Inibitori di pompa e rischio cardiovascolare: i dati di una revisione sistematica.
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Recentemente, sulla rivista scientifica Heart, Lung and Circulation, è stata pubblicata una revisione sistematica secondo la quale è emerso un significativo incremento del rischio cardiovascolare nei pazienti trattati con inibitori di pompa (IPP).
Gli IPP, i quali agiscono inibendo l’azione della pompa protonica K+/H+-ATPasi, costituiscono la classe di farmaci più efficace nell’inibizione della secrezione acido-gastrica, la cui scoperta ha rivoluzionato il trattamento e la prevenzione di diverse malattie gastro-intestinali acido-correlate, quali esofagiti da reflusso, dispepsia, sindrome di Zollinger-Ellison nonché ulcere gastroduodenali in pazienti che necessitano di un trattamento continuativo con farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS). Poiché caratterizzati da un buon profilo di sicurezza e tollerabilità, gli IPP rappresentano una delle classi di farmaci maggiormente prescritte in Italia. Infatti, secondo i dati dell’ultimo rapporto OsMed pubblicato dall’Agenzia Italiana del Farmaco, l’intera classe terapeutica rimane saldamente al primo posto in termini di spesa farmaceutica convenzionata ed in particolare gli IPP pantoprazolo, lansoprazolo, omeprazolo ed esomeprazolo sono tra i primi 30 principi attivi a maggior spesa convenzionata e consumo dell’anno 2016. [1].
Tuttavia, soprattutto in seguito a diversi studi che hanno messo in evidenza un loro utilizzo eccessivo ed inappropriato [2], negli ultimi anni sono emerse diverse preoccupazioni di sicurezza rispetto ai possibili eventi avversi a lungo termine correlati a tali farmaci, quali patologie cardiovascolari, diminuita funzionalità renale, disordini nutrizionali, infezioni, demenza e mortalità [3].
Rispetto al rischio della morbidità e mortalità cardiovascolare correlato agli IPP, inizialmente messo in evidenza solo in pazienti in trattamento concomitante con clopidogrel, il dibattito resta ancora aperto.
La suddetta revisione sistematica è stata condotta effettuando una ricerca di tutti gli studi, pubblicati da gennaio 1990 ad ottobre 2016, in cui fossero stati valutati gli effetti del trattamento con IPP sulla mortalità da tutte le cause e sugli eventi avversi cardiovascolari, quali infarto miocardico, ictus o eventi arteriosi periferici. Sono stati, dunque, inclusi gli studi che avessero come un gruppo di controllo costituito da pazienti non esposti a IPP, mentre sono stati esclusi quelli in cui fossero state indagate interazioni tra IPP e clopidogrel, risultando così eleggibili complessivamente 6 studi. Da una stima dei dati aggregati dei singoli studi è emerso un incremento statisticamente significativo sia del tasso di mortalità da tutte le cause (OR 1,68; IC95% 1,53-1,84; p< 0,001) che degli eventi cardiovascolari (OR 1,54; IC95% 1,11-2,13; p=0,01) nei pazienti trattati con IPP rispetto a quelli non esposti [4]. Diverse sono state le ipotesi formulate per mettere in evidenza la plausibilità biologica e, dunque, i possibili meccanismi che sottendono i rischi correlati all’utilizzo degli IPP. In particolare, l’incremento del rischio cardiovascolare da IPP sembrerebbe essere correlato all’induzione da parte di tale classe di farmaci di una disfunzione endoteliale per alterazioni a carico del pathway dell’ossido nitrico (NO), a possibili meccanismi pro-aritmici dovuti all’alterato assorbimento di calcio e magnesio farmaco-indotto o, ancora, all’inibizione dell’isoenzima CYP2C19 esercitata dagli IPP, che nel caso di utilizzo concomitante di clopidogrel comporta una riduzione dell’attivazione di quest’ultimo e dunque del suo effetto antiaggregante piastrinico, con un incremento del rischio di eventi trombotici [5].
Va sottolineato, tuttavia, che tale revisione sistematica presenta alcuni limiti, in termini di numerosità ed eterogeneità degli studi inclusi. Pertanto, tali risultati richiedono certamente ulteriori validazioni attraverso la conduzione di ulteriori studi interventistici ed osservazionali nonchè ricerche sistematiche e metanalisi al fine di ottenere dati e stime più robuste.
[1] Rapporto OsMed _ http://www.aifa.gov.it/content/luso-dei-farmaci-italia-rapporto-osmed-2016
[2] Joel J. Heidelbaugh, Andrea H. Kim, Robert Chang, and Paul C. Walker. Overutilization of proton-pump inhibitors: what the clinician needs to know. TherapAdvGastroenterol. 2012 Jul; 5(4): 219–232.
[3] Corsonello A, Lattanzio F, Bustacchini S, Garasto S, Cozza A, Schepisi R, Lenci F, Luciani F, Maggio MG, Ticinesi A, Butto V, Tagliaferri S, Corica F. Adverseevents of protonpumpinhibitors: potentialmechanisms. CurrDrugMetab. 2017 Dec 7.
[4] Shiraev TP, Bullen A. Proton Pump Inhibitors and Cardiovascular Events: A Systematic Review. Heart Lung Circ. 2018 Apr;27(4):443-450.
[5] Corsonello A, Lattanzio F, Bustacchini S, Garasto S, Cozza A, Schepisi R, Lenci F, Luciani F, Maggio MG, Ticinesi A, Butto V, Tagliaferri S, Corica F. Adverse events of proton pump inhibitors: potential mechanisms. Curr Drug Metab. 2017 Dec 7.