Farmacovigilanza

Sicurezza di dabigatran nella real-life

Un recente studio, pubblicato sugli Annals of Internal Medicine, dimostra la sicurezza di dabigatran vs warfarin in condizioni di real-life, in merito al rischio di insorgenza di emorragie intracraniche(1).

Dabigatran è indicato per la profilassi di eventi tromboembolici in pazienti che si sottopongono a chirurgia ortopedica maggiore. Nel 2010, la Food and Drug Administration (FDA) ne ha autorizzato l’utilizzo, in profilassi, in pazienti con fibrillazione atriale non valvolare.

Dabigatran è un potente inibitore diretto, competitivo e reversibile della trombina. Poiché la trombina (proteasi della serina) consente la conversione del fibrinogeno in fibrina nella cascata della coagulazione, la sua inibizione previene la formazione di trombi.

Già lo studio RE-LY (Randomized Evaluation of Long-term anticoagulation therapY) aveva dimostrato la non inferiorità di dabigatran alla dose di 110 mg/die vs a warfarin nel ridurre gli eventi tromboembolici, a fronte di una minore incidenza di emorragie maggiori(2).

Il presente studio retrospettivo di coorte, ha arruolato 25289 pazienti con diagnosi di fibrillazione atriale (AF), naïve al trattamento con dabigatran, nel periodo compreso tra novembre 2010 e maggio 2014, con l’obiettivo di valutare l’incidenza di stroke ischemico, emorragia intracranica e infarto del miocardio. In particolare, è stato calcolato il propensity score, ovvero l’effetto causale del trattamento sulla scorta dei dati raccolti nella real world evidence. Non sono emerse differenze statisticamente significative tra i pazienti in trattamento con dabigatran vs quelli in trattamento con warfarin (n=25289). Il rischio relativo (HR) di ictus ischemico è stato pari a 0,92 (IC 95%, 0,65-1,28) con 0,80 vs 0,94 eventi su 100 anni/persona, in pazienti trattati con dabigatran e warfarin, rispettivamente. Inoltre, il rischio relativo di emorragia extracranica è stato pari a 0,89 (IC 95%, 0,72-1,09) con 2,12 vs 2,63 eventi per anni/persona in pazienti trattati con dabigatran e warfarin, rispettivamente. Al contrario, il rischio di infarto del miocardio è risultato variare in funzione alla durata di esposizione, con un range del HR da 1,13 (IC 95%, 0,78-1,64) a 1,43 (IC 95%, 0,99-2,08).

In pazienti anziani e con insufficienza renale, l’incidenza di sanguinamenti gastrointestinali è stata maggiore in trattamento con dabigatran(1).

I risultati dello studio forniscono rassicurazioni sul rischio emorragico intracranico e offrono ulteriori approfondimenti circa le strategie terapeutiche di prevenzione dello stroke in pazienti con AF con enorme impatto in termini di salute pubblica.

 

 

Bibliografia:

1) Go AS et al. Outcomes of Dabigatran and Warfarin for Atrial Fibrillation in Contemporary Practice: A Retrospective Cohort Study. Ann Intern Med. 14 sptember, 2017.

2) Connolly SJ et al. Dabigatran versus Warfarin in Patients with Atrial Fibrillation. N. Engl. J. Med. 361;12, september 17, 2009

Nota informativa su cladribina

In una nota informativa del 01/12/2017, concordata con l'Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), l'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), tramite una dear doctor letter, informa i medici prescrittori di cladribina che il riassunto delle caratteristiche del prodotto sarà aggiornato alla luce dei nuovi dati di sicurezza sul rischio di leucoencefalopatia multifocale progressiva (PML)(1).
Cladribina è indicata nel trattamento di pazienti affetti da leucemia a cellule capellute (LCC) e in pazienti affetti da leucemia linfatica cronica (LLC) della linea B che non hanno risposto o la cui malattia è progredita durante o dopo il trattamento con almeno un protocollo terapeutico standard contenente un agente alchilante. Inoltre, è recente l'approvazione da parte del Comitato per i Medicinali ad uso umano (CHMP) di EMA, di estendere l'uso del farmaco al trattamento di pazienti con sclerosi multipla recidivante remittente.
Cladribina è un nucleoside sintetico e, in quanto analogo delle purine, agisce come antimetabolita mimando il nucleotide adenosina e inibendo, inoltre, l'enzima adenosina-deaminasi. La sostituzione di un singolo atomo di cloro con un atomo di idrogeno in posizione 2 differenzia la cladribina dalla 2'-deossiadenosina naturale e rende la molecola resistente alla deaminazione da parte dell'adenosina-deaminasi. Diversamente dagli altri agenti chemioterapici che agiscono a livello del metabolismo purinico, cladribina è in grado di colpire linfociti e monociti sia in fase di divisione che quiescenti, inibendo sia la sintesi che la riparazione del DNA.
Per quanto riguarda la sicurezza del farmaco, cladribina induce mielosoppressione, immunosoppressione e linfopenia. In attesa dell'aggiornamento del riassunto delle caratteristiche del prodotto (RCP), l'Azienda titolare di autorizzazione all'immissione in Commercio (AIC) ed AIFA intendono informare i medici prescrittori del rischio potenziale di PML (rara malattia demielinizzante progressiva causata dalla riattivazione del virus JC) in pazienti trattati con il farmaco ed, in particolare, nei casi di linfocitopenia persistente. Si informa, inoltre, che la possibilità di insorgenza di PML può variare da 6 mesi a diversi anni dopo il trattamento farmacologico.
È necessario, pertanto, interrompere il trattamento con cladribina se si sospetta una PML come nel caso di pazienti che mostrano nuovi segni o sintomi neurologici, cognitivi o comportamentali o un loro peggioramento.
L'AIFA coglie l'occasione, infine, per ricordare a tutti gli operatori sanitari l'importanza della segnalazione delle sospette reazioni avverse a farmaci, quale strumento indispensabile per confermare un rapporto beneficio/rischio favorevole nelle reali condizioni di impiego.

Bibliografia:
1) http://www.aifa.gov.it/sites/default/files/Cladribina_NII_1-dicembre-2017.pdf

Efficacia e sicurezza di evolocumab in pazienti con o senza diabete

Recentemente, sul New England Journal of Medicine, sono stati pubblicati i dati dell'analisi pre-specificata dello studio Further Cardiovascular Outcomes Research with PCSK9 Inhibition in Subjects with Elevated Risk (FOURIER) che ha valutato la riduzione del rischio cardiovascolare in pazienti in trattamento combinato con evolocumab(1).
La terapia a base di statine rappresenta un punto cardine nel trattamento delle dislipidemie; tuttavia, al fine di ottimizzare il trattamento dei pazienti ad alto rischio cardiovascolare, negli ultimi anni sono stati sviluppati e commercializzati nuovi farmaci tra i quali figurano gli inibitori dell'enzima pro-proteina convertasi subtilisina/kexina tipo 9, PCSK-9 (alirocumab ed evolocumab)(2).
Gli inibitori di PCSK-9 (IPCSK-9) sono una nuova classe di farmaci indicati nel trattamento di pazienti con ipercolesterolemia primaria (familiare eterozigote e non familiare) o dislipidemia mista, in associazione ad una statina o altro ipolipemizzante, in pazienti che non raggiungono i livelli di LDL-C target con la massima dose tollerata di una statina, in monoterapia o in associazione ad altro ipolipemizzante, e in pazienti intolleranti alle statine o ad elevato rischio cardiovascolare(3).
La National Lipid Association ha, recentemente, aggiornato le raccomandazioni d'uso della terapia a base di IPCSK-9 sulla base delle evidenze scientifiche disponibili: l'uso di IPCSK-9 è fortemente suggerito in pazienti con malattia aterosclerotica stabile o progressiva e con fattori di rischio aggiuntivi, con livelli di LDL-C >70 mg/dl o di colesterolo non-HDL >100 mg/dl nonostante la terapia con una statina alla massima dose tollerata + ezetimibe, al fine di ridurre il rischio cardiovascolare (raccomandazione di grado A). Inoltre, seppur con gradi minori di raccomandazione rispetto alla categoria precedente (gradi B e C), il trattamento con IPCSK-9 è consigliato anche in pazienti con valori di LDL-C >190 mg/dL e con diagnosi di ipercolesterolemia poligenica, ipercolesterolemia familiare (viene aggiunta anche la forma omozigote), e in pazienti ad alto rischio intolleranti alle statine(4).
Evolocumab è un anticorpo monoclonale completamente umanizzato appartenente alla classe delle IgG2. Il farmaco ha ottenuto parere favorevole dal CHMP nel maggio 2015 ed è stato autorizzato dall'Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) nel luglio 2015 e dalla Food and Drug Administration (FDA) nell'agosto 2015. Evolocumab è disponibile per la somministrazione sottocutanea alla dose di 140 mg ogni 2 settimane o 420 mg, una volta al mese, per il trattamento dell'ipercolesterolemia primaria (familiare eterozigote e non familiare) e della dislipidemia mista; in caso di mancata risposta dopo 12 settimane di trattamento, è possibile aumentare la frequenza di somministrazione alla dose di 420 mg ogni 2 settimane.
Efficacia e sicurezza di evolocumab sono state dimostrate nel corso del programma di sviluppo clinico PROFICIO (Program to Reduce LDL-C and Cardiovascular Outcomes FollowingInhibition of PCSK-9 In Different POpulations) che ha previsto la conduzione di 16 studi clinici di fase III.
In particolare, i trials clinici OSLER-1e OSLER-2 (Open-Label Study of Long-Term Evaluation against LDL Cholesterol 1 and 2) hanno confermato l'efficacia di evolocumab in pazienti ad alto rischio di malattia cardiovascolare, con riduzione del rischio di eventi cardiovascolari maggiori e un buon profilo di tollerabilità. Le reazioni avverse (ADRs) più frequenti sono state: reazioni al sito di iniezione (arrossamento, dolore ed ecchimosi), aumento delle transaminasi e della creatina-chinasi, astenia, cefalea e artralgia. L'incidenza di eventi neurocognitivi è stata <1% nel gruppo di trattamento, indipendentemente dai livelli di LDL-C(5).
Lo studio FOURIER, che ha arruolato un totale di 27564 pazienti, ha valutato un endpoint composito, ovvero il rischio di morte cardiaca, infarto non fatale e ospedalizzazione per angina instabile, ictus o rivascolarizzazione coronarica in pazienti con anamnesi positiva per pregresso evento cardiovascolare e ad alto rischio residuo.
L'analisi pre-specificata dei dati aggregati dello studio FOURIER, ha dimostrato che evolocumab riduce il rischio cardiovascolare in pazienti diabetici e non aumenta il rischio di diabete mellito di nuova insorgenza.
Dall'analisi è emerso che evolocumab riduce l'incidenza di eventi cardiovascolari indipendentemente dalla presenza di diabete (riduzione del rischio relativo dell'endpoint primario del 17% in pazienti diabetici, p=0,0008 e del 13% in pazienti non diabetici, p=0,0052; p-interaction=0,60). Inoltre, in pazienti non diabetici, la terapia con evolocumab non ha aumentato il rischio di sviluppare diabete di nuova insorgenza (HR=1,05; IC 95%, 0,94-1,17).
Alla luce dei risultati del vasto programma di studi clinici, evolocumab ha dimostrato che i benefici clinici sono superiori ai rischi, indipendentemente dall'associazione a statina o ezetimibe.
La sorveglianza post marketing e l'ulteriore utilizzo in condizioni di real life, potranno completare le conoscenze circa il profilo di sicurezza del farmaco.

Bibliografia:

1) Sabatine MS et al. Evolocumab and Clinical Outcomes in Patients with Cardiovascular Disease. N Engl J Med May 4, 2017; 376:1713-1722.
2) Ahn CH, Choi SH. New drugs for treating dyslipidemia: beyond statins. Diabetes Metab J. 2015; 39:87-94.
3) Hovingh GK, Davidson MH, Kastelein JJ, O'Connor AM. Diagnosis and treatment of familial hypercholesterolaemia. AM Eur Heart J. 2013; 34:962-71.
4) Orringer CE, Jacobson TA, Saseen JJ, Brown AS, Gotto AM, Ross JL, Underberg JA. Update on the use of PCSK9 inhibitors in adults: Recommendations from an Expert Panel of the National Lipid Association. J Clin Lipidol. 2017 May: S1933-2874(17)30290-8.
5) Sabatine MS, Giugliano RP, Wiviott SD, et al. Efficacy and Safety of Evolocumab in Reducing Lipids and Cardiovascular Events. N Engl J Med 2015; 372:1500-1509.

L’Agenzia Europea dei Medicinali conclude la revisione su Zinbryta®

In data 24/11/2017, in una nota informativa, l'Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), rende noti i dati emersi dalla rivalutazione delle informazioni di sicurezza di Zinbryta® (daclizumab) in merito al rischio di grave tossicità epatica(1).
La revisione di Zinbryta® è stata avviata in data 9 giugno 2017, su richiesta della Commissione Europea ai sensi dell'articolo 20 del regolamento (CE) 726/2004, in seguito ad un decesso per insufficienza epatica fulminante verificatosi durante la conduzione di uno osservazionale e del crescente numero di casi di grave disfunzione epatica, inclusi casi di epatite autoimmune.
Dai trials clinici era emerso un rischio di gravi complicanze epatiche pari all'1,7%.
Daclizumab è un anticorpo monoclonale, prodotto con tecnologia del DNA ricombinante, che lega il CD25 (IL-2Rα) inibendo il legame con l'IL-2. Daclizumab modula il segnale mediato dalla citochina incrementando i livelli di IL-2 necessaria al differenziamento e all'espansione dei linfociti T; inoltre, promuove l'espansione delle cellule immunoregolatorie CD56 bright natural killer (NK), che riducono l'attività dei linfociti T attivati responsabili del danno a carico della guaina mielinica.
Nel luglio 2017, con una dear doctor letter, i medici prescrittori di Zinbryta®(daclizumab), erano stati invitati a somministrare il farmaco con cautela, in particolare in pazienti in terapia con integratori o altri medicinali epatotossici, e a monitorare i marcatori di danno epatico (transaminasi e bilirubina) fino a 6 mesi dalla sospensione del farmaco e ad informare il paziente del possibile rischio di danno epatico. Si deve considerare, inoltre, l'interruzione del trattamento in pazienti che non rispondono alla terapia.
EMA ha, inoltre, adottato ulteriori misure di minimizzazione del rischio, per cui prima di iniziare il trattamento, i pazienti devono essere sottoposti a screening per l'epatite B e C. I pazienti che risultassero positivi al test, sono esclusi dal trattamento. Allo scopo di assicurare che i pazienti siano adeguatamente informati del rischio di tossicità epatica, sarà anche introdotto un apposito modulo informativo.
Bibliografia:

1) http://www.aifa.gov.it/sites/default/files/IT_Zinbryta_EMA_24.11.2017.pdf

FDA approva il primo biosimilare di bevacizumab

In data 02/10/2017, in una nota informativa pubblicata dall'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA)(1) si apprende che la Food and Drug Administration (FDA)(2), ha approvato il primo biosimilare di bevacizumab.
Mvasi®(bevacizumab), prodotto da Amgen Inc. è approvato in terapia di combinazione, in pazienti adulti, nel trattamento di prima o seconda linea, del carcinoma colon rettale metastatico, in prima linea nel trattamento del carcinoma del polmone non a piccole cellule, inoperabile o localmente avanzato e del carcinoma a cellule renali, in associazione ad interferon alfa. Inoltre, trova indicazione nel trattamento del carcinoma della cervice uterina e nella progressione di malattia in pazienti con glioblastoma, dopo precedente trattamento.
Bevacizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato prodotto mediante tecnica del DNA ricombinante, che legandosi al fattore di crescita delle cellule endoteliali vascolari (VEGF), promotore chiave della vasculogenesi e dell'angiogenesi, ne impedisce l'attività biologica. Tale blocco determina la riduzione della vascolarizzazione del tumore, inibisce la formazione di nuova vascolarizzazione e la crescita tumorale.
L'approvazione di Mvasi® da parte della FDA è basata sulla revisione di prove che dimostrano la sovrapponibilità all'originator dal punto di vista fisico-chimico, preclinico e clinico oltre che di dati clinici di immunogenicità e sicurezza. Mvasi® è stato approvato come biosimilare di Avastin®, ma non come prodotto intercambiabile. Per i biosimilari, infatti, il concetto di intercambiabilità e sostituibilità non può essere applicato suggerendo l'utilizzo, almeno inizialmente, del biosimilare in pazienti naïve(3).
Per quanto riguarda il profilo di tollerabilità, gli eventi avversi più comunemente riportati a bevacizumab includono epistassi, cefalea, ipertensione, rinite, proteinuria, alterazione del gusto, xerosi cutanea, sanguinamento rettale, aumentata lacrimazione, dolore alla schiena, dermatite esfoliativa e reazioni di ipersensibilità.
Gli eventi avversi più gravi includono la Sindrome da encefalopatia posteriore reversibile (PRES), una rara malattia neurologica che può manifestarsi con attacchi epilettici, cefalea, alterazione dello stato mentale, disturbi del visus o cecità corticale, associati o meno a ipertensione, tromboembolia arteriosa o venosa e proteinuria.
Come Avastin®, anche per Mvasi®, un boxed warning avverte i professionisti del settore sanitario e i pazienti dell'aumentato rischio di perforazione gastrointestinale; complicanze chirurgiche e rallentamento dei processi di guarigione delle ferite e dei rischi di gravi emorragie, polmonare, gastrointestinale e cerebrale e di sanguinamento vaginale.
È necessario sospendere Mvasi® 28 giorni prima e dopo chirurgia elettiva e fino a che la ferita chirurgica non sia completamente guarita e in caso di deiescenza della stessa.
I biosimilari rappresentano oggi una realtà terapeutica e una risorsa per il paziente e per il sistema sanitario. Rendere disponibili nuovi biosimilari riduce i costi e migliora l'accesso alle terapie.
I biosimilari sono una consolidata realtà terapeutica e la real life ne conferma l'efficacia clinica e l'utilizzazione. Anche le attività di sorveglianza post-marketing serviranno ad aumentare le conoscenze sul profilo di rischio-beneficio di tali farmaci e ne garantiranno un uso sempre maggiore e sicuro.

Bibliografia:
1) http://www.aifa.gov.it/content/fda-approva-il-primo-biosimilare-il-trattamento-di-molteplici-tipi-di-cancro
2) https://www.fda.gov/NewsEvents/Newsroom/PressAnnouncements/ucm576112.htm
3) Cantelli Forti G, Rossi F. Revisione della posizione sui farmaci biosimilari da parte della Società Italiana di Farmacologia: working paper 2016 disponibile su: http://www.sifweb.org/documenti/PositionPaper/position_paper_2016-09-01

   

  

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