Farmacovigilanza

COMUNICATO STAMPA DELL’AGENZIA EUROPEA DEI MEDICINALI (EMA) E DELL’AGENZIA ITALIANA DEL FARMACO (AIFA) IN MERITO ALL’AVVIO DI UNA RIVALUTAZIONE DEL PROFILO RISCHIO/BENEFICIO DEI MEDICINALI CONTENENTI VALPROATO

In data 11 Ottobre 2013, l’AIFA, in accordo con l’EMA, ha divulgato un Comunicato Stampa contenente importanti aggiornamenti in merito al profilo di sicurezza dei medicinali a base di valproato (in Italia in commercio come Depakin e Depakin Chrono®).
I farmaci contenenti valproato sono indicati nel trattamento dell’epilessia generalizzata, in particolare negli attacchi mioclonici, tonico-clonici, atonici, misti e assenza. Sono indicati, inoltre, nel trattamento di episodi di epilessia parziale semplice o complessa e secondariamente generalizzata di sindromi specifiche (West, Lennox-Gastaut), nonché nel trattamento di episodi di mania correlati al disturbo bipolare quando il litio è controindicato o non tollerato.
L’esatto meccanismo d’azione di tali farmaci non è ben conosciuto, ma si ipotizza che essi svolgano un ruolo chiave nel potenziare l’inibizione mediata dall’acido gamma-amino butirrico (GABA) attraverso un’azione indiretta a livello presinaptico sul metabolismo del GABA e/o attraverso un’azione diretta a livello postsinaptico sui canali ionici Na+-voltaggio dipendenti della membrana neuronale, inibendo l’ingresso degli ioni Na+ nella cellula, con conseguente riduzione dell’eccessiva attività elettrica neuronale.
In monoterapia la dose abituale iniziale è di 5-10 mg di acido valproico/kg di peso corporeo, che deve essere incrementata gradualmente di circa 5 mg di acido valproico/kg di peso corporeo ogni 4-7 giorni. In alcuni casi, l’effetto pieno non si manifesta prima di 4-6 settimane.
La dose media giornaliera abituale nei trattamenti a lungo termine è:
- 20 mg di acido valproico/ kg di peso corporeo nei pazienti adulti e negli anziani;
- 25 mg di acido valproico/ kg di peso corporeo negli adolescenti;
- 30 mg di acido valproico/ kg di peso corporeo nei bambini.
E’ noto da tempo che l'utilizzo di farmaci antiepilettici in gravidanza aumenta il rischio di malformazioni congenite nei bambini nati da donne gravide in trattamento con tali farmaci e che i medicinali a base di valproato possono essere associati a una maggiore incidenza di tali malformazioni congenite rispetto ad altri farmaci antiepilettici.
A seguito della pubblicazione di nuovi studi che riportano casi di sviluppo ritardato, anche di lunga durata, incluso autismo, in bambini nati da donne in trattamento con tali farmaci, oltre ai già noti casi di malformazioni congenite, il Pharmacovigilance Risk Assessment Committee (PRAC), Comitato competente per la valutazione dei rischi di sicurezza per i medicinali per uso umano, ha avviato, su richiesta dell’Agenzia Regolatoria del Regno Unito (Medicines and Healthcare Products Regulatory Agency - MHRA), una revisione sul profilo rischio/beneficio di valproato e delle sostanze ad esso correlate, il cui esito consentirà all’EMA di poter esprimere un parere in merito all'utilizzo di questi medicinali nelle donne in gravidanza e a formulare eventuali raccomandazioni in merito.
Essendo i farmaci contenenti valproato e sostanze ad esso correlate autorizzati a livello nazionale, il parere e le eventuali raccomandazioni del PRAC saranno successivamente trasmesse al Gruppo di Coordinamento per il Mutuo Riconoscimento e le procedure decentrate per i medicinali di uso umano (CMDh) che adotterà una posizione definitiva in merito.
Le altre reazioni avverse correlate all’utilizzo di tali farmaci comprendono trombocitopenia, leucopenia, iperammoniemia isolata e moderata, edema periferico, sanguinamento, sindrome da Rush da Farmaci con Eosinofilia e Sintomi Sistemici (sindrome DRESS), cefalea, spasticità, atassia, sonnolenza, tremore o parestesie, tinnito e irregolarità nel ciclo mestruale.
Sono state segnalati, inoltre, iponatriemia e sindrome da inappropriata secrezione dell’ormone antidiuretico. A tal riguardo, il Lareb, il centro di farmacovigilanza olandese, ha raccolto le segnalazioni di altri 4 casi di donne che, in seguito all’assunzione di acido valproico, hanno riportato comparsa iponatriemia e di sindrome da inappropriata secrezione dell’ormone antidiuretico.
Secondo gli esperti del Lareb l’associazione tra acido valproico e iponatriemia o sindrome da inappropriata secrezione di ormone antidiuretico potrebbe essere causale.
Il meccanismo col quale il farmaco porta all’iponatriemia non è chiaro, ma diversi potrebbero essere i fattori coinvolti: ridotta sensibilità degli osmocettori ipotalamici, influenza diretta sulla funzione tubulare renale o altri fattori non meglio identificati.


Siti di riferimento
http://www.agenziafarmaco.gov.it/sites/default/files/TRADUZIONE_Valproate%20-%20EMA%20announcement.pdf


Bibliografia
Beers E, van Puijenbroek, et al. Syndrome of inappropriate antidiuretic hormone secretion (SIADH) or hyponatraemia associated with valproic acid. Drug Saf 2010;33:47-55.

Il Pharmacovigilance Risk Assessment Commettee (PRAC) ha confermato che i benefici di tutti i contraccettivi orali combinati (COC) continuano a superarne i rischi.

In data 11/10/2013, il PRAC dell’EMA ha rivalutato il rischio di comparsa di tromboembolia venosa (TEV o coaguli di sangue nelle vene) dopo assunzione di COC. Il PRAC ha concluso che i benefici dei COC nel prevenire gravidanze indesiderate continuano a superare i rischi.
La TEV è una delle patologie più comuni del sistema cardiocircolatorio e le manifestazioni cliniche sono: la trombosi venosa profonda e l’embolia polmonare. L’incidenza annuale di questa patologia è difficile da stimare in quanto è spesso clinicamente silente e, in molti casi, il primo segno della malattia è un’embolia polmonare che risulta fatale. L’incidenza complessiva di TEV è di circa 1000 casi l’anno, di cui circa due terzi si manifestano come trombosi venosa profonda e un terzo come embolia polmonare. Tra i fattori di rischio vi sono l’obesità, l’ospedalizzazione prolungata (immobilizzazione e infezioni), l’uso di anestetici generali, le neoplasie, la trombofilia, il fumo e l’utilizzo di contraccettivi orali, in particolare, di COC(1).
I COC sono contraccettivi che contengono due tipi di ormoni, un progestinico e un estrogenico. Essi vengono di solito classificati, in base alla loro introduzione in commercio, in generazioni. La prima generazione di contraccettivi è stata sviluppata negli anni ’60 e i farmaci contenevano un’elevata quantità di estrogeno, ma non l’ormone progestinico. La seconda generazione di contraccettivi orali combinava, invece, piccole quantità di estrogeno con diversi ormoni progestinici (principalmente il levonorgestrel) in concentrazioni differenti. Dagli anni ’90 in poi, sono stati sviluppati e commercializzati molti tipi di contraccettivi contenenti ormoni progestinici diversi che furonodenominati contraccettivi di terza e quarta generazione.
Una prima valutazione dei COC era stata avviata nel 1995 ed era basata su tre studi epidemiologici indipendenti, che indicavano un aumento del rischio di TEV associato all’uso di questi farmaci, rispetto al solo utilizzo del progestinico levonorgestrel. Alla fine della valutazione, il PRAC concluse che:
• Il livello di rischio era basso per cui non vi era ragione che le donne in trattamento con COC interrompessero la terapia.
• Nelle donne che facevano uso di un contraccettivo contenente desogestrel o gestodene in combinazione con 30 µg di etinilstrediolo, il rischio di sviluppare TEV era di poco superiore all’uso di contraccettivi contenenti levonorgestrel combinato con la stessa quantità di etilestradiolo.
• Il rischio di TEV era maggiore durante il primo anno di assunzione del farmaco, qualunque era il COC utilizzato.
• Il rischio di sviluppare la TEV era inferiore con l’uso di COC rispetto a quello associato alla gravidanza.
Nel 2012, il CHMP Pharmacovigilance Working (PhVWP), a cui è succeduto il PRAC, ha completato una rivalutazione di due nuovi studi epidemiologici sul rischio di TEV associato all’uso di COC contenenti drospirenone (Yasmine® e Yasminelle®). In particolare, dalla rivalutazione è emerso che il rischio di TEV associato ai contraccettivi contenenti drospirenone è più alto del rischio associato all’uso di COC contenenti levonorgestrel, ma simile a quello associato all’assunzione di COC contenenti desogestrel o gestodene.
Considerati tutti i dati oggi a disposizione, il comitato raccomanda che le donne e i medici prescrittori siano informati sul già noto rischio di tromboembolia prestando attenzione all’eventuale comparsa di segni e sintomi e tale raccomandazione sarà trasmessa al Committee for Medical Products for Human Use (CHMP), che avrà il compito di esprimere un parere definitivo.
In ogni caso, la rivalutazione effettuata dal PRAC ha confermato che il rischio di TEV associato all’uso di tutti i COC è basso e ha dimostrato l’esistenza di differenze a seconda del tipo di progestinico che essi contengono. È comunque importante che tutte le donne che assumono i COC vengano informate sui possibili rischi di TEV e i loro medici curanti devono prendere in considerazione gli eventuali fattori di rischio soggettivi che comprendono: fumo, sovrappeso, età, emicranie e storia familiare di TEV.
In sintesi le conclusioni del PRAC sono:
• il livello di rischio è considerato basso con l’uso dei COC contenenti progestinici levonorgestrel, norgestimate e noretisterone;
• il rischio è stato stimato più alto con l’uso di progestinici etonogestrel e norelgestormina;
• il rischio è anche stimato essere superiore con l’uso dei progestinici gestoden e drospirenone;
• per i COC contenenti clormadinone, dienogest e normegestrolo, i dati disponibili non sono sufficienti a stabilire se i suddetti farmaci abbaino un profilo di tollerabilità migliore dei COC da più tempo in commercio. Tuttavia gli studi sono in corso.
Le raccomandazioni del PRAC saranno condivise dal CHMP che adotterà un parere da sottoporre alla Commissione Europea la quale emanerà una decisione giuridicamente vincolante nel corso di una riunione che si terrà il 18-21 Novembre 2013.


Siti di riferimento
http://www.agenziafarmaco.gov.it/it
http://www.ema.europa.eu/ema/

Bibliografia
Wong P, Baglin T. Epidemiology, risk factors and sequelae of venous thromboembolism. Phlebology. 2012;27 Suppl 2:2-11.

Comunicato stampa dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) in merito al rischio di epatotossicità grave correlato all’uso di agomelatina (Valdoxan®/Thymanax®).

In data 14/10/2013, l’AIFA ha diramato un comunicato, diretto agli operatori sanitari, in merito al potenziale rischio di grave epatotossicità correlato all’uso di agomelatina. Infatti, dati post-marketing hanno riportato, in pazienti trattati con Valdoxan®/Thymanax®, casi di danno epatico, inclusi insufficienza epatica, aumento degli enzimi epatici di 10 volte superiore al valore normale, epatite e ittero. Tali reazioni sono comparse durante i primi mesi di trattamento.
Agomelatina è un agonista melatoninergico (recettori MT1 e MT2) e antagonista dei recettori 5-HT2C, autorizzato per il trattamento degli episodi di depressione maggiore nei pazienti adulti; il suo meccanismo d’azione, diverso dagli altri antidepressivi, gli conferisce la capacità di migliorare non solo l’umore, ma anche i cicli del sonno e dell’appetito. Il farmaco è stato, infatti, utilizzato anche per il trattamento della Sindrome da Alimentazione Notturna (Night Eating Syndrome –NES), così come riportato in un case report del 2013 [1].
Nel 2009, l’EMA ha concesso l’Autorizzazione all’Immissione in Commercio (AIC) per l’agomelatina, raccomandando di effettuare test di funzionalità epatica (liver function tests – LFTs) prima e durante il trattamento con il farmaco, nello specifico, dopo 3 e 6 settimane (fine della fase acuta) e dopo 12 e 24 settimane (fine della fase di mantenimento) dall’inizio del trattamento [2].
Al fine di verificare l’effettiva incidenza di epatotossicità correlata al farmaco, Gahr e collaboratori hanno condotto un’analisi delle segnalazioni di epatotossicità presenti nel database dell’Agenzia Regolatoria tedesca (German Medical Regulatory Body – BfArM). Complessivamente, sono stati identificati 58 casi di epatotossicità in pazienti (69% donne, età > 50 anni, 57% in trattamento con più farmaci, 58,5% con fattori di rischio cardiovascolare) in trattamento con agomelatina; nello specifico, il 79% dei pazienti ha presentato incrementi asintomatici degli enzimi epatici e il 10% epatite tossica. Nella maggior parte dei casi, le reazioni sono migliorate o scomparse alla sospensione del trattamento. Tali risultati hanno evidenziato la forte correlazione tra assunzione di agomelatina e comparsa di epatotossicità grave, e, in particolare, hanno mostrato come la presenza di fattori di rischio (età, sesso femminile, terapie farmacologiche combinate) possa determinare un aumento dell’incidenza di comparsa di tale reazione avversa [3]. Inoltre, così come riportato nella nota informativa AIFA, da una revisione di studi clinici è stato riscontrato un notevole incremento delle transaminasi (> 3 volte il limite superiore del valore normale) in pazienti trattati con agomelatina, soprattutto alla dose di 50 mg (il 2,5% rispetto al 1,4% di quelli trattati con 25 mg).
Alla luce di quanto riportato e, dato il mancato monitoraggio della funzionalità epatica e dei fattori di rischio per danno epatico prima e durante il trattamento con agomelatina, l’EMA ha concluso che i benefici di agomelatina superano i rischi solo se saranno introdotte ulteriori misure atte a garantire la sicurezza del paziente. Pertanto, il Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto (RCP) sarà aggiornato con le informazioni relative alla controindicazione del medicinale in pazienti con rischio di danno epatico (valori di transaminasi > 3 volte il valore normale) o affetti da compromissione della funzionalità epatica (con cirrosi o epatopatia in atto).
Si raccomanda, inoltre, agli operatori sanitari di non somministrare il farmaco a pazienti anziani di età ≥ 75 anni, data la mancanza di un’efficacia significativa provata in questa fascia d’età, e di ripetere i test di funzionalità epatica qualora il paziente presenti un aumento delle transaminasi sieriche, nel caso in cui venga aumentato il dosaggio di agomelatina o quando clinicamente indicato.



Siti di riferimento
www.agenziafarmaco.gov.it/
www.ema.europa.eu/
Bibliografia
1. Milano W et al., Agomelatine efficacy in the night eating syndrome. Case Rep Med. 2013; 2013:867650.
2. Sinnott C et al., Agomelatine: clinical experience and adherence to EMA recommendations for a novel antidepressant. Ir Med J. 2013; 106:52-4.
3. Gahr M et al., Agomelatine and hepatotoxicity: implications of cumulated data derived from spontaneous reports of adverse drug reactions. Pharmacopsychiatry. 2013; 46: 214-20.

Il PRAC dell’EMA conferma che le soluzioni per infusione contenenti amido idrossietilico (HES) non devono più essere utilizzate in pazienti con sepsi o ustioni o in pazienti critici.

In data 11/10/2013, il Comitato di Valutazione dei Rischi per la Farmacovigilanza (PRAC) dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) ha confermato che le soluzioni HES non devono più essere utilizzate per il trattamento dell’ipovolemia nei pazienti con sepsi, ustioni o in pazienti in condizioni critiche, a causa di un aumentato rischio di danno renale e di mortalità. L’amido idrossietilico è un polisaccaride a catena ramificata simile al glicogeno, composto per il 98% da amidopectine. Le soluzioni per infusione contenenti HES appartengono alla classe terapeutica dei colloidi e vengono utilizzate per reintegrare il volume di sangue in quanto, grazie al loro potere oncotico, consentono di trattenere nei vasi il liquido effettivamente somministrato o richiamare liquido dall’interstizio (plasma expander). A tal proposito, si preferisce il loro utilizzo a quello dei cristalloidi (Ringer lattato) che, una volta somministrati, in poche ore trasudano nell’interstizio esponendo il paziente a rischio di edema interstiziale. La prima rivalutazione delle soluzioni per infusione a base di HES è stata avviata il 29 novembre 2012 su richiesta dell’Agenzia dei Medicinali tedesca, ai sensi dell’articolo 31 della Direttiva 2001/83/CE. Tale rivalutazione è stata condotta dal PRAC e si è conclusa il 13 giugno 2013; in seguito alcuni titolari di AIC di tali medicinali hanno richiesto un riesame. Più precisamente, in data 14/06/2013 l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), in accordo con le autorità regolatorie europee, ha pubblicato un comunicato in cui raccomandava la sospensione dell’autorizzazione all’immissione in commercio delle specialità medicinali contenenti HES. La revisione si basava su studi che avevano valutato l’uso di HES rispetto all’uso di cristalloidi in pazienti critici. Tali studi hanno evidenziato che i pazienti con sepsi grave trattati con HES presentavano un maggiore rischio di danno renale che conduceva alla dialisi e un maggiore rischio di mortalità [1-3]. Inoltre, la terapia con HES era associata a una maggiore incidenza di danno renale acuto e insufficienza renale rispetto all’uso di Ringer lattato. Il PRAC aveva inizialmente concluso che l’uso di soluzioni HES doveva essere sospeso in tutte le popolazioni di pazienti, fino a quando il titolare dell’AIC non fosse in grado di fornire dati convincenti per identificare un gruppo di pazienti in cui i benefici dell’HES superassero i rischi. Oggi il PRAC ha ritenuto che le soluzioni HES possono essere utilizzate nei pazienti con ipovolemia emorragica in cui il trattamento con cristalloidi in monoterapia non è sufficiente. Al fine di minimizzare i rischi, il PRAC ha raccomandato che tali soluzioni non vengano somministrate per più di 24 ore e che per almeno 90 giorni venga monitorata la funzione renale del paziente; inoltre, sono stati richiesti nuovi studi sull’uso di questi medicinali in chirurgia elettiva e in pazienti traumatizzati. Attualmente le soluzioni per infusione contenenti HES sono tutte autorizzate a livello nazionale, quindi, la decisione aggiornata del PRAC sarà trasmessa al Gruppo di Coordinamento per il Mutuo Riconoscimento e le Procedure Decentrate per uso umano (CMDh) che adotterà una posizione definitiva. Nel momento in cui il CMDh definirà la sua posizione, la Commissione europea adotterà una posizione legalmente vincolante in tutti i Paesi dell’Unione Europea.

Siti di riferimento
http://www.aifa.it
http://www.ema.europa.eu
Bibliografia
1) Perner A et al.: Hydroxyethyl starch 130/0.42 versus Ringer's acetate in severe sepsis.
N Engl J Med. 2012; 367:124-34.

2) Brunkhorst FM et al.: Intensive insulin therapy and pentastarch resuscitation in severe sepsis.
N Engl J Med. 2008; 358:125-39.

3) Myburgh JA et al.: Hydroxyethyl starch or saline for fluid resuscitation in intensive care.
N Engl J Med. 2012; 367:1901-11.

Nota informativa importante concordata con l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA).

In data 30/09/2013, l‘AIFA in accordo con l’Istituto Lusofarmaco d’Italia S.p.A. e l'Agenzia Europea per i Medicinali (EMA), ha emanato un comunicato in cui raccomandano importanti restrizioni d’uso dei beta agonisti a breve durata d’azione (SABA) nelle indicazioni ostetriche.
Le formulazioni orali e suppositorie dei SABA, in particolare ritodrina (Miolene®) e isossisuprina (Vasosuprina®), non devono essere utilizzate in alcuna indicazione ostetrica; inoltre l’uso parenterale deve essere limitato al massimo a 48 ore e consentito solo con la supervisione dello specialista per le indicazioni: inibizione del parto pretermine tra la 22a e 37a settimana di gestazione. Si specifica, inoltre, che le formulazioni parenterali dei SABA non devono essere somministrate in pazienti con storia pregressa di malattia cardiaca, in quanto sono associate alla comparsa e all’aggravamento di eventi avversi cardiovascolari sia per la madre che per il nascituro.
Sono farmaci che agiscono sui recettori β2-adrenergici dell’utero e determinano inibizione della contrazione della muscolatura liscia del miometrio mediante attivazione dell’adenilciclasi e conseguente aumento della concentrazione intracellulare di adenosin monofosfato ciclico (AMPc). Nella classe dei β-agonisti, quelli maggiormente usati come tocolitici sono ritodrina, isossisuprina e terbutalina, che, ampiamente studiati nel corso di una meta-analisi, si sono dimostrati efficaci nel prolungare la gravidanza di 2-7 giorni, senza però ridurre il rischio di mortalità perinatale. Nel corso di questa meta-analisi, le reazioni avverse presentatesi a carico della madre sono risultate gravi, come nel caso di aritmie cardiache ed edema polmonare (1).
In generale, le reazioni avverse maggiormente associate all’assunzione di β2-agonisti a breve durata d’azione includono tachicardia, sudorazione, tremori, nausea e mal di testa nelle, prime ore successive all’assunzione, e alterazioni delle concentrazioni di potassio e glucosio. Tali effetti tendono a ridursi in seguito ad esposizioni ripetute al farmaco; i casi di aritmia risultano maggiormente frequenti se presente ipossemia. È stata, inoltre, riscontrata un’aumentata incidenza di reazioni cardiovascolari gravi quali morte cardiovascolare, ischemia ed insufficienza cardiaca, a seguito dell’assunzione delle formulazioni orali di β2-agonisti, che hanno incluso (2).
A causa della comparsa di reazioni cardiovascolari gravi in ostetricia, il Comitato per la Valutazione dei rischi in Farmacovigilanza (PRAC) presso l'EMA ha rivalutato il rapporto rischio/beneficio di tutti i SABA nelle indicazioni ostetriche e ha concluso che i β2-agonisti a breve durata d’azione, per uso orale e suppositori sono associati ad eventi avversi gravi e dose-dipendenti, soprattutto cardiovascolari, osservati sia nella madre che nel feto. Non ci sono sufficienti evidenze a supporto dell'uso dei beta-agonisti orali nella prevenzione del parto pretermine nelle donne ad alto rischio. In studi randomizzati e controllati non è stato osservato alcun effetto statisticamente significativo della tocolisi su mortalità o morbilità perinatale.
Dato che i vantaggi dei SABA orali e suppositori nelle indicazioni ostetriche non superano i rischi, i suddetti farmaci non devono più essere utilizzati e pertanto, le indicazioni ostetriche saranno rimosse da tutte le formulazioni orali o suppositorie dei SABA. Pertanto riguarda le formulazioni parenterali dei β2-agonisti a breve durata sono ritenute efficaci nella rapida distensione dell'utero;le donne con maggiore probabilità di trarre beneficio dall'uso di farmaci tocolitici sono quelle con una minaccia di parto pretermine molto precoce. Il tempo ottenuto nel ritardo del parto pretermine può essere utilizzato per mettere in atto altre misure note per migliorare la salute perinatale (3). Anche in questo caso il PRAC ha concluso che i benefici delle formulazioni parenterali dei SABA superano i rischi nelle indicazioni ostetriche della tocolisi nel breve termine, in particolare quando vengono assunti per periodi di tempo > 48 ore per le pazienti tra la 22a e la 37a settimana di gestazione e con la supervisione di uno specialista.
Il PRAC ha quindi raccomandato, per ridurre al minimo il rischio di eventi avversi cardiovascolari nella madre e nel feto, che l'uso nella tocolisi richiede un adeguato screenig pre-trattamento e un monitoraggio della paziente al fine di individuare l'insorgenza precoce di eventi cardiovascolari e minimizzare ulteriormente il rischio di un evento cardiovascolare grave. I SABA non devono inoltre essere utilizzati nelle donne con una storia di malattia cardiaca o nelle condizioni in cui il prolungamento della gravidanza è pericoloso per la madre o per il feto.




Siti di riferimento:

http://www.agenziafarmaco.gov.it/
http://www.ema.europa.eu/ema/


Bibliografia

1. Ekkehard Schleußner et al., The Prevention, Diagnosis and Treatment of Premature Labor Dtsch Arztebl Int. 2013; 110: 227–236.

2. Abramson MJet al. Adverse effects of β-agonists: are they clinically relevant? Am J Respir Med. 2003;2:287-97.

3. McParland PC. Obstetric management of moderate and late preterm labour. Seminars in Fetal and Neonatal Medicine 2012; 17:138-142

   

  

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