Farmacovigilanza

Efficacia e sicurezza di evolocumab in pazienti con o senza diabete

Recentemente, sul New England Journal of Medicine, sono stati pubblicati i dati dell'analisi pre-specificata dello studio Further Cardiovascular Outcomes Research with PCSK9 Inhibition in Subjects with Elevated Risk (FOURIER) che ha valutato la riduzione del rischio cardiovascolare in pazienti in trattamento combinato con evolocumab(1).
La terapia a base di statine rappresenta un punto cardine nel trattamento delle dislipidemie; tuttavia, al fine di ottimizzare il trattamento dei pazienti ad alto rischio cardiovascolare, negli ultimi anni sono stati sviluppati e commercializzati nuovi farmaci tra i quali figurano gli inibitori dell'enzima pro-proteina convertasi subtilisina/kexina tipo 9, PCSK-9 (alirocumab ed evolocumab)(2).
Gli inibitori di PCSK-9 (IPCSK-9) sono una nuova classe di farmaci indicati nel trattamento di pazienti con ipercolesterolemia primaria (familiare eterozigote e non familiare) o dislipidemia mista, in associazione ad una statina o altro ipolipemizzante, in pazienti che non raggiungono i livelli di LDL-C target con la massima dose tollerata di una statina, in monoterapia o in associazione ad altro ipolipemizzante, e in pazienti intolleranti alle statine o ad elevato rischio cardiovascolare(3).
La National Lipid Association ha, recentemente, aggiornato le raccomandazioni d'uso della terapia a base di IPCSK-9 sulla base delle evidenze scientifiche disponibili: l'uso di IPCSK-9 è fortemente suggerito in pazienti con malattia aterosclerotica stabile o progressiva e con fattori di rischio aggiuntivi, con livelli di LDL-C >70 mg/dl o di colesterolo non-HDL >100 mg/dl nonostante la terapia con una statina alla massima dose tollerata + ezetimibe, al fine di ridurre il rischio cardiovascolare (raccomandazione di grado A). Inoltre, seppur con gradi minori di raccomandazione rispetto alla categoria precedente (gradi B e C), il trattamento con IPCSK-9 è consigliato anche in pazienti con valori di LDL-C >190 mg/dL e con diagnosi di ipercolesterolemia poligenica, ipercolesterolemia familiare (viene aggiunta anche la forma omozigote), e in pazienti ad alto rischio intolleranti alle statine(4).
Evolocumab è un anticorpo monoclonale completamente umanizzato appartenente alla classe delle IgG2. Il farmaco ha ottenuto parere favorevole dal CHMP nel maggio 2015 ed è stato autorizzato dall'Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) nel luglio 2015 e dalla Food and Drug Administration (FDA) nell'agosto 2015. Evolocumab è disponibile per la somministrazione sottocutanea alla dose di 140 mg ogni 2 settimane o 420 mg, una volta al mese, per il trattamento dell'ipercolesterolemia primaria (familiare eterozigote e non familiare) e della dislipidemia mista; in caso di mancata risposta dopo 12 settimane di trattamento, è possibile aumentare la frequenza di somministrazione alla dose di 420 mg ogni 2 settimane.
Efficacia e sicurezza di evolocumab sono state dimostrate nel corso del programma di sviluppo clinico PROFICIO (Program to Reduce LDL-C and Cardiovascular Outcomes FollowingInhibition of PCSK-9 In Different POpulations) che ha previsto la conduzione di 16 studi clinici di fase III.
In particolare, i trials clinici OSLER-1e OSLER-2 (Open-Label Study of Long-Term Evaluation against LDL Cholesterol 1 and 2) hanno confermato l'efficacia di evolocumab in pazienti ad alto rischio di malattia cardiovascolare, con riduzione del rischio di eventi cardiovascolari maggiori e un buon profilo di tollerabilità. Le reazioni avverse (ADRs) più frequenti sono state: reazioni al sito di iniezione (arrossamento, dolore ed ecchimosi), aumento delle transaminasi e della creatina-chinasi, astenia, cefalea e artralgia. L'incidenza di eventi neurocognitivi è stata <1% nel gruppo di trattamento, indipendentemente dai livelli di LDL-C(5).
Lo studio FOURIER, che ha arruolato un totale di 27564 pazienti, ha valutato un endpoint composito, ovvero il rischio di morte cardiaca, infarto non fatale e ospedalizzazione per angina instabile, ictus o rivascolarizzazione coronarica in pazienti con anamnesi positiva per pregresso evento cardiovascolare e ad alto rischio residuo.
L'analisi pre-specificata dei dati aggregati dello studio FOURIER, ha dimostrato che evolocumab riduce il rischio cardiovascolare in pazienti diabetici e non aumenta il rischio di diabete mellito di nuova insorgenza.
Dall'analisi è emerso che evolocumab riduce l'incidenza di eventi cardiovascolari indipendentemente dalla presenza di diabete (riduzione del rischio relativo dell'endpoint primario del 17% in pazienti diabetici, p=0,0008 e del 13% in pazienti non diabetici, p=0,0052; p-interaction=0,60). Inoltre, in pazienti non diabetici, la terapia con evolocumab non ha aumentato il rischio di sviluppare diabete di nuova insorgenza (HR=1,05; IC 95%, 0,94-1,17).
Alla luce dei risultati del vasto programma di studi clinici, evolocumab ha dimostrato che i benefici clinici sono superiori ai rischi, indipendentemente dall'associazione a statina o ezetimibe.
La sorveglianza post marketing e l'ulteriore utilizzo in condizioni di real life, potranno completare le conoscenze circa il profilo di sicurezza del farmaco.

Bibliografia:

1) Sabatine MS et al. Evolocumab and Clinical Outcomes in Patients with Cardiovascular Disease. N Engl J Med May 4, 2017; 376:1713-1722.
2) Ahn CH, Choi SH. New drugs for treating dyslipidemia: beyond statins. Diabetes Metab J. 2015; 39:87-94.
3) Hovingh GK, Davidson MH, Kastelein JJ, O'Connor AM. Diagnosis and treatment of familial hypercholesterolaemia. AM Eur Heart J. 2013; 34:962-71.
4) Orringer CE, Jacobson TA, Saseen JJ, Brown AS, Gotto AM, Ross JL, Underberg JA. Update on the use of PCSK9 inhibitors in adults: Recommendations from an Expert Panel of the National Lipid Association. J Clin Lipidol. 2017 May: S1933-2874(17)30290-8.
5) Sabatine MS, Giugliano RP, Wiviott SD, et al. Efficacy and Safety of Evolocumab in Reducing Lipids and Cardiovascular Events. N Engl J Med 2015; 372:1500-1509.

FDA approva il primo biosimilare di bevacizumab

In data 02/10/2017, in una nota informativa pubblicata dall'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA)(1) si apprende che la Food and Drug Administration (FDA)(2), ha approvato il primo biosimilare di bevacizumab.
Mvasi®(bevacizumab), prodotto da Amgen Inc. è approvato in terapia di combinazione, in pazienti adulti, nel trattamento di prima o seconda linea, del carcinoma colon rettale metastatico, in prima linea nel trattamento del carcinoma del polmone non a piccole cellule, inoperabile o localmente avanzato e del carcinoma a cellule renali, in associazione ad interferon alfa. Inoltre, trova indicazione nel trattamento del carcinoma della cervice uterina e nella progressione di malattia in pazienti con glioblastoma, dopo precedente trattamento.
Bevacizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato prodotto mediante tecnica del DNA ricombinante, che legandosi al fattore di crescita delle cellule endoteliali vascolari (VEGF), promotore chiave della vasculogenesi e dell'angiogenesi, ne impedisce l'attività biologica. Tale blocco determina la riduzione della vascolarizzazione del tumore, inibisce la formazione di nuova vascolarizzazione e la crescita tumorale.
L'approvazione di Mvasi® da parte della FDA è basata sulla revisione di prove che dimostrano la sovrapponibilità all'originator dal punto di vista fisico-chimico, preclinico e clinico oltre che di dati clinici di immunogenicità e sicurezza. Mvasi® è stato approvato come biosimilare di Avastin®, ma non come prodotto intercambiabile. Per i biosimilari, infatti, il concetto di intercambiabilità e sostituibilità non può essere applicato suggerendo l'utilizzo, almeno inizialmente, del biosimilare in pazienti naïve(3).
Per quanto riguarda il profilo di tollerabilità, gli eventi avversi più comunemente riportati a bevacizumab includono epistassi, cefalea, ipertensione, rinite, proteinuria, alterazione del gusto, xerosi cutanea, sanguinamento rettale, aumentata lacrimazione, dolore alla schiena, dermatite esfoliativa e reazioni di ipersensibilità.
Gli eventi avversi più gravi includono la Sindrome da encefalopatia posteriore reversibile (PRES), una rara malattia neurologica che può manifestarsi con attacchi epilettici, cefalea, alterazione dello stato mentale, disturbi del visus o cecità corticale, associati o meno a ipertensione, tromboembolia arteriosa o venosa e proteinuria.
Come Avastin®, anche per Mvasi®, un boxed warning avverte i professionisti del settore sanitario e i pazienti dell'aumentato rischio di perforazione gastrointestinale; complicanze chirurgiche e rallentamento dei processi di guarigione delle ferite e dei rischi di gravi emorragie, polmonare, gastrointestinale e cerebrale e di sanguinamento vaginale.
È necessario sospendere Mvasi® 28 giorni prima e dopo chirurgia elettiva e fino a che la ferita chirurgica non sia completamente guarita e in caso di deiescenza della stessa.
I biosimilari rappresentano oggi una realtà terapeutica e una risorsa per il paziente e per il sistema sanitario. Rendere disponibili nuovi biosimilari riduce i costi e migliora l'accesso alle terapie.
I biosimilari sono una consolidata realtà terapeutica e la real life ne conferma l'efficacia clinica e l'utilizzazione. Anche le attività di sorveglianza post-marketing serviranno ad aumentare le conoscenze sul profilo di rischio-beneficio di tali farmaci e ne garantiranno un uso sempre maggiore e sicuro.

Bibliografia:
1) http://www.aifa.gov.it/content/fda-approva-il-primo-biosimilare-il-trattamento-di-molteplici-tipi-di-cancro
2) https://www.fda.gov/NewsEvents/Newsroom/PressAnnouncements/ucm576112.htm
3) Cantelli Forti G, Rossi F. Revisione della posizione sui farmaci biosimilari da parte della Società Italiana di Farmacologia: working paper 2016 disponibile su: http://www.sifweb.org/documenti/PositionPaper/position_paper_2016-09-01

Confermate sicurezza ed efficacia di secukinumab

In occasione del 26° congresso della European Academy of Dermatology and Venerology (EADV) che si è tenuto a Ginevra dal 13 al 17 settembre, sono stati presentati i dati dello studio di estensione(1) dello studio registrativo di fase III SCULPTURE(2), che hanno confermato efficacia e sicurezza, a lungo termine, di secukinumab in pazienti con diagnosi di psoriasi a placche.
Il rapido sviluppo di nuovi approcci al trattamento delle malattie infiammatore croniche ha registrato notevoli traguardi in termini di efficacia e sicurezza. Grazie alla precoce diagnosi, all'avanzamento delle terapie farmacologiche e all'approccio multidisciplinare, la gestione di tali patologie è notevolmente cambiata.
La prevalenza della malattia psoriasica varia nelle diverse aree geografiche e nei diversi gruppi etnici. È maggiore in Europa Occidentale e nel Nord America, minore in Africa, Asia e pressoché assente tra i nativi americani e gli eschimesi. Si stima che in Europa, i soggetti affetti da psoriasi siano circa 2 milioni. La malattia può manifestarsi a qualunque età, ma è più comune dai 10 ai 40 anni, in particolare nel periodo puberale e durante la menopausa e, nonostante l'incidenza sia uguale tra i due sessi, tende a manifestarsi più precocemente nelle donne. Il processo infiammatorio coinvolge cute, entesi, articolazioni periferiche e assiali.
Secukinumab, autorizzato nel gennaio 2015, è indicato, in pazienti adulti, nel trattamento della psoriasi a placche di grado da moderato a severo e, in associazione a metotressato, in pazienti con artrite psoriasica quando la risposta a precedente terapia con farmaci antireumatici in grado di modificare il decorso della malattia (DMARD) è risultata inadeguata. Trova, inoltre, indicazione in pazienti affetti da spondilite anchilosante.
Secukinumab è un anticorpo monoclonale completamente umano che lega selettivamente e neutralizza la citochina proinfiammatoria interleuchina-17A (IL-17A), impedendone il legame al recettore, espresso su diversi tipi di cellule compresi i cheratinociti. Come diretta conseguenza, il trattamento con secukinumab riduce eritema, indurimento e desquamazione presenti nelle lesioni della psoriasi a placche. Elevati livelli di IL-17 A si ritrovano nella cute e nel tessuto sinoviale di pazienti con malattia cutanea e articolare.
Lo studio di estensione ha valutato efficacia e sicurezza a lungo termine di secukinumab su un totale complessivo di 340 pazienti di cui 168 (braccio FI, fixed-interval) hanno ricevuto il farmaco alle dosi di 300 mg ogni 4 settimane e 172 (braccio RAN, retreatment as needed) in caso di ricaduta. Questi ultimi, infatti, hanno ricevuto placebo fino a ricaduta di malattia.
L'efficacia è stata misurata mediante Psoriasis Area and Severity Index (PASI), una scala di valutazione che attribuisce un punteggio numerico indicativo del grado di estensione delle lesioni, dello spessore, dell'intensità della desquamazione e dell'eritema. Dallo studio sono emersi efficacia e sicurezza a lungo termine con tassi di risposta PASI 90 e 100 a 3 anni di trattamento, per il braccio FI, rispettivamente del 63,8% e del 42,6% che si sono mantenuti a 5 anni; in particolare, il 41% dei pazienti ha ottenuto risoluzione completa delle lesioni cutanee (PASI 100). PASI 90 e PASI 100 del braccio RAN sono stati del 13% e del 3,8% a 3 anni e si sono mantenuti stabilmente nei 2 anni successivi(3).
Per quanto riguarda il profilo di tollerabilità, gli eventi avversi più frequenti sono stati cefalea ed infezioni delle vie aeree superiori (rinofaringiti). Non ci sono state differenze statisticamente significative nell'incidenza di eventi avversi quali candidosi (orale e genitale) di grado 1 (G1) e neutropenia di grado 3 (G3) rispetto allo studio SCULPTURE(2).
Il farmaco è attualmente sottoposto a monitoraggio addizionale. Sono necessari, pertanto, ulteriori studi, nonché un monitoraggio continuo nella real-life, grazie alle attività di farmacovigilanza per la rapida identificazione di nuove informazioni di sicurezza del prodotto.

BIBLIOGRAFIA:

1) https://www.pharmastar.it/news/altri-studi/psoriasi-anche-dopo-5-anni-secukinumab-mantiene-intatta-la-sua-efficacia-24823
2) Mrowietz U et al. Secukinumab retreatment-as-needed versus fixed-interval maintenance regimen for moderate to severe plaque psoriasis: A randomized, double-blind, noninferiority trial (SCULPTURE). J Am Acad Dermatol. (2015)
3) Bissonnette R et al. Secukinumab sustains good efficacy and favourable safety in moderate-to-severe psoriasis after up to 3 years of treatment: results from a double-blind extension study. Br J Dermatol. (2017)

Nota informativa su epoetina

In data 05/10/2017, in una nota informativa dell'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), concordata con le Autorità Regolatorie Europee, si apprende che il riassunto delle caratteristiche del prodotto (RCP) e il Foglio illustrativo dei preparati a base di epoetine, saranno aggiornati in merito al rischio di gravi reazioni avverse cutanee(1).
Con una dear doctor letter, AIFA informa i medici prescrittori del rischio di insorgenza di sindrome di Stevens-Johnson (SJS) e necrolisi epidermica tossica (NET), in pazienti trattati con epoetine (darbepoetina alfa, epoetina alfa, epoetina beta, epoetina teta, epoetina zeta e metossipolietilenglicole-epoetina beta).
In seguito a segnalazioni post-marketing di tali reazioni avverse è stata effettuata un'analisi dettagliata di tutti i casi (compresi i dati della banca dati europea di farmacovigilanza EudraVigilance e i dati ricevuti dai titolari dell'Autorizzazione all'immissione in Commercio, AIC) per tutti i medicinali a base di epoetine. Le reazioni avverse più severe sono state riportate con le epoetine a lunga durata d'azione (metossipolietilenglicole-epoetina beta, darbepoetina beta) e hanno incluso casi con dechallenge e rechallenge positivi.
Le epoetine sono indicate nel trattamento dell'anemia sintomatica associata a insufficienza renale cronica (IRC), negli adulti e nei bambini di età compresa tra 1 e 18 anni emodializzati e in pazienti adulti sottoposti a dialisi peritoneale. Inoltre, trovano indicazione in pazienti adulti in trattamento chemioterapico per tumori solidi, linfoma maligno o mieloma multiplo e a rischio di trasfusione, per il trattamento dell'anemia e la riduzione del fabbisogno trasfusionale.
I pazienti non sideropenici e a rischio di complicanze trasfusionali, si giovano del trattamento con epoetina prima di un intervento elettivo di chirurgia ortopedica maggiore, per ridurre l'esposizione a trasfusioni di sangue allogenico.
L'eritropoietina umana, un ormone glicoproteico, è il principale regolatore dell'eritropoiesi attraverso l'interazione specifica con il recettore dell'eritropoietina sulle cellule progenitrici eritroidi del midollo osseo. La produzione di eritropoietina avviene principalmente e viene regolata a livello renale in risposta a variazioni dell'ossigenazione tissutale.
Le epoetine attualmente disponibili sono prodotte con tecnologia del DNA ricombinante e stimolano l'eritropoiesi con lo stesso meccanismo dell'ormone endogeno.
La nota informativa riassume quanto emerso dalla sorveglianza post marketing. In attesa dell'aggiornamento degli stampati, i pazienti che iniziano il trattamento devono essere informati del rischio di gravi reazioni cutanee e della necessità di interromperlo e di rivolgersi al medico curante in caso di eruzione cutanea diffusa con arrossamento e vescicole di cute e mucose seguite dalla comparsa di sintomi simil-influenzali. La frequenza di tali reazioni non può essere calcolata ma queste si verificano molto raramente.
Infine, AIFA coglie l'occasione per ricordare a tutti gli operatori sanitari l'importanza della segnalazione delle sospette reazioni avverse a farmaci come strumento indispensabile per confermare il rapporto beneficio/rischio dei farmaci nelle reali condizioni di impiego.

Bibliografia:

1)http://www.trovanorme.salute.gov.it/norme/renderNormsanPdfanno                                                       =2017&codLeg =59569&parte=1%20&serie=null

EMA cdonclude in merito ai medicinali a base di fattore VIII

In data 18/09/2017, l'Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) ha concluso la revisione dei medicinali a base di Fattore VIII ricombinante in merito al rischio di sviluppare anticorpi (cosiddetti inibitori) in pazienti emofilici(1).
L'emofilia A è una malattia ereditaria X-linked caratterizzata da deficit o inattività del fattore VIII della cascata coagulativa, dovuta a mutazione puntiforme, inversione o delezione del gene che codifica la sintesi della proteina. L'anomalia determina un difetto a carico della via intrinseca della coagulazione con rischio emorragico ed esordio clinico solitamente quando il bambino inizia a camminare (emorragie-post-traumatiche); tuttavia, le emorragie possono realizzarsi in assenza di traumi apparenti e la gravità dei segni clinici dipende dall'entità del deficit del fattore VIII.
La prevalenza di malattia è stimata in circa 1:5000 maschi.
Il trattamento delle forme più gravi (attività del fattore VIII <1%) è di tipo sostitutivo. Il fattore deficitario è disponibile come plasma-derivato di donatori umani o prodotto con tecnologia del DNA ricombinante. Attualmente sono disponibili le seguenti molecole ricombinanti: octocog alfa, efmoroctocog alfa, simoctocog alfa, moroctocog alfa e turoctocog alfa.
Una delle maggiori complicanze del trattamento con fattore ricombinante è lo scarso controllo delle emorragie legato allo sviluppo di anticorpi contro il fattore VIII esogeno, definiti inibitori. Studi clinici hanno evidenziato un maggiore rischio di sviluppare anticorpi anti fattore VIII associato ai prodotti ricombinanti vs i prodotti di derivazione plasmatica.
Al contrario, il rischio infettivologico è ridotto ottenendo preparazioni che eliminano l'aggiunta di proteine plasmatiche (albumina), sia durante la fase di coltura cellulare che nel corso del processo di purificazione e stabilizzazione della formulazione finale.
Il rischio di sviluppare anticorpi è maggiore in pazienti con emofilia A di grado severo naïve al trattamento; al contrario, lo sviluppo di inibitori in pazienti precedentemente trattati poli-trasfusi (previously treated patients, PTPs) è correlato alle caratteristiche del singolo prodotto.
Il Comitato Europeo per i Medicinali ad Uso Umano (Committee for Medicinal Products for Human Use, CHMP), nel 2005, rivalutava tutte le specialità medicinali contenenti fattore VIII ricombinante autorizzate, al fine di stabilire il rischio di sviluppare anticorpi e identificare eventuali differenze tra i prodotti. Sulla base dei dati analizzati, il CHMP concludeva che non era possibile stabilire se i prodotti contenenti fattore VIII ricombinante fossero più immunogenici rispetto a quelli derivati dal plasma date le diverse metodologie degli studi valutati e la ridotta numerosità campionaria. A questa revisione ne seguirono altre per cui il Pharmacovigilance Risk Assessment Committee (PRAC) raccomandava ai titolari dell'autorizzazione all'immissione in commercio (AIC) dei farmaci a base di fattore VIII ricombinante, di monitorare gli studi pubblicati sullo sviluppo di anticorpi allo scopo di tenere sempre aggiornate le informazioni sul prodotto. Inoltre, concludeva che lo sviluppo di anticorpi è un fenomeno multifattoriale e che, pertanto, sulla base dei dati disponibili, non era possibile confermare tale rischio.
Un'ultima revisione fu avviata dopo la pubblicazione dei dati dello studio Survey of Inhibitors in Plasma-Product Exposed Toddlers (SIPPET)(2), uno studio di confronto tra derivati del plasma e fattore ricombinante in pazienti naïve al trattamento. Lo studio arruolava 264 pazienti maschi, di età <6 anni con grave forma di emofilia A naïve al trattamento con concentrati a base di fattore VIII, di cui 133 randomizzati a ricevere derivati di plasma umano e 131 il fattore ricombinante. Il 23,2% dei pazienti trattati con derivati del plasma ha prodotto anticorpi di cui il 16% ad alto titolo. Il 37,3% di quelli randomizzati a ricevere il fattore ricombinante ha sviluppato anticorpi, di cui il 23,8% ad alto titolo.
In data 08/07/2016 EMA avviava una nuova rivalutazione dei medicinali a base di fattore VIII. A seguito dello studio SIPPET il PRAC conclude che non vi è alcuna evidenza chiara e coerente di differenza nello sviluppo degli inibitori tra le classi di medicinali a base di fattore VIII.
Inoltre, a causa delle diverse caratteristiche dei singoli prodotti all'interno delle due classi, il PRAC ha ritenuto che la valutazione del rischio di sviluppo di anticorpi debba essere condotta a livello del singolo prodotto anzichè a livello di classe. Il rischio per ogni singolo prodotto continuerà ad essere valutato qualora fossero disponibili ulteriori evidenze.
Alla luce di tali evidenze, le informazioni del prodotto saranno aggiornate per includere lo sviluppo di inibitori tra le reazioni avverse più comuni in pazienti naïve al trattamento (molto comune, frequenza ≥1/10) e in pazienti precedentemente trattati (comune, frequenza ≥1/100, <1/10) per il rischio di sanguinamenti gravi.

Bibliografia:

1)http://www.ema.europa.eu/ema/index.jsp?curl=pages/news_and_events/news/2017/09/news_detail_002812.jsp&mid=WC0b01ac058004d5c1
2) Peyvandi F, Mannucci PM, Garagiola I, et al. A Randomized Trial of Factor VIII and                                                 Neutralizing Antibodies in Hemophilia A. New England Journal of Medicine 2016;374(21):2054-64.

   

  

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