Terapia cronica con inibitori di pompa protonica e rischio di danni renali.
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In data 14 aprile 2016, è stato pubblicato sul Journal of American Society of Nephrology (JASN) uno studio, i cui risultati suggeriscono che l’utilizzo prolungato di Inibitori di Pompa Protonica (IPP) aumenta il rischio di danni renali.
Gli IPP, che agiscono attraverso l’inibizione della pompa K+/H+-ATPasi, sono la classe di farmaci più prescritta per il trattamento delle malattie gastrointestinali acido-correlate. In letteratura, tuttavia, emergono diversi studi che ne evidenziano un uso eccessivo ed inappropriato [1][2][3] che espone i pazienti a maggiori rischi di insorgenza di eventi avversi. Anche l’Associazione Italiana Gastroenterologi & Endoscopisti digestivi Ospedalieri (AIGO), in un comunicato stampa dello scorso mese di febbraio, ha lanciato l’allarme per oltre 1.280.000 pazienti [4]. In Italia, secondo i rapporti OsMed degli ultimi anni, il consumo degli IPP risulta, infatti, essere in progressivo aumento, con un numero medio di dosi di farmaco consumate giornalmente (DDD) da 1000 abitanti più che raddoppiato negli ultimi dieci anni (DDD da 33,8 nel 2006 a 80,1 nel 2014) [5]. Risulta inoltre che molti pazienti, i quali iniziano la terapia con IPP per una precisa indicazione medica, continuano ad assumere il farmaco più a lungo del necessario. Sulla base di tali premesse, è evidente l’importanza dei dati emersi relativi all’uso prolungato di tali farmaci, per i quali risulta già nota l’associazione con il rischio di nefrite interstiziale acuta. Lo studio pubblicato su JASN [6], ha valutato l’esposizione a lungo termine agli IPP in relazione all’incidenza di nefropatia cronica e alla sua progressione. L’indagine è stata condotta confrontando una coorte di nuovi utilizzatori di IPP (n=173.321) con un’altra, di controllo, che comprendeva nuovi utilizzatori di antagonisti del recettore istaminergico H2 (n=20.270). Le due coorti di pazienti sono state costruite utilizzando le banche-dati nazionali del Department of Veterans Affairs e sono state seguite per un periodo di 5 anni per verificarne gli outcomes renali. Dai dati riportati emerge che il gruppo in terapia con IPP mostra un maggiore rischio di incidenza di insufficienza renale, con valori di eGFR<60ml/min per 1.73m2 (HR 1,22; IC95% 1,18-1,26) e di nefropatia cronica (HR 1,96; IC95% 1,21-3.18). Inoltre, i pazienti trattati con IPP hanno mostrato un aumento significativo del rischio di raddoppiare i livelli sierici di creatinina (HR 1,53; IC95% 1,42-1,65), di riduzione dell’eGFR di un valore >30% (HR 1,96; IC95% 1,28-1,37) e di sviluppare insufficienza renale (HR 1,32; IC95% 1,21-3,18). Infine, dal confronto di pazienti trattati con IPP per meno di 30 giorni con gruppi sottoposti a terapia per periodi più lunghi (31-90, 181-360 e 361-720 giorni) emerge che l’aumento del rischio degli outcomes renali è proporzionale alla durata dell’esposizione agli IPP. Gli autori, pertanto, consigliano un uso appropriato di tali farmaci, assumendoli solo quando effettivamente necessari e per brevi periodi di tempo, salvo pazienti con sintomatologia recidivante.
Bibliografia e sitografia di riferimento
[1] Joel J. Heidelbaugh, Andrea H.Kim, Robert Chang and Paul C. Wlker. Overutilization of proton-pump inhibitors: whar the clinician needs to know. Therap Adv Gastroenterol. 2012 Jul
[2] George CJ, Korc B, Ross JS. Appropiate proton pump inhibitor use among older adults : a retrospective chart review. Am J Geriatr Pharmacother. 2008 Dec
[3] Bisanth Thushila Batuwitage, Jeremy GC Kingham, Nia Emma Morgan, and Ruth Louise Bartlett. Inappropriate prescribing of proton pump inihibitors in primary care. Postgrad Med J. 2007 Jan
[4] http://www.webaigo.it/area_stampa/comunicati_stampa.asp
[5] Rapporto OsMed 2014 – AIFA
[6] Xie Y, Bowe B, Li T, Xian H, Al-Aly Z. Proton pump inhibitors and risk of incident CKD and progression to ESRD, JASN April 14, 2016