Farmacovigilanza

PROSIT-BIO: studio prospettico osservazionale made in Italy su efficacia e sicurezza del biosimilare di infliximab

Recentemente sono stati pubblicati, sulla rivista Inflammatory Bowel Diseases, i risultati dello studio prospettico osservazionale PROSIT-BIO, che ha valutato l’efficacia e la sicurezza del trattamento con infliximab biosimilare in pazienti affetti da morbo di Crohn e colite ulcerosa.

L’infliximab è un anticorpo monoclonale chimerico, autorizzato per la prima volta in Unione Europea nel 1999; si tratta, dunque, di un farmaco biotecnologico, la cui disponibilità sul mercato ha fornito una valida strategia terapeutica nel trattamento di diverse patologie, quali artrite reumatoide, malattia di Crohn, colite ulcerosa, psoriasi, artrite psoriasica e spondilite anchilosante [1]. Tale farmaco esercita la sua azione terapeutica legando con alta affinità la forma solubile e transmembrana del TNF-α, citochina prodotta principalmente dai macrofagi, che coordina la risposta infiammatoria e immunitaria alle condizioni infettive, maligne e autoimmuni.

La costante crescita del settore biotech e il conseguente aumento sul mercato mondiale di prodotti di origine biologica/biotecnologica, come l’infliximab, hanno inevitabilmente condotto ad una crescente richiesta di farmaci biosimilari, la versione simile ma non identica di una sostanza di origine biologica/biotecnologica già autorizzata e per la quale è scaduta la copertura brevettuale. Infatti, i biosimilari, garantendo un notevole abbattimento dei costi, rappresentano uno strumento virtuoso e funzionale per la sostenibilità dell’innovazione farmaceutica e l’accesso universale a tali cure innovative [2].

In accordo a quanto previsto dall’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), l’approvazione nell’Unione Europea di un farmaco biosimilare prevede la conduzione di un comparability exercise, procedura sperimentale, richiesta a fini regolatori, per cui il prodotto biosimilare viene confrontato con il corrispettivo originator da un punto di vista fisico-chimico, pre-clinico e clinico. Nel caso specifico del farmaco infliximab, il comparability exercise ha previsto la conduzione di uno studio clinico di fase I (PLANET-AS) in pazienti con spondilite anchilosante e uno studio di fase III (PLANET-RA) in pazienti con artrite reumatoide. In entrambi gli studi infliximab biosimilare è stato confrontato con il rispettivo originator. Data la sovrapponibilità fra i due farmaci confermata nel corso dell’esercizio di comparabilità, nel 2013 sono stati autorizzati due biosimilari di infliximab, disponibili in Italia dal 2015con i nomi commerciali Remsima® e Inflectra® [2].

Oggi, grazie alla pubblicazione dei risultati dello studio PROSIT-BIO, sono disponibili nuovi dati di efficacia e sicurezza nella pratica clinica, che confermano la sovrapponibilità di infliximab biosimilare con l’originator. Tale studio ha coinvolto 313 pazienti con morbo di Crohn e 234 con rettocolite ulcerosa. Di tali pazienti, 311 erano näive al trattamento con un farmaco anti-TNF, 139 erano già stati precedentemente esposti ad un farmaco biologico e i restanti 97 avevano effettuato uno switch a infliximab biosimilare. Il numero di follow-up medio per ciascun paziente è stato di 4,3 ± 2,8 mesi, mentre il numero totale del tempo di follow-up è stato di 195 anni-paziente. Dopo un totale di 2.061 infusioni, sono state identificate 66 reazioni avverse gravi e, di queste, 38 erano reazioni infusionali. Le reazioni infusionali sono risultate molto più frequenti in pazienti già esposti a infliximab rispetto a pazienti precedentemente esposti ad altri farmaci anti-TNF (tasso di incidenza = 2,82; Intervallo di Confidenza 95%: 1,05-7,9). L’efficacia del trattamento con infliximab biosimilare è stata valutata nei pazienti sottoposti alla terapia per un periodo di almeno 8 settimane (N=434); 35 pazienti sono risultati non rispondenti al trattamento (8,1%). Dopo 8, 16 e 24 settimane, l’efficacia è stata, rispettivamente, confermata nel 95,7%, 86,4% e 73,7% dei pazienti naive, nel 97,2%, 85,2% e 62,2% dei pazienti già esposti a farmaco biologico e, infine, nel 94.5%, 90,8% e 78,9% dei pazienti che avevano effettuato lo switch (log-rank P= 0,64).

In conclusione, dai risultati di questo studio emerge che tali dati preliminari di efficacia e sicurezza di infliximab biosimilare sono in linea con quelli dell’originator ed, inoltre, in condizioni di real life, lo switch da infliximab originator al biosimilare permette di ottenere risultati comparabili al farmaco di riferimento dimostrando l’efficacia anche nei pazienti precedentemente trattati con il biologico originator [3].

Bibliografia

[1]Remicade. Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto. Disponibile al sito: http://www.ema.europa.eu/docs/it_IT/document_library/EPAR_-_Product_Information/human/000240/WC500050888.pdf

[2] Scavone C, Sportiello L, Berrino L, Rossi F, Capuano A. Biosimilars in the European Union from comparability exercise to real world experience: What we achieved and what we still need to achieve. Pharmacol Res. 2017 May;119:265-271.

[3] Fiorino G, Manetti N, Armuzzi A, e coll.; PROSIT-BIO Cohort.. The PROSIT-BIO Cohort: A Prospective Observational Study of Patients with Inflammatory Bowel Disease Treated with Infliximab Biosimilar. Inflamm Bowel Dis. 2017 Feb;23(2):233-243.

Dapaglifozin è in grado di ridurre la mortalità rispetto al trattamento standard in pazienti con diabete mellito di tipo 2

E’ stato recentemente pubblicato sulla rivista “Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism” uno studio di coorte retrospettivo condotto da un team di ricercatori dell’Università di Birmingham relativamente al rischio di mortalità da tutte le cause in pazienti assuntori di dapaglifozin rispetto ai pazienti trattati con la terapia standard. L’obiettivo dello studio nasce dai precedenti risultati dello studio EMPA-REG, che hanno messo in luce un beneficio del trattamento con empaglifozin nei pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2 ad alto rischio cardiovascolare in termini sia di riduzione della mortalità per tutte le cause che di riduzione della mortalità per cause cardiovascolari. Al fine di valutare se tale riduzione fosse riscontrabile anche con un’altra molecola appartenente alla classe degli inibitori di SGLT-2, dapaglifozin, ed in un reale setting clinico, sono stati analizzati i dati provenienti dal database “The Health Improvement Network”, una banca dati di cartelle cliniche di oltre 550 medici di medicina generale, attivi nel Regno Unito. Sono stati analizzati oltre 22.000 pazienti di cui 4.444 esposti a dapaglifozin e 17.680 non esposti al farmaco. L’obiettivo primario era la valutazione della mortalità da tutte le cause. Un composito di eventi cardiovascolari maggiori (infarto miocardico, stroke, TIA e scompenso cardiaco) in pazienti a basso rischio cardiovascolare costituiva l’endpoint secondario. Lo studio, che ha preso in considerazione un periodo di trattamento compreso tra Gennaio 2013 e Settembre 2015, ha evidenziato che la mortalità per tutte le cause risultava inferiore del 51% nei pazienti trattati con dapaglifozin rispetto a quelli non esposti a dapaglifozin (p<0,0001), percentuale che rimaneva tale anche dopo aver aggiustato il dato per possibili fattori di confondimento. Anche per quanto riguarda il sottogruppo di pazienti a basso rischio cardiovascolare, è emerso che l’uso di dapaglifozin si associava ad una riduzione del 57% della mortalità per tutte le cause rispetto al trattamento standard. Tuttavia, in tale sottogruppo, non è emersa alcuna differenza statisticamente significativa per quanto riguarda la riduzione del rischio di malattie cardiovascolari.

I dati dello studio indicano, dunque, che dapaglifozin potrebbe essere associato ad una diminuzione della mortalità, indipendente dallo stato della malattia cardiovascolare al basale, suggerendo un possibile beneficio degli inibitori dell’SGLT2 anche per i pazienti con basso rischio cardiovascolare. Tali risultati si configurano sia come confermatori che innovativi. Confermatori, poiché rassicurano relativamente alla riduzione della mortalità da tutte le cause evidenziata anche nello studio EMPA-REG, innovativi, invece, poiché in questo caso il beneficio di dapaglifozin si può estendere anche a pazienti a basso rischio cardiovascolare, contrariamente a quanto osservato nell’EMPAREG, dove sono stati arruolati solo pazienti ad alto rischio cardiovascolare. Ulteriori dati dalla real life saranno in ogni caso necessari per fornire maggiori conferme su tali risultati.

Bibliografia

Toulis KA, Willis BH, Marshall T, Kumarendran B, et al. All-cause mortality in patients with diabetes under treatment with dapagliflozin: a population-based, open-cohort study in THIN database. J Clin Endocrinol Metab. 2017

La Food and Drug Administration approva safinamide

In data 21/03/2017 in una nota informativa si apprende che la Food and Drug Adminstration (FDA) ha approvato Xadago®(safinamide) nel trattamento del morbo di Parkinson(1).

Sviluppato da Zambon, industria farmaceutica italiana, approvato dall’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) nel 2015, il farmaco è oggi commercializzato in Italia, Germania, Spagna, UK, Belgio, Danimarca, Svezia, Lussemburgo, Olanda, Norvegia e Svizzera.

Xadago® è indicato nel trattamento di pazienti adulti affetti da malattia di Parkinson idiopatica come terapia aggiuntiva a una dose stabile di levodopa (L-dopa) in monoterapia o in associazione ad altri medicinali in pazienti fluttuanti in fase da intermedia ad avanzata.

Safinamide agisce tramite un meccanismo d’azione sia dopaminergico sia non dopaminergico. Safinamide è un inibitore altamente selettivo e reversibile delle MAO-B che determina un aumento dei livelli extracellulari di dopamina nello striato. Il farmaco, inoltre, è associato a un’inibizione stato-dipendente dei canali del sodio (Na+) voltaggio dipendenti e dalla modulazione del rilascio stimolato di glutammato. Tuttavia, non è ancora stabilito in che misura gli effetti non dopaminergici contribuiscano all’effetto complessivo.

L’efficacia di safinamide come terapia aggiuntiva in pazienti con malattia di Parkinson in fase da intermedia ad avanzata e con fluttuazioni motorie in terapia con L-dopa o in combinazione con altri farmaci, è stata valutata in due studi in doppio cieco controllati con placebo: lo Studio SETTLE (Studio 27919; 50-100 mg/die; 24 settimane) e lo Studio 016/018 (50 e 100 mg/die; studio in doppio cieco, controllato con placebo di 2 anni). Entrambi gli studi hanno indicato una superiorità significativa di safinamide rispetto al placebo alle dosi bersaglio di 50 e 100 mg/die. Per quanto riguarda il profilo di tollerabilità, le reazioni avverse più frequenti sono risultate la nausea, i disturbi del sonno, l’ipotensione ortostatica e le discinesie.

Safinamide è la prima new chemical entity (NCE) a ricevere parere positivo negli ultimi 10 anni nel trattamento della malattia di Parkinson

È una grande vittoria per la ricerca italiana e in questo panorama è auspicabile la possibilità di un ulteriore sviluppo della produzione farmaceutica, favorendo maggiori investimenti nella ricerca di base.

Bibliografia:

1) https://www.fda.gov/newsevents/newsroom/pressannouncements/ucm547852.htm

Definiti i nuovi criteri di trattamento dell’epatite C

In data 08/03/2017, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) comunica che sono stati ridefiniti i criteri di trattamento per la terapia dell’epatite cronica C.

Elaborati nell’ambito del Piano di eradicazione dell’infezione da HCV, saranno presentati dal Direttore Generale Mario Melazzini presso la sede di AIFA in data 21/03/2017, durante un incontro che coinvolgerà le Società scientifiche ed i rappresentanti delle Associazioni dei Pazienti.

I criteri saranno implementati nei Registri di Monitoraggio di AIFA, che tracceranno la gestione della terapia dei singoli pazienti da parte dei Centri prescrittori individuati dalle singole Regioni.

Gli 11 criteri sono stati condivisi con la Commissione Tecnico Scientifica (CTS) di AIFA.

All’interno dei Registri di Monitoraggio sarà ora possibile inserire anche i pazienti da trattare con un’associazione di almeno 2 farmaci antivirali ad azione diretta di seconda generazione (Direct Acting Agents-DAAs) dopo fallimento di regimi di trattamento senza interferone.

Sarà ora possibile prescrivere i DAA ai pazienti con epatite cronica con fibrosi METAVIR F0-F1 (o corrispondente Ishak) e/o comorbilità a rischio di progressione del danno epatico [coinfezione HBV, coinfezione HIV, malattie croniche di fegato non virali, diabete mellito in trattamento farmacologico, obesità (body mass index ≥30 kg/m2), emoglobinopatie e coagulopatie congenite], operatori sanitari infetti, pazienti con cirrosi epatica e insufficienza renale cronica in trattamento emodialitico e pazienti in lista d’attesa per trapianto di organo solido (non fegato) o di midollo.

Siti di riferimento:

http://www.agenziafarmaco.gov.it/content/epatite-c-definiti-i-nuovi-criteri-di-trattamento

Uso inappropriato degli antibiotici: una revisione dei dati

Dai risultati di una recente revisione di studi clinici sull’appropriatezza d’uso degli antibiotici, pubblicata nel Cochrane Database of Systematic Reviews, si apprende che il modo più efficace per ridurre l’inappropriatezza prescrittiva degli antibiotici negli ospedali è rappresentato da tutti quegli interventi che forniscono un supporto decisionale al medico prescrittore(1)

Tali interventi includono misure di tipo educazionale (meeting e distribuzione di materiale informativo, posters o stampati e reminders sul luogo di lavoro) e consulenze da parte di esperti in caso di sostituibilità del farmaco.

La revisione dei dati ha incluso 221 studi, di cui 58 trials clinici (RCTs) randomizzati e 163 non randomizzati per un totale di 23394 pazienti arruolati. La maggior parte di questi studi sono stati condotti negli Stati Uniti ed in Europa.

La metanalisi ha dimostrato che tali interventi migliorano l’appropriatezza d’uso dei farmaci e riducono lo sviluppo di resistenze microbiche; inoltre, è emerso che servono a ridurre la durata del trattamento di 1,95 giorni da una media di 9 a 11  giorni per paziente (IC 95%, 2,22 a 1,67; 14 RCTs; 3318 arruolati) e la durata della degenza ospedaliera di 1,12 giorni  da una media di 12-13 giorni per paziente (IC 95%da 0,7 a 1,54 giorni; 15 RCTs; 3834 pazienti arruolati).

L’analisi dei dati aggregati 28 studi randomizzati non hanno dimostrato differenze statisticamente significative per quanto riguarda la mortalità nei gruppi di trattamento.

Infine, non sono emerse evidenze che dimostrino come il supporto decisionale riduca il rischio di sviluppare complicanze quali infezioni da Clostridium Difficile (mediana – 48,6%, scarto interquartile da  -80,7% a -19,2%; 7 studi).

Bibliografia:

1)      http://www.aifa.gov.it/content/ridurre-l%E2%80%99uso-inappropriato-di-antibiotici-negli-ospedali-una-revisione-cochrane

2)      Davey P, Marwick CA, Scott C. Interventions to improve antibiotic prescribing practices for hospital inpatients. Cochrane Database of Systematic Reviews 2017, Issue 2. Art. No.: CD003543.

   

  

cerca