Farmacovigilanza
Comunicato stampa dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) in merito all’aumentato rischio di sanguinamento grave in pazienti con angina instabile/infarto miocardico quando Efient® (prasugrel) viene somministrato prima della coronarografia diagnostica
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In data 03/12/2013, l’AIFA e l’EMA, in accordo con Daiichi-Sankyo e Eli Lilly Italia, hanno diramato un comunicato diretto agli operatori sanitari nel quale si informa del rischio di sanguinamento associato a Efient® (prasugrel), un farmaco antiaggregante piastrinico indicato per il trattamento della sindrome coronarica acuta (ACS) in pazienti sottoposti a intervento coronarico percutaneo (PCI).
Prasugrel è un agente antiaggregante appartenente alla famiglia delle tienopiridine di terza generazione che, al pari del clopidogrel, esercita effetti antiaggreganti piastrinici bloccando il recettore P2Y12, situato sulla membrana delle piastrine e coinvolto nei processi di aggregazione. Somministrato in associazione con acido acetilsalicilico, è indicato per la prevenzione di eventi di origine aterotrombotica in pazienti con ACS (angina instabile, infarto miocardico con o senza sopraslivellamento del tratto ST) sottoposti a PCI primario o ritardato [1]. Il trattamento con prasugrel comporta una maggiore e consistente inibizione dell’aggregazione piastrinica rispetto al trattamento con clopidogrel ad alto dosaggio. Infatti, così come dimostrato nel corso dello studio clinico TRITON-TIMI 38, il trattamento con prasugrel ha determinato, rispetto a clopidogrel, una riduzione del 19% dell’incidenza di morte cardiovascolare, infarto miocardico non fatale e ictus, sebbene lo stesso sia risultato responsabile di un numero maggiore di casi di sanguinamento in pazienti con ACS sottoposti a PCI (2,4% vs 1,8%; P = 0,03). Nel gruppo prasugrel è stato osservato un maggior tasso di emorragie minacciose per la vita (1,4% vs 0,9%; P = 0,01) e di emorragie fatali (0,4% vs 0,1%; P = 0,002), con un dato rilevante di 3 eventi ogni 1000 pazienti trattati [2].
Evidenze simili sono state riscontrate nel corso dello studio clinico randomizzato TAILOR (Thrombocytes And IndividuaLization of ORal antiplatelet therapy in percutaneous coronary intervention) che ha confrontato l’efficacia di clopidogrel e prasugrel in 106 pazienti con ACS ed elevata reattività piastrinica (High on-treatment platelet reactivity – HTPR). Le analisi, effettuate dopo il 1° mese di trattamento, hanno mostrato la superiorità di prasugrel nell’inibizione piastrinica (P = 0,02) e una simile incidenza di eventi avversi, in particolare fenomeni emorragici non gravi [3].
Come riportato in scheda tecnica, tra le reazioni avverse frequentemente riscontrate in corso di trattamento con prasugrel figurano: anemia, trombocitopenia, epistassi, emorragia gastrointestinale, ecchimosi, ematuria, contusione. Tali fenomeni emorragici, noti in scheda tecnica, sono descritti nella letteratura scientifica; nello specifico, le raccomandazioni emanate dalla nostra Agenzia Regolatoria traggono origine dallo studio clinico randomizzato ACCOAST, ovvero uno studio clinico di fase 3, condotto in doppio cieco presso 171 centri situati in 19 stati in Europa, Canada, Israele e Turchia. Lo studio ha confrontato l’efficacia di prasugrel vs placebo in 4.033 pazienti con infarto miocardico in attesa di coronarografia valutando, in particolare, gli effetti del trattamento sull’incidenza di morte cardiovascolare, infarto miocardico, ischemia e rivascolarizzazione urgente nei 7 giorni successivi all’inizio del trattamento. Nello specifico, lo studio ha messo a confronto gli effetti derivanti dalla somministrazione di una dose di carico di 30 mg di prasugrel prima della coronarografia seguita da un’ulteriore dose di 30 mg al momento della PCI, con l’effetto prodotto dalla somministrazione di placebo prima della coronarografia e una dose di carico intera di 60 mg di prasugrel al momento della PCI. I risultati hanno evidenziato un maggior rischio di sanguinamento peri-procedurale (non correlato all’innesto di by-pass aorto-coronarico) associato alla somministrazione della dose di carico prima della coronarografia e dell’ulteriore somministrazione al momento della PCI; inoltre, non è stato riscontrato nessun beneficio aggiuntivo rispetto ai pazienti che ricevevano placebo e, in seguito, una dose di carico di 60 mg al momento della PCI (n = 1996) [4].
In conclusione, alla luce di quanto emerso nel corso dello studio ACCOAST, al fine di minimizzare il rischio di sanguinamento, l’AIFA e l’EMA raccomandano, quando la coronarografia viene effettuata entro 48 ore dall’ospedalizzazione, di somministrare la dose di carico di Efient® solo al momento della PCI.
Bibliografia
1. A. Sugidachi et al. The greater in vivo antiplatelet effects of prasugrel as compared to clopidogrel reflect more efficient generation of its active metabolite with similar antiplatelet activity to that of clopidogrel’s active metabolite. Journal of Thrombosis and Haemostasis. 2007; 5: 1545-1551.
2. Stephen D. Wiviott et al. Greater Clinical Benefit of More Intensive Oral Antiplatelet Therapy With Prasugrel in Patients With Diabetes Mellitus in the Trial to Assess Improvement in Therapeutic Outcomes by Optimizing Platelet Inhibition With Prasugrel Thrombolysis in Myocardial Infarction 38. Investigator Circulation. 2008;118;1626-1636.
3. Dridi NP et al. Prasugrel or double-dose clopidogrel to overcome clopidogrel low-response - The TAILOR (Thrombocytes And IndividuaLization of ORal antiplatelet therapy in percutaneous coronary intervention) randomized trial. Platelets. 2013 Nov 18.
4. Montalescot G et al. for the ACCOAST Investigators. Pretreatment with prasugrel in non-ST segment elevation acute coronary syndromes. N Engl J Med. 2013, September 1. http://dx. doi.org/10.1056/NEJMoa1308075.
Prasugrel è un agente antiaggregante appartenente alla famiglia delle tienopiridine di terza generazione che, al pari del clopidogrel, esercita effetti antiaggreganti piastrinici bloccando il recettore P2Y12, situato sulla membrana delle piastrine e coinvolto nei processi di aggregazione. Somministrato in associazione con acido acetilsalicilico, è indicato per la prevenzione di eventi di origine aterotrombotica in pazienti con ACS (angina instabile, infarto miocardico con o senza sopraslivellamento del tratto ST) sottoposti a PCI primario o ritardato [1]. Il trattamento con prasugrel comporta una maggiore e consistente inibizione dell’aggregazione piastrinica rispetto al trattamento con clopidogrel ad alto dosaggio. Infatti, così come dimostrato nel corso dello studio clinico TRITON-TIMI 38, il trattamento con prasugrel ha determinato, rispetto a clopidogrel, una riduzione del 19% dell’incidenza di morte cardiovascolare, infarto miocardico non fatale e ictus, sebbene lo stesso sia risultato responsabile di un numero maggiore di casi di sanguinamento in pazienti con ACS sottoposti a PCI (2,4% vs 1,8%; P = 0,03). Nel gruppo prasugrel è stato osservato un maggior tasso di emorragie minacciose per la vita (1,4% vs 0,9%; P = 0,01) e di emorragie fatali (0,4% vs 0,1%; P = 0,002), con un dato rilevante di 3 eventi ogni 1000 pazienti trattati [2].
Evidenze simili sono state riscontrate nel corso dello studio clinico randomizzato TAILOR (Thrombocytes And IndividuaLization of ORal antiplatelet therapy in percutaneous coronary intervention) che ha confrontato l’efficacia di clopidogrel e prasugrel in 106 pazienti con ACS ed elevata reattività piastrinica (High on-treatment platelet reactivity – HTPR). Le analisi, effettuate dopo il 1° mese di trattamento, hanno mostrato la superiorità di prasugrel nell’inibizione piastrinica (P = 0,02) e una simile incidenza di eventi avversi, in particolare fenomeni emorragici non gravi [3].
Come riportato in scheda tecnica, tra le reazioni avverse frequentemente riscontrate in corso di trattamento con prasugrel figurano: anemia, trombocitopenia, epistassi, emorragia gastrointestinale, ecchimosi, ematuria, contusione. Tali fenomeni emorragici, noti in scheda tecnica, sono descritti nella letteratura scientifica; nello specifico, le raccomandazioni emanate dalla nostra Agenzia Regolatoria traggono origine dallo studio clinico randomizzato ACCOAST, ovvero uno studio clinico di fase 3, condotto in doppio cieco presso 171 centri situati in 19 stati in Europa, Canada, Israele e Turchia. Lo studio ha confrontato l’efficacia di prasugrel vs placebo in 4.033 pazienti con infarto miocardico in attesa di coronarografia valutando, in particolare, gli effetti del trattamento sull’incidenza di morte cardiovascolare, infarto miocardico, ischemia e rivascolarizzazione urgente nei 7 giorni successivi all’inizio del trattamento. Nello specifico, lo studio ha messo a confronto gli effetti derivanti dalla somministrazione di una dose di carico di 30 mg di prasugrel prima della coronarografia seguita da un’ulteriore dose di 30 mg al momento della PCI, con l’effetto prodotto dalla somministrazione di placebo prima della coronarografia e una dose di carico intera di 60 mg di prasugrel al momento della PCI. I risultati hanno evidenziato un maggior rischio di sanguinamento peri-procedurale (non correlato all’innesto di by-pass aorto-coronarico) associato alla somministrazione della dose di carico prima della coronarografia e dell’ulteriore somministrazione al momento della PCI; inoltre, non è stato riscontrato nessun beneficio aggiuntivo rispetto ai pazienti che ricevevano placebo e, in seguito, una dose di carico di 60 mg al momento della PCI (n = 1996) [4].
In conclusione, alla luce di quanto emerso nel corso dello studio ACCOAST, al fine di minimizzare il rischio di sanguinamento, l’AIFA e l’EMA raccomandano, quando la coronarografia viene effettuata entro 48 ore dall’ospedalizzazione, di somministrare la dose di carico di Efient® solo al momento della PCI.
Bibliografia
1. A. Sugidachi et al. The greater in vivo antiplatelet effects of prasugrel as compared to clopidogrel reflect more efficient generation of its active metabolite with similar antiplatelet activity to that of clopidogrel’s active metabolite. Journal of Thrombosis and Haemostasis. 2007; 5: 1545-1551.
2. Stephen D. Wiviott et al. Greater Clinical Benefit of More Intensive Oral Antiplatelet Therapy With Prasugrel in Patients With Diabetes Mellitus in the Trial to Assess Improvement in Therapeutic Outcomes by Optimizing Platelet Inhibition With Prasugrel Thrombolysis in Myocardial Infarction 38. Investigator Circulation. 2008;118;1626-1636.
3. Dridi NP et al. Prasugrel or double-dose clopidogrel to overcome clopidogrel low-response - The TAILOR (Thrombocytes And IndividuaLization of ORal antiplatelet therapy in percutaneous coronary intervention) randomized trial. Platelets. 2013 Nov 18.
4. Montalescot G et al. for the ACCOAST Investigators. Pretreatment with prasugrel in non-ST segment elevation acute coronary syndromes. N Engl J Med. 2013, September 1. http://dx. doi.org/10.1056/NEJMoa1308075.
Comunicato stampa dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) in merito alle restrizioni d'uso per i medicinali a base di tiocolchicoside per uso orale e iniettabile per possibile insorgenza di aneuploidia.
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In data 22/11/2013, l’EMA ha diramato un comunicato diretto agli operatori sanitari in merito alle restrizioni d'uso per i medicinali a base di tiocolchicoside (TCC) per uso orale e iniettabile in quanto si è osservata, in studi pre-clinici, l'insorgenza di aneuplodia indotta dalla formazione di un metabolita del TCC, l'M2 (SL59.0955).
Il TCC è un derivato semisintetico della colchicoside utilizzato come miorilassante nelle contrazioni acute e nelle condizioni reumatiche croniche; viene somministrato per via orale, intramuscolare e topica (1,2). Somministrato per via orale, il TCC viene rapidamente assorbito dal tratto grastointestinale raggiungendo un picco plasmatico dopo circa 1 ora dall'assunzione con un'emivita di circa 2-6 ore. Nell'intestino, il TCC viene idrolizzato a livello del legame glucosidico portando alla formazione del metabolita M2 (aglicone del TCC) che a livello epatico viene in parte glucoronato, formando il composto M1 (3-O-aglicone glucoronato), e in parte demetilato, formando il composto M3 (di-dimetiltiocolchicina). Il metabolita M2 risulta essere quello maggiormente espresso nel processo di metabolizzazione, in quanto è stato misurato che, dopo somministrazione di una dose di 8 mg di tiocolchicoside, circa il 38,7% dei metaboliti è rappresentato dall'M2, il 16% dall'M3 e il 10% dall'M1 (2). Il 15 febbraio 2013, l'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), in seguito a un'analisi condotta da un titolare di autorizzazione all'immissione in commercio, ha richiesto al Comitato per i prodotti medicinali per uso umano (CHMP) di rivalutare il profilo rischio/beneficio di quei medicinali contenenti tiocolchicoside per via sistemica, in quanto, dopo evidenze sperimentali, si era ipotizzato che il metabolita M2 potesse determinare alterazioni nel numero di cromosomi comportando l'insorgere di casi di aneuplodia. Sulla base di queste osservazioni, il CHMP ha riscontrato che tali alterazioni sono evidenziabili in cellule in fase di divisione a un dosaggio non molto superiore di quello raggiunto nell'organismo alle massime dosi orali raccomandate. Pertanto, pur confermando il rapporto rischio/benefico positivo per tali vie di somministrazioni, si è deciso di imporre delle limitazioni sia ai pazienti che agli operatori sanitari circa l'utilizzo di medicinali contenenti TCC. Le restrizioni riguardanti i pazienti sono:
• il Tiocolchicoside è un medicinale che deve essere utilizzato per patologie legate al dolore muscolare;
• essendo state osservate alterazioni genetiche legate al metabolita M2 del TCC si raccomanda l'utilizzo del medicinale per un periodo di tempo pari a 7 giorni per via orale o per 5 giorni per via intramuscolare. Per periodi maggiori è consigliabile una valutazione da parte del medico;
• non assumere mai in caso di gravidanza o in allattamento; in caso di assunzione, si consiglia l'utilizzo di contraccetivi;
• le formulazioni topiche non rientrano all'interno di queste restrizioni in quanto per tale via il farmaco non raggiunge concentrazioni ematiche paragonabili a quelle raggiunte dopo somministrazione orale; pertanto, i medicinali a base di TCC sono disponibili per l'applicazione cutanea.
Le restrizioni riguardanti gli operatori sanitari sono:
• i medicinali a base di TCC per uso sistemico sono raccomandanti solo per patologie acute a carico del sistema osteo-muscolare, in adulti e adolescenti con un'età maggiore di 16 anni;
• la dose orale massima raccomandata è di 8mg ogni 12 ore e il trattamento non deve superare i 7 giorni consecutivi; nel caso della somministrazione per via intramuscolare, la dose non deve essere superiore ai 4 mg ogni 12 ore e il trattamento non superiore ai 5 giorni;
• i medicinali a base di TCC non devono essere utilizzati durante la gravidanza e l'allattamento, né nelle donne in età fertile senza un previo utilizzo di misure contraccettive;
• i farmacisti in caso di prescrizioni multiple di medicinali contenenti TCC devono indirizzare i pazienti al proprio medico curante;
• ai medici verranno inviate delle note informative in merito alla restrizione delle indicazioni dei medicinali a base di TCC per uso sistemico e verrà inoltre fornito materiale di aggiornamento.
La revisione del CHMP sarà trasmessa alla Commissione Europea che avrà il compito di emanare una decisione definitiva nei tempi dovuti.
Bibliografia
1. M. Artusi, et all. Buccal delivery of thiocolchicoside: in vitro and in vivo permeation studies. International journal of pharmaceutics, 2003; 250; 203-213.
2. M. Trellu, et all. New metabolic and pharmacokinetic characterics of thiocolchicoside and its active metabolite in healthy humans. Foundamental & clinical pharmacology, 2004; 18: 493-501.
Il TCC è un derivato semisintetico della colchicoside utilizzato come miorilassante nelle contrazioni acute e nelle condizioni reumatiche croniche; viene somministrato per via orale, intramuscolare e topica (1,2). Somministrato per via orale, il TCC viene rapidamente assorbito dal tratto grastointestinale raggiungendo un picco plasmatico dopo circa 1 ora dall'assunzione con un'emivita di circa 2-6 ore. Nell'intestino, il TCC viene idrolizzato a livello del legame glucosidico portando alla formazione del metabolita M2 (aglicone del TCC) che a livello epatico viene in parte glucoronato, formando il composto M1 (3-O-aglicone glucoronato), e in parte demetilato, formando il composto M3 (di-dimetiltiocolchicina). Il metabolita M2 risulta essere quello maggiormente espresso nel processo di metabolizzazione, in quanto è stato misurato che, dopo somministrazione di una dose di 8 mg di tiocolchicoside, circa il 38,7% dei metaboliti è rappresentato dall'M2, il 16% dall'M3 e il 10% dall'M1 (2). Il 15 febbraio 2013, l'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), in seguito a un'analisi condotta da un titolare di autorizzazione all'immissione in commercio, ha richiesto al Comitato per i prodotti medicinali per uso umano (CHMP) di rivalutare il profilo rischio/beneficio di quei medicinali contenenti tiocolchicoside per via sistemica, in quanto, dopo evidenze sperimentali, si era ipotizzato che il metabolita M2 potesse determinare alterazioni nel numero di cromosomi comportando l'insorgere di casi di aneuplodia. Sulla base di queste osservazioni, il CHMP ha riscontrato che tali alterazioni sono evidenziabili in cellule in fase di divisione a un dosaggio non molto superiore di quello raggiunto nell'organismo alle massime dosi orali raccomandate. Pertanto, pur confermando il rapporto rischio/benefico positivo per tali vie di somministrazioni, si è deciso di imporre delle limitazioni sia ai pazienti che agli operatori sanitari circa l'utilizzo di medicinali contenenti TCC. Le restrizioni riguardanti i pazienti sono:
• il Tiocolchicoside è un medicinale che deve essere utilizzato per patologie legate al dolore muscolare;
• essendo state osservate alterazioni genetiche legate al metabolita M2 del TCC si raccomanda l'utilizzo del medicinale per un periodo di tempo pari a 7 giorni per via orale o per 5 giorni per via intramuscolare. Per periodi maggiori è consigliabile una valutazione da parte del medico;
• non assumere mai in caso di gravidanza o in allattamento; in caso di assunzione, si consiglia l'utilizzo di contraccetivi;
• le formulazioni topiche non rientrano all'interno di queste restrizioni in quanto per tale via il farmaco non raggiunge concentrazioni ematiche paragonabili a quelle raggiunte dopo somministrazione orale; pertanto, i medicinali a base di TCC sono disponibili per l'applicazione cutanea.
Le restrizioni riguardanti gli operatori sanitari sono:
• i medicinali a base di TCC per uso sistemico sono raccomandanti solo per patologie acute a carico del sistema osteo-muscolare, in adulti e adolescenti con un'età maggiore di 16 anni;
• la dose orale massima raccomandata è di 8mg ogni 12 ore e il trattamento non deve superare i 7 giorni consecutivi; nel caso della somministrazione per via intramuscolare, la dose non deve essere superiore ai 4 mg ogni 12 ore e il trattamento non superiore ai 5 giorni;
• i medicinali a base di TCC non devono essere utilizzati durante la gravidanza e l'allattamento, né nelle donne in età fertile senza un previo utilizzo di misure contraccettive;
• i farmacisti in caso di prescrizioni multiple di medicinali contenenti TCC devono indirizzare i pazienti al proprio medico curante;
• ai medici verranno inviate delle note informative in merito alla restrizione delle indicazioni dei medicinali a base di TCC per uso sistemico e verrà inoltre fornito materiale di aggiornamento.
La revisione del CHMP sarà trasmessa alla Commissione Europea che avrà il compito di emanare una decisione definitiva nei tempi dovuti.
Bibliografia
1. M. Artusi, et all. Buccal delivery of thiocolchicoside: in vitro and in vivo permeation studies. International journal of pharmaceutics, 2003; 250; 203-213.
2. M. Trellu, et all. New metabolic and pharmacokinetic characterics of thiocolchicoside and its active metabolite in healthy humans. Foundamental & clinical pharmacology, 2004; 18: 493-501.
Comunicato stampa dell’ Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) in merito alle nuove disposizioni di utilizzo del MabThera® (rituximab) in pazienti con epatite B attiva o con sierologia positiva ma malattia non attiva.
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In data 08/11/2013, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha diramato un comunicato diretto agli operatori sanitari in merito all’utilizzo del MabThera® (rituximab) in pazienti con epatite B attiva o non attiva in quanto sono stati osservati casi di riattivazione virale con insorgenza di forme epatitiche fulminanti anche fatali.
Il rituximab è un anticorpo monoclonale umano/murino approvato per la prima volta dalla autorità Americana ed Europea (rispettivamente nel 1997 e nel 1998) per il trattamento del Linfoma non-Hodgkin (1). Strutturalmente è composto da due regioni: la prima caratterizzata da una porzione costante costituita da una catena pesante di immunoglobulina IgG1 umana e da una catena leggera kappa; la seconda caratterizzata da una regione variabile murina composta da una catena pesante e una leggera (2). Il target del farmaco è la proteina transmembrana CD20 espressa costitutivamente sia sui linfociti B normali che sui linfociti B maligni; la non selettività d’azione comporta la deplezione di entrambe le forme e l’utilizzo del medicinale anche in patologie non-neoplastiche, come la trombocitopenia idiopatica, e non-ematologiche, come l’artrite reumatoide (1). Il meccanismo d’azione responsabile della deplezione linfocitaria consiste nell’induzione di citotossicità complemento-dipendente (CDC), citotossicità cellulare anticorpo-dipendente (ADCC), induzione apoptotica e sensibilizzazione alla chemioterapia. Nel 2004, il rituximab è stato approvato dalle autorità europee e introdotto, in associazione con la chemioterapia convenzionale, nel trattamento di prima linea in pazienti con linfoma indolente (3).
Recenti studi hanno però dimostrato che l’utilizzo del rituximab da solo, o in associazione con terapie citotossiche, è associato ad eventi di riattivazione del virus dell’epatite B (HBV) in pazienti HBsAg negativi, anti-HBcAg positivi e con o senza anti-HBsAg. Tale condizione è stata maggiormente messa in risalto dalla Food Drug Administration (FDA) che ha emanato nel 2004 una segnalazione di allarme sul rischio di disfunzione epatica associata a questi agenti (4). A tal proposito è stato riportato un caso di riattivazione del virus HBV che ha portato al decesso di un paziente di 59 anni. Il paziente, affetto da linfoma maligno e trattato dal 1998 al 2004 con terapia chemioterapica, presentava all'anamnesi epatite pregressa in quanto mostrava a livello sierologico HBsAg-negativo, anti-HBsAg positivo e anti-HBcAg positivo. Inizialmente la terapia chemioterapica, dopo aver determinato una riduzione delle dimensioni delle masse linfonodali, è stata sospesa per poi essere ripresa successivamente per riacutizzazione dell’evento neoplastico. La terapia dal 2000 al 2004 prevedeva l’utilizzo di agenti chemioterapici sia per via endovenosa, quali ciclofosfamide 6300mg, vincristina 8mg, mitoxantrone idrocloridrato 60mg, irinotecan 740mg, desametasone sodio fosfato 140mg e etoposide 2400mg, che per via orale, quali prednisolone 300mg, il quale è stato poi ridotto negli anni a 10mg/die. Nel Luglio del 2004 è stato associato alla terapia chemioterapica il rituximab a scopo preventivo. Dopo due mesi dall’associazione si è osservato un incremento dei livelli di aspartato amino transferasi (AST), alanina amino transferasi (ALT), HBV DNA, aumento del tempo di protrombinemia (PT) e di bilirubina totale. Considerando la storia di epatite si è ipotizzata la riattivazione virale e si è trattato a tal scopo il paziente con lamivudina associata a metilprednisolone. Ciò ha determinato la riduzione dei livelli di AST, ALT e HBV DNA ma non del PT e della bilirubina totale. L’attivazione virale ha comportato successivamente l’insorgenza di una encefalopatia epatica con conseguente insufficienza d’organo e decesso del paziente. Si tratta, quindi, di un caso di riattivazione virale indotta, da rituximab associato a terapia immunosoppressiva in pazienti storicamente epatitici (5). Un ulteriore caso è stato osservato nel 2002 in un paziente con precedente epatite B cronica e affetto da leucemia linfocitica. Il paziente dopo somministrazione di rituximab, come terapia anti-neoplastica, ha manifestato una riacutizzazione della forma virale che ha portato l’insorgenza di una forma di epatite fulminante con conseguente insufficienza epatica e decesso del paziente stesso (6). Alla luce di tali eventi, l’AIFA ha emanato un comunicato che prevede di:
▬ eseguire uno screening per il virus dell’epatite B in tutti i pazienti prima del trattamento con rituximab;
▬ non somministrare il rituximab in pazienti con epatite B attiva;
▬ richiedere la consulenza di un epatologo in quei pazienti con malattia epatitica non attiva ma con sierologia positiva al virus e monitoraggio e gestione secondo gli standard medici locali allo scopo di prevenirne la riattivazione virale.
Nel rispetto di tali considerazioni, tutti gli operatori sanitari sono tenuti a riferire qualsiasi evento avverso che si sospetti correlato all’uso di rituximab utilizzando l’apposita scheda cartacea reperibile attraverso sul sito http://www.agenziafarmaco.gov.it/sites/default/files/tipo_filecb84.pdf, o compilando la scheda elettronica reperibile sul sito http://www.agenziafarmaco.gov.it/sites/default/files/scheda_aifa_operatore_sanitario16.07.2012.doc. Una volta compilato, il materiale deve essere inviato al Responsabile di Farmacoviglanza della struttura sanitaria di appartenenza o, nel caso di strutture sanitarie private, mediante la Direzione sanitaria, al Responsabile di Farmacovigilanza della ASL di competenza territoriale.
Siti di riferimento
www.agenziafarmaco.gov.it
www.ema.europa.eu
Bibliografia
1. G. Cartron, et all. Pharmokinetics of rituximab and its clinical use: thought for the best use?. Clinical reviews in oncology/hematology, 2007. 62: 43-52.
2. Y. T. Becker, et all. Rituximab as treatment for refractory kidney transplant rejection. American journal of transplatation, 2004. 4: 996-1001.
3. E. Kimby. Tolerability and safety of rituximab (MabThera®). Cancer treatment reviews, 2005. 31: 456-473.
4. W. Yeo, et all. Hepatitis B virus reactivation in lymphoma patients with prior resolved hepatitis B undergoing anticancer therapy with or without rituximab. Journal of clinal oncology, 2009. 27: 605-611.
5. T. Sera, et all. Anti-HBs-Positive liver failure due to hepatitis B virus reactivation induced by rituximab. Internal Medicine, 2006. 45: 721-724
6. C. Sarrecchia, et all. HBV reactivation with fatal fulminating hepatitis during rituximab treatment in a subject negative for HBsAg and positive for HBsAb and HBcAb. Journal of infection and chemioterapy, 2005. 11: 189-191.
Il rituximab è un anticorpo monoclonale umano/murino approvato per la prima volta dalla autorità Americana ed Europea (rispettivamente nel 1997 e nel 1998) per il trattamento del Linfoma non-Hodgkin (1). Strutturalmente è composto da due regioni: la prima caratterizzata da una porzione costante costituita da una catena pesante di immunoglobulina IgG1 umana e da una catena leggera kappa; la seconda caratterizzata da una regione variabile murina composta da una catena pesante e una leggera (2). Il target del farmaco è la proteina transmembrana CD20 espressa costitutivamente sia sui linfociti B normali che sui linfociti B maligni; la non selettività d’azione comporta la deplezione di entrambe le forme e l’utilizzo del medicinale anche in patologie non-neoplastiche, come la trombocitopenia idiopatica, e non-ematologiche, come l’artrite reumatoide (1). Il meccanismo d’azione responsabile della deplezione linfocitaria consiste nell’induzione di citotossicità complemento-dipendente (CDC), citotossicità cellulare anticorpo-dipendente (ADCC), induzione apoptotica e sensibilizzazione alla chemioterapia. Nel 2004, il rituximab è stato approvato dalle autorità europee e introdotto, in associazione con la chemioterapia convenzionale, nel trattamento di prima linea in pazienti con linfoma indolente (3).
Recenti studi hanno però dimostrato che l’utilizzo del rituximab da solo, o in associazione con terapie citotossiche, è associato ad eventi di riattivazione del virus dell’epatite B (HBV) in pazienti HBsAg negativi, anti-HBcAg positivi e con o senza anti-HBsAg. Tale condizione è stata maggiormente messa in risalto dalla Food Drug Administration (FDA) che ha emanato nel 2004 una segnalazione di allarme sul rischio di disfunzione epatica associata a questi agenti (4). A tal proposito è stato riportato un caso di riattivazione del virus HBV che ha portato al decesso di un paziente di 59 anni. Il paziente, affetto da linfoma maligno e trattato dal 1998 al 2004 con terapia chemioterapica, presentava all'anamnesi epatite pregressa in quanto mostrava a livello sierologico HBsAg-negativo, anti-HBsAg positivo e anti-HBcAg positivo. Inizialmente la terapia chemioterapica, dopo aver determinato una riduzione delle dimensioni delle masse linfonodali, è stata sospesa per poi essere ripresa successivamente per riacutizzazione dell’evento neoplastico. La terapia dal 2000 al 2004 prevedeva l’utilizzo di agenti chemioterapici sia per via endovenosa, quali ciclofosfamide 6300mg, vincristina 8mg, mitoxantrone idrocloridrato 60mg, irinotecan 740mg, desametasone sodio fosfato 140mg e etoposide 2400mg, che per via orale, quali prednisolone 300mg, il quale è stato poi ridotto negli anni a 10mg/die. Nel Luglio del 2004 è stato associato alla terapia chemioterapica il rituximab a scopo preventivo. Dopo due mesi dall’associazione si è osservato un incremento dei livelli di aspartato amino transferasi (AST), alanina amino transferasi (ALT), HBV DNA, aumento del tempo di protrombinemia (PT) e di bilirubina totale. Considerando la storia di epatite si è ipotizzata la riattivazione virale e si è trattato a tal scopo il paziente con lamivudina associata a metilprednisolone. Ciò ha determinato la riduzione dei livelli di AST, ALT e HBV DNA ma non del PT e della bilirubina totale. L’attivazione virale ha comportato successivamente l’insorgenza di una encefalopatia epatica con conseguente insufficienza d’organo e decesso del paziente. Si tratta, quindi, di un caso di riattivazione virale indotta, da rituximab associato a terapia immunosoppressiva in pazienti storicamente epatitici (5). Un ulteriore caso è stato osservato nel 2002 in un paziente con precedente epatite B cronica e affetto da leucemia linfocitica. Il paziente dopo somministrazione di rituximab, come terapia anti-neoplastica, ha manifestato una riacutizzazione della forma virale che ha portato l’insorgenza di una forma di epatite fulminante con conseguente insufficienza epatica e decesso del paziente stesso (6). Alla luce di tali eventi, l’AIFA ha emanato un comunicato che prevede di:
▬ eseguire uno screening per il virus dell’epatite B in tutti i pazienti prima del trattamento con rituximab;
▬ non somministrare il rituximab in pazienti con epatite B attiva;
▬ richiedere la consulenza di un epatologo in quei pazienti con malattia epatitica non attiva ma con sierologia positiva al virus e monitoraggio e gestione secondo gli standard medici locali allo scopo di prevenirne la riattivazione virale.
Nel rispetto di tali considerazioni, tutti gli operatori sanitari sono tenuti a riferire qualsiasi evento avverso che si sospetti correlato all’uso di rituximab utilizzando l’apposita scheda cartacea reperibile attraverso sul sito http://www.agenziafarmaco.gov.it/sites/default/files/tipo_filecb84.pdf, o compilando la scheda elettronica reperibile sul sito http://www.agenziafarmaco.gov.it/sites/default/files/scheda_aifa_operatore_sanitario16.07.2012.doc. Una volta compilato, il materiale deve essere inviato al Responsabile di Farmacoviglanza della struttura sanitaria di appartenenza o, nel caso di strutture sanitarie private, mediante la Direzione sanitaria, al Responsabile di Farmacovigilanza della ASL di competenza territoriale.
Siti di riferimento
www.agenziafarmaco.gov.it
www.ema.europa.eu
Bibliografia
1. G. Cartron, et all. Pharmokinetics of rituximab and its clinical use: thought for the best use?. Clinical reviews in oncology/hematology, 2007. 62: 43-52.
2. Y. T. Becker, et all. Rituximab as treatment for refractory kidney transplant rejection. American journal of transplatation, 2004. 4: 996-1001.
3. E. Kimby. Tolerability and safety of rituximab (MabThera®). Cancer treatment reviews, 2005. 31: 456-473.
4. W. Yeo, et all. Hepatitis B virus reactivation in lymphoma patients with prior resolved hepatitis B undergoing anticancer therapy with or without rituximab. Journal of clinal oncology, 2009. 27: 605-611.
5. T. Sera, et all. Anti-HBs-Positive liver failure due to hepatitis B virus reactivation induced by rituximab. Internal Medicine, 2006. 45: 721-724
6. C. Sarrecchia, et all. HBV reactivation with fatal fulminating hepatitis during rituximab treatment in a subject negative for HBsAg and positive for HBsAb and HBcAb. Journal of infection and chemioterapy, 2005. 11: 189-191.
Comunicato stampa dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) in merito alle modifiche di utilizzo del medicinale Iclusig (ponatinib) nella leucemia al fine di minimizzare il rischio di tromboembolismo
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In data 22/11/2013, l’AIFA, in accordo con l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), ha emanato una nota informativa in merito alle modifiche di utilizzo del medicinale Iclusig (ponatinib) nella leucemia, al fine di minimizzare il rischio di tromboembolismo.
Iclusig, il cui principio attivo è il ponatinib, è un farmaco ad azione antitumorale indicato per il trattamento della leucemia mieloide cronica (CML) e della leucemia linfoblastica acuta (ALL) con positività al “Cromosoma-Philadelphia” (Ph+) in pazienti adulti. In particolare, è usato in pazienti che non rispondono o che non tollerano dasatinib e nilotinib (farmaci appartenenti alla stessa classe) e per i quali il successivo trattamento con imatinib (terza linea) non è considerato opportuno. È, inoltre, indicato nel trattamento di pazienti che hanno una mutazione genetica chiamata 'mutazione T315I ', che li rende resistenti al trattamento con gli altri farmaci della stessa classe. Ponatinib è un anticorpo monoclonale appartenente alla famiglia degli inibitori delle tirosin-chinasi e agisce bloccando una tirosina-chinasi chiamata Bcr-Abl, presente sulla superficie delle cellule leucemiche e coinvolta nella stimolazione della replicazione cellulare incontrollata. Il blocco di Bcr-Abl, infatti, controlla e riduce la crescita e la diffusione delle cellule leucemiche.
In uno studio clinico di fase 2 sul ponatinib, in pazienti con leucemia e positività al Cromosoma-Philadelphia, è emerso che il 9% di questi pazienti aveva manifestato eventi trombotici arteriosi e il 3% di questi eventi è stato correlato al trattamento farmacologico (1).
Anche la US Food and Drug Administration (FDA) ha valutato il rischio d’insorgenza di eventi tromboembolici associati alla terapia con ponatinib. In studi clinici, condotti prima dell'approvazione in commercio del farmaco, erano emersi eventi tromboembolici arteriosi e venosi, con una frequenza rispettivamente dell’8% e del 3%. Dati successivi, provenienti da studi clinici post-marketing, hanno evidenziato che il 20 % dei pazienti in trattamento con ponatinib ha sviluppato eventi tromboembolici (2).
Alla luce di tali dati il Pharmacovigilance Risk Assessment Committee (PRAC) dell’EMA, nella riunione del 4-7 novembre, ha sottolineato che gli eventi tromboembolici associati all’uso di ponatinib, si manifestano con una frequenza più alta rispetto a quella osservata al momento dell’autorizzazione all’immissione in commercio (luglio 2013). Pertanto, il PRAC ha raccomandato una maggiore cautela e un più attento monitoraggio dei casi di tromboembolismo, in pazienti in trattamento con tale farmaco. Raccomanda, inoltre, un aggiornamento del riassunto delle caratteristiche del prodotto (RCP), sia per rafforzare le avvertenze sul rischio cardiovascolare, che per dare maggiori indicazioni su come ottimizzare la terapia cardiovascolare prima di iniziare il trattamento farmacologico. Tali raccomandazioni sono state esaminate il 22 novembre anche dal Comitato per i medicinali per uso umano dell'Agenzia europea (CHMP), che ha emanato un parere sostanzialmente in linea con quello emesso precedentemente dal PRAC. Infatti, il CHMP ha ribadito che:
• la terapia con Iclusig è controindicata in pazienti con pregressi episodi cardiovascolari quali infarto del miocardio o ictus.
• prima di iniziare il trattamento con Iclusig e durante la terapia farmacologica si devono monitorare attentamente tutti i possibili fattori di rischio cardiovascolari, considerando l’eventualità di interrompere immediatamente il trattamento in caso di ipertensione arteriosa non controllata, segni di occlusione vascolare o tromboembolismo;
• è necessario che il paziente segnali tempestivamente agli operatori sanitari segni e sintomi correlabili alle alterazioni della coagulazione del sangue quali dolore o gonfiore delle gambe, improvvisa e inspiegabile mancanza di respiro, respirazione rapida o tosse, dolore al petto, debolezza o intorpidimento delle gambe, delle braccia e/o del viso.
Alla luce di questi dati, il CHMP, in accordo con il PRAC, condurrà ulteriori esami ed approfondimenti dei dati sui benefici e sui rischi della terapia con Iclusig.
Siti di riferimento:
http://www.agenziafarmaco.gov.it/
http://www.ema.europa.eu/ema/
Bibliografia
1. Cortes JE, Kim DW, Pinilla-Ibarz J, le Coutre P, at all. A phase 2 trial of ponatinib in Philadelphia chromosome-positive leukemias. N Engl J Med. 2013; 369:1783-96.
2. U.S. Food and Drug Administration (FDA): Iclusig (Ponatinib): Drug Safety Communication - Increased Reports Of Serious Blood Clots In Arteries And Veins. U.S. Food and Drug Administration (FDA). Silver Spring, MD. 2013.
Iclusig, il cui principio attivo è il ponatinib, è un farmaco ad azione antitumorale indicato per il trattamento della leucemia mieloide cronica (CML) e della leucemia linfoblastica acuta (ALL) con positività al “Cromosoma-Philadelphia” (Ph+) in pazienti adulti. In particolare, è usato in pazienti che non rispondono o che non tollerano dasatinib e nilotinib (farmaci appartenenti alla stessa classe) e per i quali il successivo trattamento con imatinib (terza linea) non è considerato opportuno. È, inoltre, indicato nel trattamento di pazienti che hanno una mutazione genetica chiamata 'mutazione T315I ', che li rende resistenti al trattamento con gli altri farmaci della stessa classe. Ponatinib è un anticorpo monoclonale appartenente alla famiglia degli inibitori delle tirosin-chinasi e agisce bloccando una tirosina-chinasi chiamata Bcr-Abl, presente sulla superficie delle cellule leucemiche e coinvolta nella stimolazione della replicazione cellulare incontrollata. Il blocco di Bcr-Abl, infatti, controlla e riduce la crescita e la diffusione delle cellule leucemiche.
In uno studio clinico di fase 2 sul ponatinib, in pazienti con leucemia e positività al Cromosoma-Philadelphia, è emerso che il 9% di questi pazienti aveva manifestato eventi trombotici arteriosi e il 3% di questi eventi è stato correlato al trattamento farmacologico (1).
Anche la US Food and Drug Administration (FDA) ha valutato il rischio d’insorgenza di eventi tromboembolici associati alla terapia con ponatinib. In studi clinici, condotti prima dell'approvazione in commercio del farmaco, erano emersi eventi tromboembolici arteriosi e venosi, con una frequenza rispettivamente dell’8% e del 3%. Dati successivi, provenienti da studi clinici post-marketing, hanno evidenziato che il 20 % dei pazienti in trattamento con ponatinib ha sviluppato eventi tromboembolici (2).
Alla luce di tali dati il Pharmacovigilance Risk Assessment Committee (PRAC) dell’EMA, nella riunione del 4-7 novembre, ha sottolineato che gli eventi tromboembolici associati all’uso di ponatinib, si manifestano con una frequenza più alta rispetto a quella osservata al momento dell’autorizzazione all’immissione in commercio (luglio 2013). Pertanto, il PRAC ha raccomandato una maggiore cautela e un più attento monitoraggio dei casi di tromboembolismo, in pazienti in trattamento con tale farmaco. Raccomanda, inoltre, un aggiornamento del riassunto delle caratteristiche del prodotto (RCP), sia per rafforzare le avvertenze sul rischio cardiovascolare, che per dare maggiori indicazioni su come ottimizzare la terapia cardiovascolare prima di iniziare il trattamento farmacologico. Tali raccomandazioni sono state esaminate il 22 novembre anche dal Comitato per i medicinali per uso umano dell'Agenzia europea (CHMP), che ha emanato un parere sostanzialmente in linea con quello emesso precedentemente dal PRAC. Infatti, il CHMP ha ribadito che:
• la terapia con Iclusig è controindicata in pazienti con pregressi episodi cardiovascolari quali infarto del miocardio o ictus.
• prima di iniziare il trattamento con Iclusig e durante la terapia farmacologica si devono monitorare attentamente tutti i possibili fattori di rischio cardiovascolari, considerando l’eventualità di interrompere immediatamente il trattamento in caso di ipertensione arteriosa non controllata, segni di occlusione vascolare o tromboembolismo;
• è necessario che il paziente segnali tempestivamente agli operatori sanitari segni e sintomi correlabili alle alterazioni della coagulazione del sangue quali dolore o gonfiore delle gambe, improvvisa e inspiegabile mancanza di respiro, respirazione rapida o tosse, dolore al petto, debolezza o intorpidimento delle gambe, delle braccia e/o del viso.
Alla luce di questi dati, il CHMP, in accordo con il PRAC, condurrà ulteriori esami ed approfondimenti dei dati sui benefici e sui rischi della terapia con Iclusig.
Siti di riferimento:
http://www.agenziafarmaco.gov.it/
http://www.ema.europa.eu/ema/
Bibliografia
1. Cortes JE, Kim DW, Pinilla-Ibarz J, le Coutre P, at all. A phase 2 trial of ponatinib in Philadelphia chromosome-positive leukemias. N Engl J Med. 2013; 369:1783-96.
2. U.S. Food and Drug Administration (FDA): Iclusig (Ponatinib): Drug Safety Communication - Increased Reports Of Serious Blood Clots In Arteries And Veins. U.S. Food and Drug Administration (FDA). Silver Spring, MD. 2013.
NOTA INFORMATIVA IMPORTANTE DELL’AGENZIA ITALIANA DEL FARMACO (AIFA) RELATIVA ALLA CORRETTA MODALITA’ DI RICOSTITUZIONE DELLA SPECIALITÀ MEDICINALE JEVTANA® (CABAZITAXEL).
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In data 5 Novembre 2013, l’AIFA, in accordo con l’EMA, ha pubblicato una Nota Informativa contenente importanti aggiornamenti in merito alla corretta modalità di ricostituzione della specialità medicinale Jevtana® (il cui principio attivo è cabazitaxel).
Cabazitaxel è un agente antineoplastico indicato nel trattamento di pazienti affetti da carcinoma prostatico metastatico ormono-refrattario (mHRPC), trattati in precedenza con un regime contenente docetaxel, in combinazione con prednisone o prednisolone (1,2).
Cabazitaxel si lega al sistema dei microtubuli cellulari, stabilizzandoli e inibendo, quindi, la depolimerizzazione della tubulina, processo essenziale per la mitosi e l’interfase cellulare.
La ricostituzione di Jevtana® richiede un processo di diluizione articolato in due fasi. Per compensare l’eventuale perdita di farmaco durante l’allestimento, sia il flaconcino di concentrato di cabazitaxel che il contenuto del flaconcino di solvente prevedono un sovra-riempimento.
Il sovra-riempimento assicura che, dopo la diluizione del concentrato con l’intero contenuto del flaconcino di solvente fornito, ci sia una soluzione diluita iniziale, chiamata “premix” o “miscela concentrato-solvente”, contenente 10 mg/ml di Jevtana®.
Alla luce di alcune recenti segnalazioni relative ad episodi di errata ricostituzione di tale farmaco, secondo cui, durante la prima fase di allestimento, veniva trasferito nel flaconcino di concentrato soltanto il volume nominale del flaconcino solvente (pari a 4,5 ml) piuttosto che l’intero contenuto (pari a 5,67 ml), con conseguenti casi di sovradosaggio (con una reale dose somministrata dal 15% al 20% superiore rispetto alla dose prescritta), la Sanofi-Aventis, azienda produttrice di Jevtana®, ha opportunamente provveduto ad informare gli operatori sanitari sulla corretta modalità di allestimento del farmaco e ha, pertanto, divulgato le seguenti raccomandazioni:
• La corretta preparazione della soluzione per infusione di Jevtana richiede un processo di diluizione a due fasi;
• Durante la prima fase (diluizione iniziale del concentrato) è necessario trasferire sempre l’intero contenuto del flaconcino di solvente nel concentrato, al fine di raggiungere la concentrazione di 10 mg/ml di cabazitaxel nel “premix”;
• Durante la seconda fase (preparazione della soluzione per infusione) prelevare dal “premix” il volume richiesto e iniettare nella sacca di infusione alla posologia di Jevtana® da somministrare al paziente.
Le possibili complicanze in caso di sovradosaggio potrebbero essere rappresentate da un’esacerbazione di reazioni avverse come soppressione midollare e disturbi gastrointestinali, così come indicato nel Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto (RCP) e nel Foglietto Illustrativo del suddetto farmaco.
In caso di utilizzo di un software automatico per l’allestimento di tale farmaco, è necessario verificare, inoltre, che il sistema sia stato ottimizzato per prelevare l’intero contenuto del flaconcino di solvente da aggiungere al flaconcino di concentrato, in modo da assicurare sempre una concentrazione di 10 mg/ml nel “premix”.
Siti di riferimento
http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/content/nota-informativa-importante-su-jevtana-cabazitaxel-05112013
http://www.ema.europa.eu/ema/
Bibliografia
1) Keating GM. Cabazitaxel: a guide to its use in hormone-refractory metastatic prostate cancer. Drugs Aging. 2013;30: 359-65;
2) Pal SK, Twardowski P, Sartor O. Critical appraisal of cabazitaxel in the management of advanced prostate cancer. Clin Interv Aging. 2010;5:395-402
Cabazitaxel è un agente antineoplastico indicato nel trattamento di pazienti affetti da carcinoma prostatico metastatico ormono-refrattario (mHRPC), trattati in precedenza con un regime contenente docetaxel, in combinazione con prednisone o prednisolone (1,2).
Cabazitaxel si lega al sistema dei microtubuli cellulari, stabilizzandoli e inibendo, quindi, la depolimerizzazione della tubulina, processo essenziale per la mitosi e l’interfase cellulare.
La ricostituzione di Jevtana® richiede un processo di diluizione articolato in due fasi. Per compensare l’eventuale perdita di farmaco durante l’allestimento, sia il flaconcino di concentrato di cabazitaxel che il contenuto del flaconcino di solvente prevedono un sovra-riempimento.
Il sovra-riempimento assicura che, dopo la diluizione del concentrato con l’intero contenuto del flaconcino di solvente fornito, ci sia una soluzione diluita iniziale, chiamata “premix” o “miscela concentrato-solvente”, contenente 10 mg/ml di Jevtana®.
Alla luce di alcune recenti segnalazioni relative ad episodi di errata ricostituzione di tale farmaco, secondo cui, durante la prima fase di allestimento, veniva trasferito nel flaconcino di concentrato soltanto il volume nominale del flaconcino solvente (pari a 4,5 ml) piuttosto che l’intero contenuto (pari a 5,67 ml), con conseguenti casi di sovradosaggio (con una reale dose somministrata dal 15% al 20% superiore rispetto alla dose prescritta), la Sanofi-Aventis, azienda produttrice di Jevtana®, ha opportunamente provveduto ad informare gli operatori sanitari sulla corretta modalità di allestimento del farmaco e ha, pertanto, divulgato le seguenti raccomandazioni:
• La corretta preparazione della soluzione per infusione di Jevtana richiede un processo di diluizione a due fasi;
• Durante la prima fase (diluizione iniziale del concentrato) è necessario trasferire sempre l’intero contenuto del flaconcino di solvente nel concentrato, al fine di raggiungere la concentrazione di 10 mg/ml di cabazitaxel nel “premix”;
• Durante la seconda fase (preparazione della soluzione per infusione) prelevare dal “premix” il volume richiesto e iniettare nella sacca di infusione alla posologia di Jevtana® da somministrare al paziente.
Le possibili complicanze in caso di sovradosaggio potrebbero essere rappresentate da un’esacerbazione di reazioni avverse come soppressione midollare e disturbi gastrointestinali, così come indicato nel Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto (RCP) e nel Foglietto Illustrativo del suddetto farmaco.
In caso di utilizzo di un software automatico per l’allestimento di tale farmaco, è necessario verificare, inoltre, che il sistema sia stato ottimizzato per prelevare l’intero contenuto del flaconcino di solvente da aggiungere al flaconcino di concentrato, in modo da assicurare sempre una concentrazione di 10 mg/ml nel “premix”.
Siti di riferimento
http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/content/nota-informativa-importante-su-jevtana-cabazitaxel-05112013
http://www.ema.europa.eu/ema/
Bibliografia
1) Keating GM. Cabazitaxel: a guide to its use in hormone-refractory metastatic prostate cancer. Drugs Aging. 2013;30: 359-65;
2) Pal SK, Twardowski P, Sartor O. Critical appraisal of cabazitaxel in the management of advanced prostate cancer. Clin Interv Aging. 2010;5:395-402
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