Farmacovigilanza
Comunicazione dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) circa i risultati di uno studio caso controllo svolto presso il Karolinska Institutet, secondo cui l’uso di cortisone per via orale può aumentare il rischio di sviluppare la pancreatite acuta.
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In data 19/04/2013, l’AIFA ha pubblicato un comunicato riguardo i risultati di uno studio caso controllo basato sulla popolazione, condotto presso il Karolinska Institutet, il quale suggerisce che l’uso di glucocorticoidi orali è associato ad un aumento del rischio di pancreatite acuta.
La pancreatite acuta è il più comune disordine pancreatico; nel 10-20% dei pazienti, la malattia evolve negativamente e può diventare pericolosa per la vita in quanto associata a insufficienza d'organo multipla o morte. La maggior parte dei casi di pancreatite acuta sono attribuiti ad un eccessivo consumo di alcool o a calcoli biliari ma nel 20% dei casi l’eziologia non è nota [1].
La pancreatite acuta farmaco-indotta conseguente ad una terapia farmacologica è stata considerata come una possibile causa della malattia, ma recenti studi hanno indicato che rappresenta solo il 3-5% dei casi [2,3]. I glucocorticoidi orali sono farmaci utilizzati ampiamente e diversi case report hanno descritto casi di insorgenza di pancreatite acuta nei pazienti trattati con tali farmaci. In due di questi casi clinici, non vi era un rechallenge positivo con desametasone orale e prednisone.
Lo studio caso controllo riportato è stato condotto utilizzando database validati a livello nazionale e i partecipanti allo studio erano tutti cittadini svedesi con un’età compresa tra 48 e 84 anni.
I casi erano tutti i pazienti che presentavano la prima diagnosi di pancreatite acuta durante il periodo di studio, definito dal Codice di autodiagnosi K85 nella Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie, decima revisione (ICD-10). I controlli sono stati scelti a caso dalla popolazione a rischio di sviluppare pancreatite acuta. Per ogni caso sono stati selezionati in maniera randomizzata 10 controlli a rischio di sviluppare pancreatite dalla popolazione di origine. I controlli sono stati abbinati per età, sesso e anno. I glucocorticoidi orali dispensati sono stati identificati utilizzando il corrispondente codice ATC (H02AB). In funzione dei tempi di dispensazione del glucocorticoide orale, i pazienti sono stati suddivisi in utilizzatori attuali, recenti e passati se la dispensazione era avvenuta rispettivamente entro 30 giorni, da 31 a 180 giorni e più di 180 giorni dalla data di inizio dello studio.
Per valutare il ruolo dei confondenti, i soggetti sono stati suddivisi in contemporanei e recenti considerando il tempo dal momento in cui è stato somministrato il farmaco. L’uso contemporaneo è stato a sua volta suddiviso in precoce, immediato o ritardato se l’assunzione del farmaco avveniva entro 0-3, 4-14 giorni o 15-30 giorni dalla prescrizione rispettivamente. L’uso recente era definito come rapido (se avveniva entro 30-60 giorni) e ritardato (se avveniva da 61 a 180 giorni). Per l’analisi statistica dei dati è stata effettuata una regressione logistica per stimare l’Odds Ratio (OR), con un intervallo di confidenza al 95%. Per la stratificazione della popolazione sono stati utilizzati 3 diversi modelli statistici. Nel modello 1 i risultati sono stati corretti per età, sesso e periodo di calendario. Nel modello 2, oltre a sesso, età e anno, i risultati sono stati corretti per livello di istruzione (scuola elementare, secondario o università), stato civile (coniugato o non coniugato) e presenza di comorbidità. Le comorbidità considerate sono state abuso di alcool, presenza di patologie correlate al consumo di alcool o utilizzo di farmaci concomitanti per il trattamento della dipendenza da alcool, ostruzione polmonare cronica, cardiopatia ischemica, obesità o trattamenti per l’obesità, ulcera peptica, diabete o uso di farmaci per il diabete, calcoli alla colecisti o colecistectomia. Infine, il modello 3 era ulteriormente corretto in base al numero di farmaci dispensati entro 6 mesi dalla data di inizio dello studio (0, 1-2, 3-4,5-8 e ≥9).
Sono stati arruolati nello studio un totale di 6161 casi con un primo episodio di pancreatite acuta e 61637 controlli. L'età media della popolazione in studio era di 63 anni e il 55,0% erano uomini. Le comorbidità erano più comuni nei casi che hanno, quindi, usato anche più farmaci concomitanti. Nel complesso, il 10,9% dei casi e il 6,9% dei controlli non avevano mai ricevuto la terapia con glucocorticoidi per via orale durante il periodo di studio. Sia nei casi che nei controlli, i glucocorticoidi più usati erano prednisolone e betametasone (63,7% e 33,6%, rispettivamente). Glucocorticoidi inalatori sono stati utilizzati più spesso nei casi (5,3%) che nei controlli (4,1%) e budesonide era quello più comunemente usato.
Nel gruppo degli utilizzatori attuali di glucocorticoidi orali, il rischio di sviluppare la pancreatite acuta è stato di 2 volte superiore rispetto ai non utilizzatori (OR 2,37, 95% IC, 1,99-2,82 [modello 1]). Questa associazione si è attenuata dopo aggiustamento per i fattori confondenti (OR 1,96, 95% IC, 1,63-2,37 [modello 2]) e quando l’analisi è stata condotta considerando i farmaci concomitanti (OR, 1,53, 95% IC, 1,27-1,84 [modello 3]), ma l’associazione è rimasta statisticamente significativamente in tutte le analisi. Inoltre, non vi era alcuna correlazione tra l'uso di glucocorticoidi inalatori e il rischio di sviluppare pancreatite acuta rispetto ai non utilizzatori, indipendentemente dal tempo trascorso dalla dispensazione del farmaco.
Non vi era, inoltre, alcuna associazione tra l'uso di glucocorticoidi orali e l’insorgenza di pancreatite acuta da 0-3 giorni dopo la dispensazione dei farmaci (OR 1,01, 95% IC, 0,60-1,70[modello 3]). Tuttavia, il rischio aumentava del 73% (OR 1,73, IC 95%, 1,31-2,28 [modello 3]) da 4 a 14 giorni dopo la dispensazione dei farmaci. Il risultato è stato stratificato per i due più comuni glucocorticoidi orali betametasone e prednisolone. L'uso di betametasone è stato associato ad un aumento transitorio del rischio di sviluppare pancreatite circa 3 volte superiore (OR 3,53, 95% IC, 1,93-6,46) da 4 a 14 giorni dalla dispensazione rispetto ai non utilizzatori. Il corrispondente aumento del rischio tra gli utilizzatori di prednisolone è stato del 41% (OR 1,42, IC 95%, 1,03-1,95). Questo rischio ha raggiunto il suo livello più alto (OR 1,70, 95% IC, 1,24-2,34) da 15 a 30 giorni dopo la dispensazione.
Il meccanismo in base al quale i glucocorticoidi orali inducono la pancreatite acuta non è noto. Sebbene siano stati descritti meccanismi non genomici per spiegare gli effetti dei glucocortioidi, il tempo di latenza tra la dispensazione dei farmaci e lo sviluppo di pancreatite acuta suggerisce che tale evento avverso sia legato all’azione dei glucocorticoidi sulla trascrizione genica. L'effetto sistemico dei moderni glucocorticoidi per inalazione è trascurabile. Il tipo di glucocorticoide orale utilizzato, inoltre, sembra modificare il rischio di pancreatite acuta. Il betametasone è più potente del prednisolone nel sopprimere la produzione endogena di cortisolo da parte della corteccia surrenalica e nel promuovere la trascrizione genica in organi bersaglio. Allo stesso modo, il rischio di pancreatite acuta precoce dopo somministrazione del farmaco è più alto negli utilizzatori di betametasone rispetto al prednisolone.
In conclusione, questo studio caso controllo basato sulla popolazione indica che l'uso corrente di glucocorticoidi per via orale aumenta il rischio di pancreatite acuta [4].
Siti di riferimento
http://www.agenziafarmaco.gov.it/
http://www.fda.gov/
Bibliografia
1. Frossard JL, Steer ML, Pastor CM. Acute pancreatitis. Lancet. 2008;371(9607): 143-152.
2. Vinklerovà I, Procha ´zkaM, Procha ´zka V, Urba ´nek K. InICdence, severity, and eti- ology of drug-induced acute pancreatitis. Dig Dis SIC. 2010;55(10):2977-2981.
3. Spanier BW, Tuynman HA, van der Hulst RW, Dijkgraaf MG, Bruno MJ. Acute pancreatitis and concomitant use of pancreatitis-assoICated drugs. Am J Gastroenterol. 2011;106(12):2183-2188.
4. Sadr-Azodi O, Mattsson F, Bexlius TS, Lindblad M, Lagergren J, Ljung R. AssoICation of oral glucocorticoid use with an increased risk of acute pancreatitis: a population-based nested case-control study. JAMA Intern Med. 2013 Mar 25;173(6):444-9.
Nota informativa importante dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), in accordo con le autorità regolatorie europee, sulla correlazione di MabThera®(rituximab) con la necrolisi epidermica tossica e la sindrome di Steven-Johnson.
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In data 12/04/2013 l’AIFA, in accordo con le autorità regolatorie europee, ha divulgato una nota informativa importante sulla correlazione tra l’uso di MabThera® (rituximab) e reazioni cutanee gravi quali la necrolisi epidermica tossica e la sindrome di Steven-Johson.
Rituxumab (RTX) è un anticorpo monoclonale chimerico murino/umano ottenuto con tecniche di ingegneria genetica, costituito da una immunoglobulina glicosilata con le regioni costanti IgG1 di origine umana e con le sequenze della regione variabile della catena leggera e della catena pesante di origine murina ed è stato il primo anticorpo monoclonale diretto contro l’antigene CD20 ad essere approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) nel 1998.
Il legame di RTX all'antigene CD20 linfocitario stimola la risposta immunitaria, con conseguente lisi delle cellule B. L’antigene CD-20 è un marcatore delle cellule B che viene espresso durante la fase di differenziazione delle suddette cellule. Il suo ligando fisiologico e la suo esatta funzione biologica non sono ancora del tutto chiare.
L’esposizione del CD20 è stata riscontrata in linfomi a cellule B, leucemia a cellule capellute, leucemia linfoide e su cellule staminali tumorali del melanoma, [1] tuttavia, la presenza o assenza di CD20 in tali tumori non è rilevante per la prognosi, infatti la progressione della malattia è risultata essere la stessa in entrambi i casi. Cellule CD20 positive sono state trovate anche in alcuni casi di morbo di Hodgkin, mieloma e timoma [2].
RTX è indicato negli adulti per il trattamento del Linfoma non-Hodgkin (LNH), per il trattamento di pazienti affetti da linfoma follicolare in III-IV stadio precedentemente non trattati, in associazione a chemioterapia. In monoterapia è indicato per il trattamento di pazienti con linfoma follicolare in III-IV stadio che sono chemioresistenti o sono in seconda o successiva ricaduta dopo chemioterapia.
RTX è, inoltre, indicato per il trattamento di pazienti affetti da LNH, CD20 positivo, diffuso a grandi cellule B, in associazione a chemioterapia CHOP (ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina, prednisolone).
RTX, infine, viene utilizzato, in associazione al metotressato, per il trattamento dell’artrite reumatoide attiva di grado grave in pazienti adulti che hanno mostrato un’inadeguata risposta o un’intolleranza ad altri farmaci antireumatici modificanti la malattia (DMARD), comprendenti uno o più inibitori del fattore di necrosi tumorale (TNF).
Le reazioni avverse osservate più frequentemente in pazienti che hanno ricevuto RTX sono reazioni correlate all’infusione e sono avvenute nella maggior parte dei pazienti durante la prima infusione. Le reazioni avverse più comuni che possono comparire a seguito della somministrazione di RTX sono infezioni virali e batteriche, neutropenia, leucopenia e trombocitopenia, angioedema, ipotensione, infarto del miocardio, fibrillazione atriale e tachicardia.
Comuni sono anche le reazioni avverse gastrointestinali quali nausea, vomito e diarrea, dolore addominale e costipazione.
Recentemente sono stati segnalati rari e gravi casi di reazioni cutanee quali la necrolisi epidermica tossica (NET) e la sindrome di Steven-Johson in pazienti con malattie autoimmuni. Tra questi si è osservato anche un caso con esito fatale. In pazienti con neoplasie ematologiche si sono verificati, inoltre, casi di reazioni cutanee gravi bollose.
I casi di NET e di sindrome di Steven-Johson sono stati segnalati sia in seguito alla prima infusione di RTX che in seguito alle successive. Quattro dei casi osservati in pazienti con malattie autoimmuni hanno presentato una stretta correlazione temporale con la somministrazione del farmaco (il giorno stesso della somministrazione o il giorno seguente) e uno dei casi di necrolisi epidermica tossica ha avuto esito fatale.
In alcuni casi RTX era stato dato in associazione a farmaci la cui correlazione con la necrolisi epidermica tossica e la sindrome di Steven-Johnson è nota.
Per tale motivo , il Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto del rituximab è in fase di aggiornamento. L’AIFA, in accordo con le autorità regolatorie europee, raccomanda la sospensione immediata del trattamento qualora dovessero verificarsi reazioni cutanee gravi.
Siti di riferimento
http://www.agenziafarmaco.gov.it/
http://www.fda.gov/
Bibliografia
1. Fang D, Nguyen TK, Leishear K, Finko R, Kulp AN, Hotz S, Van Belle PA, Xu X, Elder DE, Herlyn M (October 2005). "A tumorigenic subpopulation with stem cell properties in melanomas". Cancer Res. 65 (20): 9328–37.
2. Cooper K, Anthony Leong AS-Y (2003). Manual of diagnostic antibodies for immunohistology (2nd ed.). London: Greenwich Medical Media.
Nota dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA): rischio di secondi tumori primari ematologici nei pazienti trattati con talidomide.
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In data 8/4/2013, l’AIFA, in accordo con le agenzie regolatorie europee (Agenzia Europea dei Medicinali-EMA), ha pubblicato una nota informativa importante relativa alla sicurezza della specialità medicinale Thalidomide Celgene® (talidomide)(1).
Thalidomide Celgene®, in associazione a melfalan e prednisone, è indicato come trattamento di prima scelta nei pazienti con mieloma multiplo non trattato di età ≥ 65 anni o non idonei a chemioterapia a dosi elevate.
La talidomide appartiene alla classe dei farmaci immunomodulanti o inibitori selettivi delle citochine; essa, infatti, inibisce selettivamente il fattore di necrosi tumorale (TNF) prodotto in eccesso da parte di monociti/macrofagi in pazienti affetti da tumore ed inibisce l’angiogenesi, ossia la neovascolarizzazione tumorale. L’utilizzo clinico richiede la conoscenza di importanti informazioni di sicurezza e l’attuazione di uno specifico Piano di Gestione del Rischio stabilito in accordo con EMA e AIFA.
In particolare, i maggiori rischi associati alla terapia con talidomide sono stati osservati con più alta frequenza in combinazione con melfalan e prednisone e sono molteplici: neutropenia, leucopenia, stipsi, sonnolenza, parestesia, neuropatia periferica, anemia, linfopenia, trombocitopenia, trombosi venosa profonda ed embolia polmonare, gravi reazioni cutanee compresa Sindrome di Stevens Johnson e necrolisi epidermica tossica, sincope, bradicardia, capogiri, disestesia, tremore ed edema periferico.
Celgene, in accordo con l’AIFA e l’EMA, ha comunicato agli operatori sanitari l’aumento significativo del rischio di sviluppo di secondi tumori primari ematologici quali leucemia mieloide acuta (LMA) e sindromi mielodisplastiche (SMD)(2), osservato, in uno studio tutt’ora in corso (MM-020), nei pazienti con mieloma multiplo non trattato in precedenza con melfalan, prednisone e talidomide, rispetto a quelli trattati con lenalidomide e desametasone(3). A seguito di una revisione dettagliata dei dati dello studio clinico MM-020, è emerso, inoltre, che il rischio di comparsa di secondi tumori primari ematologici in seguito all’impiego di talidomide è aumentato nel corso della terapia fino a raggiungere il 2% dopo due anni e il 4% dopo tre anni. Lo studio clinico MM-020 è uno studio di fase tre multicentrico randomizzato, effettuato per stabilire l’efficacia e la sicurezza della terapia con lenalidomide e desametasone a basse dosi, rispetto alla combinazione di melfalan, prednisone e talidomide, somministrati per cicli di 12 settimane in pazienti con mieloma multiplo. La revisione dei dati ottenuti da tale studio ha evidenziato una percentuale più elevata di casi di leucemia mieloide acuta (LMA) e sindromi mielodisplastiche (SMD) nei pazienti trattati con l’associazione melfalan, prednisone e talidomide (1,8%), rispetto ai pazienti trattati con lenalidomide e desametasone (0,3%). Il rischio d’insorgenza di tali tumori è stato stimato in un tempo di 22,3 mesi e risulta aumentato in corso della terapia di circa il 2% dopo due anni e del 4% dopo tre anni. Lo studio MM-020 è stato poi confrontato con lo studio MM-015, uno studio in doppio cieco. Tale confronto ha evidenziato che il rischio di sviluppo di LMA e SMD è tre volte più elevato nei pazienti trattati con melfalan e prednisone. L’aumento del rischio di tumori primari è stato osservato anche in pazienti con mieloma multiplo di nuova diagnosi, trattati con lenalidomide in associazione con melflan, o dopo il trattamento con melfalan ad alte dosi e trapianto di cellule staminali.
A tale proposito, prima di cominciare la terapia con talidomide in associazione a melfalan e prednisone, è necessario valutare la sicurezza ed il beneficio ottenuto attraverso il trattamento con talidomide e valutare il rischio di comparsa di leucemia mieloide acuta (LMA) e sindromi mielodisplastiche (SMD)(2). L’utilizzo clinico di Thalidomide Celgene richiede, quindi, un’attenta valutazione dei pazienti prima e durante il trattamento, attraverso l’utilizzo di uno screening oncologico standard. Si ricorda, inoltre, che Thalidomide Celgene® è inserito nell’elenco dei farmaci sottoposti a monitoraggio intensivo e che questo comporta la segnalazione di qualsiasi reazione avversa, seria, non seria, attesa ed inattesa.
Il Centro Regionale di Farmacovigilanza coglie l’occasione per ricordare a tutti gli operatori sanitari l’importanza della segnalazione delle reazioni avverse da farmaci, quale strumento indispensabile per confermare un rapporto beneficio rischio favorevole nelle reali condizioni di impiego. Le Segnalazioni di Sospetta Reazione Avversa da Farmaci devono essere inviate al Responsabile di Farmacovigilanza della Struttura di appartenenza dell’operatore stesso. La presente nota informativa viene anche pubblicata sul sito dell’AIFA (www.agenziafarmaco.it) la cui consultazione regolare è raccomandata per la migliore informazione professionale e di servizio al cittadino.
Bibliografia
1. Bruyn GA. Thalidomide Celgene Corp. IDrugs. 1998 Aug;1(4):490-500.
2. Stone R, Sekeres M, Garcia-Manero G, Lyons RM. Recent advances in low- and intermediate-1-risk myelodysplastic syndrome: developing a consensus for optimal therapy. Clin Adv Hematol Oncol. 2008 Dec;6(12):1-15.
3. Wiernik PH. Lenalidomide in lymphomas and chronic lymphocytic leukemia. Expert Opin Pharmacother. 2013 Mar;14(4):475-88.
Siti di riferimento:
http://www.biotechnologyevents.com/node/1740
http://www.agenziafarmaco.gov.it
Comunicato stampa dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) in merito alla raccomandazione del Comitato di valutazione dei rischi per la farmacovigilanza (PRAC) per una restrizione d’uso per Protelos/Osseor (ranelato di stronzio)
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In data 11/04/2013, l’AIFA ha diramato un comunicato in cui raccomanda una restrizione d’uso per Protelos®/Osseor®, a seguito della valutazione da parte del PRAC dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), a causa di un aumentato rischio di malattie cardiache, inclusi attacchi cardiaci. Le specialità medicinali, a base di ranelato di stronzio, sono adoperate per il trattamento dell’osteoporosi nelle donne in postmenopausa al fine di ridurre il rischio di fratture vertebrali e dell’anca e per il trattamento dell’osteoporosi negli uomini adulti che presentano un aumentato rischio di fratture.
Il ranelato di stronzio, un sale di stronzio dell’acido ranelico, somministrato per via orale come sospensione e generalmente ben tollerato, è in grado di stimolare la formazione di nuovo tessuto osseo e di ridurne il riassorbimento [1]. Uno studio clinico randomizzato in doppio-cieco, della durata di 3 anni, ha descritto i dati riguardanti l’efficacia del farmaco nel ridurre le fratture in donne in postmenopausa affette da osteoporosi [2]. Dai risultati dello studio si è evinto che la riduzione del rischio di fratture vertebrali è stata del 49% nel primo anno e del 41% durante il terzo anno di studio (rischio relativo 0,59; intervallo di confidenza al 95% 0,48;0,73), mentre l’incremento della densità minerale ossea, dopo 36 mesi di trattamento, è risultato essere del 14,4% a livello della spina lombare e dell’8,3% in corrispondenza del collo del femore (P<0,001 per i entrambe le comparazioni).
Oltre alle reazioni avverse già note riportate per questa classe di farmaci, ovvero cefalea, nausea, diarrea e tromboembolismo venoso, si è osservato un aumento del rischio di problemi cardiaci, compresi gli infarti. Tale rischio era già stato messo in evidenza in uno studio condotto in Francia, da Gennaio 2006 a Marzo 2009, che aveva analizzato gli eventi avversi associati all’uso di ranelato di stronzio. Delle 199 reazioni avverse gravi presentatesi, infatti, il 52% includevano reazioni cardiovascolari [3].
Pertanto, il PRAC ha concluso che è necessaria un’ulteriore valutazione del rapporto rischio/beneficio del medicinale, e ha raccomandato, nel frattempo, l’implementazione delle modifiche alle informazioni sulla prescrizione per Protelos®/Osseor®.
Le modifiche, che saranno valutate dal Comitato per i Prodotti Medicinali per Uso Umano (CHMP), sono le seguenti:
1. I farmaci oggetto della valutazione dovranno essere somministrati solo per il trattamento delle osteoporosi gravi con alto rischio di fratture nelle donne e negli uomini;
2. I pazienti che assumono i suddetti farmaci non dovranno avere una storia attuale o pregressa di malattie cardiovascolari, incluse cardiopatie ischemiche, malattia arteriosa periferica, malattia cerebrovascolare.
3. Protelos®/Osseor® non devono essere somministrati ai pazienti con ipertensione non adeguatamente controllati durante il trattamento.
La revisione svolta dal PRAC rientra nel “Rapporto periodico di aggiornamento sulla sicurezza (PSUR)” e la stessa sarà valutata durante il meeting del CHMP del 22-25 Aprile 2013.
Siti di riferimento
http://www.agenziafarmaco.gov.it/
http://www.fda.gov/
Biliografia
1. Deeks ED, Dhillon S. Spotlight on strontium ranelate: in postmenopausal osteoporosis. Drugs Aging. 2010 Sep 1;27(9):771-3.
2. Meunier PJ, Roux C. The effects of strontium ranelate on the risk of vertebral fracture in women with postmenopausal osteoporosis. N Engl J Med. 2004 Jan 29;350(5):459-68.
3. Jonville-Bera AP, Autret-Leca E. [Adverse drug reactions of strontium ranelate(Protelos(®) in France]. Presse Med. 2011 Oct;40(10):e453-62.
NOTA INFORMATIVA IMPORTANTE CONCORDATA CON LE AUTORITÀ REGOLATORIE EUROPEE E L’AGENZIA ITALIANA DEL FARMACO (AIFA)
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L’AIFA nel mese di aprile ha divulgato, in accordo con le autorità regolatorie europee (EMA), una nota informativa riguardo la gestione delle Reazioni Avverse Cutanee Gravi (SCAR) associate a INCIVO® (telaprevir), a seguito di due casi di Necrolisi Epidermica Tossica (TEN), di cui uno fatale, associati all’uso di tale farmaco. Il telaprevir è un inibitore delle proteasi NS3/4A del virus dell’epatite C (HCV) indicato, in associazione a peginterferone alfa e ribavirina, nel trattamento dell’epatite C cronica di genotipo 1, in pazienti adulti con epatopatia compensata (compresa la cirrosi). Già durante lo sviluppo clinico erano state riportate eruzioni cutanee gravi, comprese eruzione cutanea da farmaco con eosinofilia e sintomi sistemici (DRESS) e sindrome di Stevens-Johnson (SJS). La TEN, invece, è stata segnalata nella fase post-marketing e uno dei casi ha avuto esito fatale. Un articolo pubblicato nel febbraio del 2013 ha esaminato tre studi internazionali di fase dalla I alla III sulla terapia in combinazione con il telaprevir per l’epatite C, ponendo l’attenzione sulla fase III. In tale studio prospettico osservazionale sono stati inclusi tutti i pazienti con eruzioni cutanee arruolati nei trials clinici del telaprevir prima del 2011. Tale analisi prospettica ha valutato 1346 pazienti trattati con telaprevir più peginterferone e ribavirina e 764 pazienti trattati con placebo più peginterferone e ribavirina per valutare l’insorgenza delle eruzioni cutanee. È emerso che le eruzioni cutanee sono più frequenti in pazienti che ricevevano talaprevir più peginterferone e ribavirina rispetto al trattamento con placebo più peginterferone e ribavirina (56% vs 34% in totale, 3,7% vs 0,4% gravi). L’incidenza della dermatite nei pazienti trattati con telaprevir (>50%) è del 20% più alta rispetto all’incidenza della dermatite riscontrata in pazienti trattati solo con peginterferone e ribavirina. Circa il 5% dei pazienti trattati con telaprevir, inoltre, ha sviluppato eruzioni estese, mentre le stesse si sono manifestate raramente nei pazienti trattati solo con peginterferone e ribavirina. Si è riscontrato, quindi, che l’aggiunta di telaprevir aumentava l’incidenza e la severità ma non sembrava modificare la natura delle eruzioni più comunemente osservate con peginterferone e ribavirina. Inoltre, durante tale analisi, nessun fattore clinico o genetico esaminato è stato identificato come fattore di rischio per la dermatite.(1) Vista la rilevanza clinica della TEN, il Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto (RCP) è stato modificato, includendo la TEN e l’eritema multiforme come reazioni avverse rare. Nell’RCP è stata introdotta una guida specifica per il monitoraggio e la gestione delle reazioni cutanee, comprese le gravi, che possono insorgere durante la terapia di associazione INCIVO®/peginterferone alfa/ribavirina. L’insorgenza di una reazione cutanea grave richiede l’immediata e definitiva sospensione del trattamento con INCIVO®. Anche peginterferone e ribavirina devono essere immediatamente interrotti se si sviluppa eruzione cutanea insieme a sintomi sistemici. I pazienti devono essere informati sull’eventualità che si manifesti una eruzione cutanea in modo tale da rivolgersi tempestivamente allo specialista.
Alla luce di quanto detto, si ricorda agli operatori sanitari l’importanza della segnalazione spontanea delle sospette reazioni avverse da INCIVO® quale strumento indispensabile per confermare un rapporto beneficio rischio favorevole nelle reali condizioni d’impiego.
Sito di riferimento:
http://www.agenziafarmaco.gov.it/sites/default/files/IT-DHCP%20INCIVO-Mar%202013-portale.pdf
Bibliografia:
1) Telaprevir-related dermatitis. Roujeau JC et coll. 2013 Feb. 149(2):152-8.
2) Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto di INCIVO®
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