di tipo II.
Sono tre le classi di sostanze che hanno un effetto incretinomimetico: ormoni naturali simil-GLP-1 (exendin-4), analoghi sintetici del GLP-1 e inibitori dell’enzima DPP-4. Il GLP-1 è un ormone di 30-31 amminoacidi prodotto dalle cellule L dell’ileo e del colon che stimola la produzione di insulina da parte delle cellule beta-pancreatiche, diminuisce il rilascio di glucagone da parte delle cellule alfa-pancreatiche e rallenta la motilità e lo svuotamento gastrico [1]. Il primo agonista sintetico, derivato dall’agonista naturale exentin-4, è stato l’exenatide, approvato dalla Food and Drug Administration nel 2005. L’exenatide, un agonista del recettore del GLP-1, promuove la secrezione di insulina in maniera glucosio-dipendente, inibisce la secrezione di glucagone e riduce l'assunzione di cibo in quanto rallenta lo svuotamento gastrico [2]. Un approccio differente rispetto agli analoghi del GLP-1 è quello che si basa sull’impiego di farmaci inibitori dell’enzima DPP-4 che hanno lo scopo di potenziare l’azione del GLP-1 endogeno. L’inibizione dell’attività della DPP-4 determina, infatti, un aumento delle concentrazioni circolanti di quest’ormone con conseguente stimolazione della secrezione insulinica, inibizione della secrezione del glucagone e rallentamento dello svuotamento gastrico [3]. Alcuni studi precedenti avevano evidenziato la possibilità che le terapie con analoghi del GLP-1 o inibitori della DPP-4, potessero aumentare il rischio di pancreatite acuta e tale evento avverso era già stato inserito in scheda tecnica in quanto alcuni casi rari di pancreatite acuta si erano già verificati durante gli studi pre-marketing [4].
La revisione di questa classe di farmaci è stata avviata dall’EMA in seguito alla pubblicazione di uno studio condotto da un gruppo di ricercatori indipendenti che si basano sull’esame di un piccolo numero di campioni di tessuto pancreatico ottenuti da donatori con o senza diabete mellito di tipo II, morti per cause diverse dal diabete ed in particolare reazioni avverse a livello pancreatico. Tale studio dimostrava un aumento del rischio di pancreatite e metaplasie del dotto pancreatico in pazienti con diabete di tipo II trattati con terapie a base di GLP-1. Il Comitato per i Medicinali per Uso Umano (CHMP) dell’EMA, in seguito alla revisione della pubblicazione e alla consultazione di un gruppo di esperti, ha ritenuto che lo studio avesse delle limitazioni metodologiche, soprattutto differenze tra gruppi studiati per quanto riguarda sesso, età, durata della malattia e trattamenti, ovvero, fattori che non consentono una corretta interpretazione dei risultati. Pertanto, il CHMP non ha ritenuto che vi siano stati cambiamenti significativi sulla comparsa di reazioni avverse a carico del pancreas, associati all’uso di terapie a base di GLP-1. Nonostante recenti evidenze di casi di pancreatite, questi farmaci presentano già avvertenze nelle rispettive schede tecniche che, secondo il CHMP, dovranno essere armonizzate per tutte le terapie a base di GLP-1, in modo da fornire le opportune informazioni a pazienti ed operatori sanitari.
Oltre a studi previsti ed in corso, a monitorare gli eventi avversi delle terapie a base di GLP-1 partecipano anche i titolari delle autorizzazioni all’immissione in commercio per questi farmaci, che comunicano periodicamente i risultati all’EMA per la valutazione dei rischi associati a questi farmaci, inclusa l’insorgenza di pancreatite e cancro al pancreas. I titolari dell’autorizzazione, dovranno quindi aggiornare i piani di gestione del rischio per questi farmaci.
Infine, due grandi studi indipendenti sono in corso a partire dal 2011 con lo scopo di studiare il profilo di rischio dei trattamenti per il diabete in generale e più specificamente il profilo di rischio in relazione al pancreas. I primi risultati di questi studi sono attesi per la primavera del 2014; intanto l'EMA continuerà a seguire da vicino e valutare tutte le informazioni che si renderanno disponibili su questi medicinali per garantire che il loro profilo beneficio-rischio rimanga positivo.
Siti di riferimento
http://www.agenziafarmaco.gov.it/it
http://www.ema.europa.eu
Bibliografia
1) Drucker DJ: Enhancing incretin action for the treatment of type 2 diabetes. Diabetes Care 26, 2929-2940, 2003.
2) Macconell L, Pencek R, Li Y, Maggs D, Porter L. Exenatide once weekly: sustained improvement in glycemic control and cardiometabolic measures through 3 years. Diabetes Metab Syndr Obes. 2013;6:31-41.
3) Singh S, Chang HY, Richards TM, Weiner JP, Clark JM, Segal JB. Glucagonlike
4) Peptide 1-Based Therapies and Risk of Hospitalization for Acute Pancreatitis in Type 2 Diabetes Mellitus: A Population-Based Matched Case-Control Study. JAMA Intern Med. 2013 25:1-6.
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