Farmacovigilanza

NOTA INFORMATIVA IMPORTANTE AIFA: NUOVO DOSATORE PER VALCYTE® (Valganciclovir)

In data 15 marzo 2022, la Roche S.p.A in accordo con l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha rilasciato una nota informativa riguardante il nuovo dispensatore di Valcyte®50 mg/ml polvere per soluzione orale graduato in millilitri (ml) e non più in milligrammi (mg) [1].

Valcyte® è un antivirale, il cui principio attivo è il valganciclovir cloridrato, profarmaco del ganciclovir, indicato in caso di retinite da CMV (Citomegalovirus) in pazienti adulti affetti da sindrome di immunodeficienza acquisita (AIDS) e nella prevenzione della malattia da CMV in adulti e bambini (dalla nascita ai 18 anni di età) negativi al CMV, sottoposti a trapianto di organo solido da donatore CMV positivo.  

Dal mese di aprile 2022, Valcyte® 50 mg/ml sarà ufficialmente dotato del nuovo dispensatore, graduato fino a 10 mL (500 mg) con incrementi da 0,5 mL (25 mg). 
Sul nuovo confezionamento esterno è riportata in rosso la frase di avvertenza: “Attenzione: dispositivo graduato in millilitri (mL)” al fine di evitare errori posologici, che possono essere causa di reazioni avverse prevenibili e quindi evitabili. E’ fondamentale infatti stabilire e assumere la corretta dose prescritta di farmaco per evitare le più comuni reazioni da sovradosaggio (tossicità ematologica, epatotossicità, nefrotossicità, tossicità gastrointestinale e neurotossicità) o da sottodosaggio (mancata efficacia terapeutica del farmaco).   
Il medico prescrittore dovrà calcolare il dosaggio in milligrammi ed effettuare la conversione in millilitri per garantire al paziente la somministrazione della dose corretta, come da tabella esemplificativa riportata nella nota AIFA [1]. La conversione da mg a mL non comporta un aumento della dose o della quantità erogata in quanto il volume totale, e la dose di farmaco in esso contenuta, rimangono invariati.
Il medico deve porre attenzione in quanto 1 millilitro (mL) di soluzione contiene 50 milligrammi (mg) di valganciclovir e deve riportare sulla prescrizione il dosaggio corretto espresso sia in milligrammi (mg) che in millilitri (mL).           
Al farmacista, all’atto della dispensazione del farmaco, viene altresì raccomandato di controllare la corrispondenza in mL sia sulla confezione esterna che sulla prescrizione del medico.

Il farmacista, inoltre, deve assicurarsi che il paziente o il suo caregiver abbia effettivamente compreso come utilizzare la nuova siringa per la somministrazione di Valcyte 50 mg/mL polvere per somministrazione orale. 
Per calcolare il dosaggio nella popolazione pediatrica sarà utilizzata la formula di Schwart, per cui tutte le dosi devo essere arrotondate per eccesso o per difetto al più vicino incremento da 25 mg per la dose effettivamente erogabile.       
Infine, per permettere un monitoraggio continuo post-autorizzazione del rapporto beneficio/rischio del medicinale in questione, agli operatori sanitari è richiesta la segnalazione di qualsiasi reazione avversa attraverso il sistema nazionale di segnalazione: http://www.aifa.gov.it/content/segnalazioni-reazioni-avverse. In alternativa la segnalazione di sospetta reazione avversa può essere comunicata a Roche S.p.A., rappresentante locale del medicinale Valcyte all’indirizzo  Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. .

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iferimenti
1) https://www.aifa.gov.it/documents/20142/1622129/2022.03.15_NII_Valcyte_IT.pdf 

Nota Informativa Importante AIFA sulla necessità di posticipare l’impiego di vaccini vivi per i neonati esposti a infliximab durante la gravidanza o l’allattamento al seno.

In data 7 marzo 2022, i titolari dell'autorizzazione all'immissione in commercio di infliximab, in accordo con l'Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) e l'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), hanno diramato una Nota Informativa Importante (NII) rivolta agli operatori sanitari sulla sicurezza di infliximab. In particolare, tale nota è volta ad informare il personale sanitario sulla necessità di posticipare l’impiego di vaccini vivi nei neonati esposti a infliximab durante la gravidanza e l’allattamento al seno [1].

Infliximab è un anticorpo monoclonale umano-murino chimerico, che si lega con alta affinità sia alla forma solubile che a quella transmembrana del TNFα, citochina pro-infiammatoria che gioca un ruolo chiave nelle reazioni autoimmuni. Approvato in Europa dal 1999, è oggi indicato, come iniezione endovenosa, per il trattamento del morbo di Crohn, della colite ulcerosa, dell'artrite reumatoide, della spondilite anchilosante, dell'artrite psoriasica e della psoriasi a placche. Nello specifico, esso agisce bloccando l’interazione tra il TNF-α e il suo recettore, così da inibirne l’attività legata ad una serie di meccanismi a cascata della risposta infiammatoria, e più precisamente del sistema immunitario [2, 3].

Evidenze scientifiche suggeriscono che le donne in gravidanza o in fase di allattamento in alcuni casi continuano ad assumere farmaci biologici come infliximab, al fine di poter trattare disturbi infiammatori cronici o malattie immuno-mediate, quali morbo di Crohn e colite ulcerosa [5].

A seguito del trattamento con infliximab durante la gravidanza, è stato riscontrato che il medicinale attraversa la placenta ed è stato rilevato nei neonati fino a 12 mesi dopo la nascita [5]. Allo stesso modo bassi livelli di infliximab sono stati rilevati anche nel latte materno [1].
In seguito ad esposizione in utero a tale medicinale, i bambini possono essere a maggior rischio di infezione. Tra queste è inclusa una infezione disseminata grave potenzialmente fatale da Bacillus Calmette Guérin (BCG), riscontrata in seguito alla somministrazione del vaccino BCG vivo (contro la tubercolosi) dopo la nascita [1]. Si precisa che il vaccino BCG contro la tubercolosi (Tb)è utilizzato spesso in bambini piccoli nei Paesi con un’elevata incidenza di Tb, mentre in Italia è utilizzato solo in alcune categorie a rischio [5]. Tuttavia, altri vaccini vivi attenuati inclusi nel notstro Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale sono il vaccino contro morbillo, parotite e rosolia (MPR), il vaccino contro il Rotavirus e quello contro la varicella [6].       

Pertanto, la NII raccomanda di aspettare un periodo di 12 mesi dalla nascita
per somministrare vaccini vivi ai neonati di gestanti che hanno assunto infliximab durante la gravidanza. Allo stesso modo viene raccomandato di posticipare l’uso di tali vaccini in neonati allattati al seno mentre la madre è in trattamento con infliximab. Secondo la NNI, la somministrazione di un vaccino vivo prima dei 12 mesi di vita potrebbe essere presa in considerazione qualora i livelli sierici di infliximab nel neonato non risultino rilevabili o la somministrazione di infliximab fosse stata limitata al primo trimestre di gravidanza (periodo in cui il trasferimento placentare di IgG è considerato minimo) e ne risulti un chiaro beneficio clinico per il singolo neonato.  
           
Gli stampati del medicinale sono in fase di aggiornamento per includere le attuali raccomandazioni sulla somministrazione di vaccini vivi ai bambini dopo l'esposizione in utero o durante l'allattamento
. Le donne gravide o in fase di allattamento devono informare l’operatore sanitario responsabile della vaccinazione dell’eventuale uso di infliximab. La nota conclude invitando gli operatori a segnalare qualsiasi sospetta reazione avversa tramite il sistema di segnalazione nazionale https://www.aifa.gov.it/content/segnalazioni-reazioni-avverse ricordando di indicare il nome ed i dettagli del lotto del medicinale [1].

Riferimenti bibliografici e sitografici

$1  1.      https://www.aifa.gov.it/documents/20142/1622129/2022.03.07_NII_Infliximab_IT.pdf

$1  2.      Scavone C, Rafaniello C, Berrino L, Rossi F, Capuano A. Strengths, weaknesses and future challenges of biosimilars’ development. An opinion on how to improve the knowledge and use of biosimilars in clinical practice. Pharmacol Res Netherlands. 2017;126:138–42. 

$   3 .      Agenzia Italiana del Farmaco - Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto Remicade® (infliximab). Disponibile al link: https://farmaci.agenziafarmaco.gov.it/aifa/servlet/PdfDownloadServlet?pdfFileName=footer_000720_034528_RCP.pdf&retry=0&sys=m0b1l3

$1 4.      Anja Geldhof 1, Jennifer Slater 2, Michael Clark 3, Urmila Chandran 4, Danielle Coppola 4, Exposure to Infliximab During Pregnancy: Post-Marketing Experience, 2020 Feb;43(2):147-161. doi: 10.1007/s40264-019-00881-8.

$1 5.      Epicentro-Istituto Superiore di Sanità. Tubercolosi, informazioni generali. Disponibile al link: https://www.epicentro.iss.it/tubercolosi/

$1 6.      Ministero della Salute. Piano nazionale prevenzione vaccinale. Disponibile al link: https://www.salute.gov.it/portale/vaccinazioni/dettaglioContenutiVaccinazioni.jsp?lingua=italiano&id=4828&area=vaccinazioni&menu=vuoto

EMERGENZA COVID-19: raccomandazioni EMA su Spikevax e sindrome da perdita capillare

In data 11/03/2022, l’Agenzia Europea dei Medicinali (European Medicines Agency – EMA), a seguito della valutazione da parte del Comitato per la Valutazione dei Rischi per la Farmacovigilanza (Pharmacovigilance Risk Assessment Committee - PRAC), ha raccomandato l’aggiornamento del Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto (RCP) e del Foglietto Illustrativo del vaccino a mRNA Spikevax,indicato per la prevenzione della malattia da coronavirus (CoronaVirus Disease 2019 - COVID-19), con l’inserimento di una nuova avvertenza circa le riacutizzazioni della sindrome da perdita capillare (CLS) [1].

La CLS è una rara condizione patologica grave, di natura idiopatica o secondaria, e quindi causata da infezioni virali, tumori maligni, malattie infiammatorie o trattamenti terapeutici che includono fattori di crescita [2].       
La malattia è caratterizzata da una anormale risposta infiammatoria con conseguente stravaso di liquido a livello interstiziale, fenomeni ipotensivi, ipoalbuminemia e successiva insufficienza d'organo [3].

Al fine di valutare la correlazione tra insorgenza di CLS e somministrazione dei vaccini ad mRNA Spikevax e Comirnaty, il PRAC ha analizzato tutti i dati presenti in EudraVigilance, database Europeo di Farmacovigilanza per la raccolta di segnalazioni (Individual Case Safety Raports - ICSRs) di sospette reazioni avverse a farmaci e vaccini. Sono stati individuati 55 ICSRs relativi a CLS, di cui 44 riferite a Comirnaty e 11 a Spikevax. Nel periodo in esame, inoltre, sono state somministrate circa 559 milioni di dosi per Spikevax e 2 miliardi di dosi per Comirnaty. L’analisi ha suggerito che, ad oggi, non ci sono dati sufficienti a supporto dell’associazione causale tra vaccinazione e nuovi casi di CLS. Tuttavia, dal momento che alcuni casi supportavano la possibile riacutizzazione della CLS in seguito alla somministrazione di Spikevax, il PRAC ha suggerito, di inserire un’avvertenza sul potenziale rischio di riacutizzazione in pazienti con pregressa malattia. L’avvertenza ha lo scopo di informare sia gli operatori sanitari che i pazienti, al fine di individuare rapidamente segni e sintomi della malattia, soprattutto nei soggetti con storia clinica di CLS, e identificare i possibili rischi della riacutizzazione.

[1].

Riferimenti bibliografici e sitografici

$1   1.      European Medicines Agency- Meeting highlights from the Pharmacovigilance Risk Assessment Committee (PRAC) 7-10 March 2022. Disponibile al link:https://www.ema.europa.eu/en/news/meeting-highlights-pharmacovigilance-risk-assessment-committee-prac-7-10-march-2022    

$1    2.      Duron L, Delestre F, Amoura Z, Arnaud L. [Idiopathic and secondary capillary leak syndromes: A systematic review of the literature] 2015 Jun;36(6):386-94. doi: 10.1016/j.revmed.2014.11.005. Epub 2015 Jan 15.

$1   3.      Case R, Ramaniuk A, Martin P, Simpson PJ, Harden C, Ataya A. Systemic Capillary Leak Syndrome Secondary to Coronavirus Disease 2019. Chest. 2020 Dec;158(6):e267-e268. doi: 10.1016/j.chest.2020.06.049.

Rapporto Nazionale AIFA sull’uso degli antibiotici in Italia (2020)

In data 10 marzo 2022, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha presentato e pubblicato il nuovo Rapporto “L’uso degli Antibiotici in Italia – 2020”, realizzato dall’Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei Medicinali (OsMed) dell’AIFA, che consente di monitorare l’andamento dei consumi e della spesa in Italia e al contempo di identificare le aree di potenziale inappropriatezza d’uso [1].

Il consumo complessivo, pubblico e privato di antibiotici in Italia nel 2020 è stato pari a 17,7 Dosi Definite Giornaliere (Defined Daily Dose, DDD) ogni 1000 abitanti al giorno (17,7 DDD/1000 ab die), mostrando una riduzione rispetto al 2019 pari al 18,2%. Questo dato subisce una forte variabilità geografica: 15,5 DDD/1000 ab die nell’area settentrionale, 17,6 DDD/1000 ab die nell’area centrale e 21,0 DDD/1000 ab die nell’area meridionale. Quasi l’80% delle dosi totali (13,8 DDD/1000 ab die) è stato erogato dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN), con una riduzione del 21,7% rispetto al 2019. Anche la spesa pro capite di antibiotici del SSN (Italia: 11,6 euro; Nord: 9,2 euro; Centro: 12,6 euro; Sud: 14,4 euro) è in diminuzione rispetto al 2019 (Italia: -17,6%; Nord: -15,0%; Centro: -19,0%; Sud: -19,0%).

Circa il 90% del consumo di antibiotici a carico del SSN (12,1 DDD/1000 ab die) viene erogato in regime di assistenza convenzionata, confermando che gran parte dell’utilizzo avviene a seguito della prescrizione del Medico di Medicina Generale o del Pediatra di Libera Scelta.

Gli acquisti privati di antibiotici rimborsabili dal SSN (fascia A) sono stati pari a 3,9 DDD/1000 ab die, che corrispondono al 24% del consumo territoriale totale di antibiotici, e a una spesa pro capite di 2,05 euro. Nel caso della spesa pro capite degli acquisti privati di antibiotici di fascia A, non si evidenzia una variabilità geografica significativa, tuttavia l’area Sud mostra un significativo incremento della spesa pro capite rispetto al 2019 (+28,8%).

Gli antibiotici di maggior consumo sono le penicilline in associazione agli inibitori delle beta-lattamasi, seguite dai macrolidi e fluorochinoloni. Queste tre categorie sono quelle che maggiormente hanno contribuito alla flessione dei consumi degli antibiotici sistemici osservata rispetto al 2016 (-27,4%).

Nell’analisi dei consumi e dei costi per area geografica, si è osservato che nelle regioni del Sud vi è una propensione a utilizzare maggiori quantità di antibiotici e a scegliere i farmaci con il costo più elevato rispetto alle regioni del Nord, risultati che indicano la possibilità di ottenere anche margini di risparmio attraverso un miglioramento dell’appropriatezza prescrittiva. In particolare, la Campania è la regione con i maggiori consumi (+50,4%) e il costo medio per DDD più elevato (+16,4) rispetto alla media nazionale, mentre il Friuli Venezia Giulia e la PA di Bolzano presentano rispettivamente il minor costo medio (-20,1%) e il consumo più basso (-50%).

Circa 30% dei cittadini ha ricevuto almeno una prescrizione di antibiotici e in media ogni utilizzatore è stato in trattamento per circa 14 giorni nel corso dell’anno, con una prevalenza d’uso che aumenta all’avanzare dell’età, superando il 50% nella popolazione ultra-ottantacinquenne. In particolare, si conferma un maggior consumo di antibiotici nelle fasce estreme (0-4 anni e 85+ anni) e un più frequente utilizzo di antibiotici per le donne nelle fasce d’età intermedie (20-64 anni).

Sono stati presi in considerazione alcuni indicatori utilizzati dall’European Surveillance of Antimicrobial Consumption (ESAC) relativi al consumo di antibiotici. L’indicatore dell’incidenza delle associazioni di penicilline mostra come in Italia vi sia un ampio ricorso a queste molecole, che in diverse circostanze cliniche potrebbero essere sostituite da penicilline a spettro più ristretto (es. amoxicillina semplice). In particolare, si osserva come le regioni del Nord e del Centro prediligano questa categoria di antibiotici rispetto ad altre categorie di seconda scelta. Al contrario, relativamente alla valutazione dell’incidenza dell’uso delle cefalosporine di terza e quarta generazione, considerate categorie di seconda scelta, si riscontra una maggiore predilezione per questi antibiotici nelle regioni del Sud. Allo stesso modo, si riscontra al Sud la maggiore incidenza dei fluorochinoloni. Dall’analisi sul rapporto tra il consumo di antibiotici ad ampio spettro rispetto al consumo di antibiotici a spettro ristretto, si osserva una marcata predilezione dell’Italia per le molecole ad ampio spettro rispetto agli altri Paesi europei, con un peggioramento nel 2020 rispetto al 2019, passando dall’11,0 del 2019 al 12,3 del 2020.

Nell’analisi della distribuzione del consumo di antibiotici sistemici in base alla classificazione AWaRe (Access: molecole a basso rischio di induzione di resistenza agli antibiotici, Watch: antibiotici con un maggiore rischio di indurre resistenze, Reserve: molecole da utilizzare solo nei casi più gravi come le cefalosporine di quarta generazione), si è osservato che la frequenza di antibiotici appartenenti alla categoria Access usati a livello nazionale è ben al di sotto di quanto richiesto (>60%) dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel General Programme of Work 2019-2023. Sia in ambito pediatrico che geriatrico, i consumi di antibiotici appartenenti alla categoria Access registrano percentuali più basse del target individuato dall’OMS (57,8% e circa il 40%, rispettivamente). La preferenza per gli antibiotici Watch rispetto a quelli Access è osservabile in tutte le regioni ma con una maggiore frequenza al Sud (14,8 DDD/1000 ab die per Watch vs 10,9 DDD/1000 ab die per Access).

Come documentato nell’ultimo Rapporto OsMed, gli antibiotici sono tra i farmaci più prescritti nella popolazione pediatrica [2]. Nel corso del 2020, il 26,2% della popolazione italiana con un’età pari o inferiore a 13 anni ha ricevuto almeno una prescrizione di antibiotici sistemici, con una media di 2 confezioni per ogni bambino trattato. Questo dato evidenzia una netta differenza rispetto ai dati del 2019, in cui si osservava almeno una prescrizione al 40,9% della popolazione pediatrica. Tale riduzione è stata registrata in tutte le aree geografiche e sembra attribuibile alle misure implementate per contenere la trasmissione di SARS-CoV-2, risultate efficaci anche nel ridurre la frequenza delle comuni infezioni sia batteriche che virali, dato che queste ultime sono spesso impropriamente trattate con antibiotici, soprattutto nel periodo invernale. Il maggior livello di esposizione si rileva nella fascia d’età compresa tra 2 e 5 anni, con un tasso di prescrizione leggermente superiore nei maschi. La variabilità geografica è evidente: la prevalenza d’uso degli antibiotici al Sud è del 30,3% mentre del 22,6% al Nord. Inoltre, al Sud vi è un maggior ricorso a cefalosporine e macrolidi.

I dati relativi alla popolazione geriatrica sono di particolare interesse perché la scelta dell’antibiotico da somministrare a questi soggetti deve tener conto del maggior rischio di eventi avversi associato alle modificazioni fisiologiche correlate all’età che, avendo un impatto sulla farmacocinetica, aumentano il rischio di interazioni tra farmaci, in particolare nei soggetti sottoposti a politerapia. Nel 2020, quasi il 45% della popolazione ultrasessantacinquenne ha ricevuto almeno una prescrizione di antibiotici sistemici, con una forte variabilità regionale: 56,5% al Sud, 46,8% al Centro e 33,4% al Nord. Inoltre, sono state osservate importanti riduzioni rispetto al 2019 sia in termini di DDD/1000 abitanti die (-17,9%) sia in termini di prevalenza d’uso (-15,2%). Più in particolare, i livelli di consumo degli antibiotici sistemici aumentano progressivamente all’avanzare dell’età (da 17,0 DDD/1000 ab die nella fascia 65-69 a 27,6 DDD/1000 ab die negli ultranovantenni), e sono più elevati negli uomini.

Nel confronto con i dati degli altri Paesi europei, il consumo di antibiotici in Italia si è mantenuto superiore alla media, nonostante la marcata contrazione rispetto all’anno precedente, che si è osservata anche negli altri Paesi. Inoltre, l’Italia si colloca tra i Paesi europei con il consumo più basso di antibiotici del gruppo Access.

Infine, è stato valutato l’impatto della pandemia da SARS-CoV-2 sull’uso complessivo degli antibiotici, confrontando i primi semestri degli anni 2019, 2020 e 2021. Nel periodo 2020-2021, come conseguenza delle misure implementate per contrastare la pandemia da SARS-CoV-2 che hanno avuto un impatto anche sugli altri agenti infettivi, si registra una variazione stagionale dei consumi di antibiotici sistemici meno marcata rispetto agli anni precedenti. L’uso degli antibiotici nell’ambito dell’assistenza convenzionata nel primo semestre 2021 è stato pari a 10,5 DDD/1000 ab die, in riduzione del 21,2% rispetto al primo semestre del 2020. Dalla valutazione dell’andamento mensile nel periodo da gennaio 2019 ad agosto 2021, si rilevano in tutti i mesi del 2020 consumi minori rispetto al 2019, con differenze più accentuate nel periodo aprile/giugno (caratterizzato nel 2020 da lockdown) e a dicembre (mese in cui sono state potenziate le misure per ridurre gli spostamenti tra regioni). I consumi dei primi 8 mesi del 2021 appaiono molto simili a quelli di fine anno 2020, con una media mensile di 10,2 DDD, un livello minimo di 9,6 DDD nei mesi di maggio e agosto e un massimo di 12,1 DDD registrato a marzo. Nell’ambito dell’assistenza convenzionata, l’azitromicina è l’unico principio attivo, insieme alla fosfomicina, per cui i consumi complessivi del 2020 (1,3 DDD/1000 abitanti die) non sono diminuiti rispetto al 2019. Relativamente agli acquisti diretti, nel primo semestre 2020, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, sono stati registrati notevoli incrementi nell’uso di azitromicina, più elevati al Nord (+192,0%) e al Sud (+145,6%) rispetto al Centro (+69,1%), a cui si aggiungono quelli registrati nel secondo semestre 2020. Al contrario, nel primo semestre 2021 i consumi hanno registrato una tendenza in riduzione rispetto allo stesso periodo del 2020. In aggiunta, sono state incluse le analisi sull’uso degli antibiotici in ambito ospedaliero, quelle relative all’acquisto privato di antibiotici di fascia A, un’analisi sul consumo degli antibiotici ad uso non sistemico e la valutazione degli indicatori di appropriatezza prescrittiva nell’ambito della Medicina Generale.

Riferimenti:

$11.      Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) – L’uso degli antibiotici in Italia – Rapporto Nazionale anno 2020. Disponibile al link: https://www.aifa.gov.it/-/l-uso-degli-antibiotici-in-italia-rapporto-nazionale-anno-2020

$12.      Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) –Rapporto Nazionale OsMed 2020 sull’uso dei farmaci in Italia. Disponibile al link: https://www.aifa.gov.it/-/rapporto-nazionale-osmed-2020-sull-uso-dei-farmaci-in-italia

Conflitto Russia-Ucraina e profilassi farmacologica anti-radiazioni nucleari: l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) sconsiglia soluzioni “fai da te” a base di iodio ma raccomanda l’utilizzo dal sale iodato.

In data 08/03/2022 l’ISS, in accordo con le principali Associazioni e Società Italiane di Medici Endocrinologi, ha pubblicato un comunicato in cui raccomanda l’utilizzo del sale iodato e sconsiglia fortemente il ricorso a soluzioni “fai da te” a base di iodio che potrebbero portare solo ad un blocco funzionale della tiroide [1].

L’elevata richiesta di pillole a base di iodio da parte della popolazione di diversi Paesi europei deriva dalla paura di una eventuale guerra nucleare a seguito dell’attuale conflitto tra Russia e Ucraina.

Come noto, la fissione nucleare e il fenomeno della reazione a catena che ne consegue sono alla base del funzionamento delle bombe atomiche (in cui la reazione è incontrollata) e dei reattori nucleari (in cui la reazione è controllata). Sappiamo che la fissione dell'uranio, uno degli elementi a nuclei pesanti più frequentemente utilizzati, produce grandi quantità di isotopo radioattivo iodio-131 (131I) che può, dunque, essere rilasciato nell'atmosfera nel corso di un incidente o di una guerra nucleare (resa 2,878% di uranio-235) [2]. Il pennacchio di vapore radioattivo risultante può viaggiare fino a 300 miglia. Lo iodio-131 può essere assorbito dall’uomo per inalazione o ingestione di cibo o latte contaminati. Gli incidenti del reattore nucleare di Chernobyl (1986), Three Mile Island (1979) e Fukushima (2011) sono chiari esempi dei possibili rischi delle radiazioni ionizzanti dello 131I per la tiroide. Questo isotopo, con un'emivita di 8 giorni, è uno dei più pericolosi rilasciati in un incidente nucleare, perché si concentra a livello della ghiandola tiroidea ed emette raggi beta che provocano danni cellulari. Lo sviluppo di noduli tiroidei benigni e maligni in seguito all'esposizione alle radiazioni ionizzanti dalle esplosioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki è stato largamente documentato in letteratura [3-5].       
Come riportato nelle Linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la pianificazione e la risposta alle emergenze nucleari [6], l'agente più comunemente usato per proteggere la tiroide dallo iodio radioattivo è lo ioduro di potassio (KI), sebbene anche lo iodato di potassio (KIO3) risulta ugualmente valido.

La profilassi con ioduro di potassio può ridurre significativamente la dose di radiazioni assorbite dalla tiroide a causa dell'esposizione al 131I. In una situazione sperimentale, lo ioduro di potassio (KI) somministrato prima dell'esposizione ha ridotto l'accumulo di 131I nella ghiandola tiroidea da una media del 20% a meno del 2% [7]. Come riportato da Sternthal et al. la somministrazione continua di KI (8 e 12 giorni) nella profilassi porta a cambiamenti significativi negli ormoni tiroidei, inducendo riduzioni significative della triiodotironina (T3) e della tiroxina sierica, nonché aumenti delle concentrazioni sieriche di tiroxina (TSH) [7]. Pertanto, va anche considerato che tali farmaci, come tutti i prodotti medicinali del resto, possono essere associati ad eventi avversi a cui un utilizzo ingiustificato esporrebbe inutilmente. Le possibili (seppur rare) reazioni avverse includono alterazioni della funzione tiroidea con iper- o ipotiroidismo, reazioni allergiche, infiammazione delle ghiandole salivari (scialoadenite), disturbi gastrointestinali ed eruzioni cutanee, dermatite erpetiforme o vasculite ipocomplementemica [6].

In conclusione, come sottolineato dall’ISS nel comunicato, attualmente non sussiste una reale emergenza nucleare e dunque il ricorso “fai-da-te” a preparati contenenti elevate quantità di iodio che potrebbero determinare conseguenze negative per l'organismo è fortemente sconsigliatoe. Ad oggi si raccomanda solo l’utilizzo dal sale iodato per la preparazione e la conservazione degli alimenti, che, non solo aiuta il normale funzionamento della tiroide, ma, saturando la ghiandola di iodio stabile, contribuisce anche a proteggerla da una eventuale esposizione a radiazioni. Il comunicato dell’ISS conclude che “solo in caso di una reale emergenza nucleare, al momento inesistente nel nostro Paese, sarà la Protezione Civile a dare precise indicazioni su modalità e tempi di attuazione di un eventuale intervento di profilassi iodica su base farmacologica per l'intera popolazione” [1].

Bibliografia

$1   1.      https://www.iss.it/web/guest/primo-piano/-/asset_publisher/3f4alMwzN1Z7/content/id/6760923#:~:text=A%20tale%20proposito%20si%20precisa,conseguenze%20negative%20per%20l'organismo%2C

$1   2.      Nuclear Data for Safeguards, Table C-3, Cumulative Fission Yields. [(accessed on 6 November 2013)]. Available online: https://www-nds.iaea.org/sgnucdat/c3.htm.

$1   3.      Hollingsworth D.R., Hamilton H.B., Tamagaki H., Beebe G.W. Thyroid disease: A study in Hiroshima. Medicine. 1963;42:47–71.

$1   4.      Conard R.A., Rall J.E., Sutow W.W. Thyroid nodules as a late sequela of radioactive fallout in a Marshall Island population exposed in 1954. N. Engl. J. Med. 1966;274:1391–1399.

$1   5.      Robbins J., Rall J.E., Conard R.A. Late effects of radioactive iodine in fallout, combined clinical staff conference at the National Institutes of Health. Ann. Intern. Med. 1967;66:1214–1242.

$1   6.      Iodine thyroid blocking: guidelines for use in planning for and responding to radiological and nuclear emergencies. Geneva: World Health Organization; 2017. Licence: CC BY-NCSA 3.0 IGO

$1   7.      Sternthal E., Lipworth L., Stanley B., Abreau C., Fang S.L., Braverman L.E. Suppression of thyroid radioiodine uptake by various doses of stable iodide. N. Engl. J. Med. 1980;303:1083–1088.

   

  

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