Farmacovigilanza

Nota informativa AIFA per prevenire errori di prescrizione, dispensazione, preparazione o somministrazione delle differenti formulazioni di amfotericina B per uso parenterale.

In data 01 marzo 2018 è stata pubblicata sul portale web dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) un’importante nota informativa relativa all’amfotericina B e al rischio di errori di trattamento con le sue differenti formulazioni per uso parenterale Abelcet®, AmBisome® e Fungizone®.
L’amfotericina B, agente antimicotico capace di esercitare, a seconda della concentrazione e della sensibilità fungina, un’azione micostatica o fungicida, è indicato nel trattamento di micosi sistemiche gravi. Tale farmaco esercita la sua azione terapeutica mediante il legame con l’ergosterolo della membrana cellulare fungina, danneggiando quest’ultima e causando la morte cellulare del microrganismo. Il legame dell’amfotericina B agli steroli delle membrane delle cellule umane può causare l’insorgenza di tossicità (cardiaca e renale), sebbene il farmaco presenti un’affinità maggiore per l’ergosterolo fungino che non per il colesterolo delle cellule umane. 
In Italia tale farmaco è disponibile in tre diverse formulazioni per uso parenterale: una formulazione a base fosfolipidica, Abelcet® (5 mg/ml concentrato per soluzione per infusione); una formulazione a base liposomiale, AmBisome® (50 mg polvere per concentrato per soluzione per infusione); una formulazione a base non-lipidica, Fungizone® (50 mg polvere per soluzione per infusione). Tali specialità, seppur contengono lo stesso principio attivo, sono caratterizzate da dosaggi differenti nonché da differenti capacità di biodistribuzione e quindi di biodisponibilità. A seguito di una serie di segnalazioni di errori di prescrizione, dispensazione, preparazione o somministrazione correlati dalla sostituzione delle suddette specialità medicinali, l’AIFA ha emanato una nota informativa al fine di sottolineare che le formulazioni parenterali di amfotericina B non sono intercambiabili a causa del possibile rischio di sovradosaggio. Per prevenire tali possibili errori le aziende produttrici di tali specialità medicinali (Bristol-Myers Squibb S.r.l., Gilead Sciences e Teva S.r.l.), in accordo con AIFA, richiedono ai medici prescrittori di specificare all’atto della prescrizione non solo il principio attivo ma anche il dosaggio e il nome della specialità medicinale per evitare il rischio di confondere le differenti formulazioni di amfotericina B parenterali. Viene, inoltre, richiamata l’attenzione sulle specifiche modalità di preparazione e somministrazione. In particolare, è stato sottolineato che per la ricostituzione di Fungizone® e AmBisome® deve essere utilizzata solo acqua sterile, in quanto l’amfotericina B non è compatibile con il cloruro di sodio (NaCl) o con soluzioni contenenti qualunque agente batteriostatico, in quanto, in tali casi, la soluzione potrebbe precipitare. Pertanto, tutti i prodotti medicinali contenenti amfotericina B per infusione non devono essere somministrati attraverso un catetere endovenoso utilizzato in precedenza per una soluzione allo 0,9% di NaCl, a meno che esso non venga prima lavato con soluzione glucosata iniettabile. L’Abelcet®, invece, non richiede nessuna procedura di ricostituzione, ma deve essere direttamente diluito con infusione di destrosio al 5% per ottenere una concentrazione finale di 1 mg/ml. Le operazioni per l'allestimento delle soluzioni per la fleboclisi devono essere effettuate in rigorosa asepsi, in quanto le formulazioni parenterali a base di amfotericina B non contengono alcun agente preservante o batteriostatico. Infine, relativamente ai tempi e alle temperature di conservazione da rispettare dopo ricostituzione e diluizione si raccomanda di fare rigorosamente riferimento a quanto riportato sugli stampati.

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Fonte: AIFA

Approvazione europea per emicizumab, nuovo farmaco per il trattamento dell’emofilia A

In data 26 gennaio 2018, il Comitato per i Medicinali per uso umano (CHMP) dell'Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) ha espresso il parere favorevole per il rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) per emicizumab.Il farmaco, sviluppato da Roche, verrà utilizzato per il trattamento profilattico dell’emofilia A in pazienti che hanno sviluppato anticorpi contro il fattore VIII della coagulazione e sarà immesso in commercio con il nome commerciale Hemlibra® [1].      

Emicizumab è un anticorpo monoclonale bispecifico che agisce mimando l’azione del fattore VIII attivato. Il farmaco si lega ai fattori della coagulazione IXa e X, ripristinando il normale processo di coagulazione del sangue.

Grazie al suo meccanismo d’azione, emicizumab rappresenta un nuovo approccio per il trattamento dei pazienti affetti da emofilia A che hanno sviluppato anticorpi diretti contro il fattore VIII. Questi pazienti, infatti, non rispondono al trattamento con i farmaci emofilici attualmente disponibili e, pertanto, sono esposti ad un maggior rischio di mortalità (maggiore del 70%).      

L’autorizzazione di emicizumab è avvenuta attraverso una procedura regolatoria accelerata e il farmaco sarà autorizzato esclusivamente per l’uso in pazienti con emofilia A che hanno sviluppato anticorpi contro il fattore VIII della coagulazione e verrà somministrato in un’unica iniezione settimanale per via sottocutanea.   

La richiesta di autorizzazione all’immissione in commercio è stata supportata dalla conduzione di studi registrativi di fase III. In particolare, l’efficacia e la sicurezza di emicizumab sono state valutate nell’ambito di due studi registrativi condotti in pazienti di età uguale o superiore a 12 anni, con e senza inibitori del fattore VIII, e in bambini di età inferiore a 12 anni con inibitori del fattore VIII.
Il primo studio (HAVEN 1) di fase III ha arruolato 109 pazienti di sesso maschile di età uguale o superiore ai 12 anni affetti da emofilia A e presentati anticorpi contro il fattore VIII. I pazienti sono stati randomizzati al trattamento con emcizumab e suddivisi in tre gruppi di trattamento in base al precedente trattamento ricevuto. I risultati di questo studio hanno evidenziato una riduzione dei sanguinamenti trattati pari all’87% con emicizumab in profilassi rispetto alla precedente profilassi con agenti bypassanti (BPA). Inoltre, i pazienti trattati con emicizumab hanno riportato un miglioramento dei sintomi legati all'emofilia (gonfiore e dolore alle articolazioni) e del funzionamento fisico (dolore con movimento e difficoltà di deambulazione) rispetto ai pazienti che non hanno ricevuto un trattamento profilattico [2]. Il secondo studio (HAVEN 2) di fase III, condotto in 23 pazienti pediatrici (di età inferiore ai 12 anni) affetti da emofilia A presentanti anticorpi diretti contro il fattore VIII, ha dimostrato che emicizumab risulta essere ben tollerato ed associato ad una sostanziale riduzione delle emorragie. In particolare, dai risultati ottenuti è emerso che il 94,7% dei pazienti inclusi nello studio trattati con emicizumab non ha riportato sanguinamenti [3]. Gli eventi avversi più comuni, verificatisi nel 10% o più delle persone trattate con emicizumab nel corso degli studi clinici, sono stati reazioni presso il sito di iniezione, mal di testa e dolore articolare (artralgia).

Il programma di sviluppo clinico ha incluso anche un altro studio di fase III (HAVEN 3), condotto in pazienti di età uguale o superiore a 12 anni affetti da emofilia A senza inibitori, il quale ha evidenziato una riduzione statisticamente significativa e clinicamente rilevante del numero di sanguinamenti trattati nel tempo nei pazienti sottoposti al trattamento con emicizumab rispetto a quelli non sottoposti ad alcuna profilassi. Infine, è ancora in corso lo studio di fase III (HAVEN 4) che sta valutando un diverso schema posologico che prevede la somministrazione del farmaco una volta ogni quattro settimane in pazienti affetti emofilia A con o senza inibitori.           

Sulla base dei risultati che saranno ottenuti dagli studi HAVEN 3 e HAVEN 4, Roche presenterà entro il 2018 la domanda di autorizzazione statunitense ed europea per emicizumab nel trattamento di pazienti affetti da emofilia A senza inibitori. Tale approvazione permetterebbe l’impiego del farmaco in una più ampia popolazione di pazienti, in quanto circa il 70% delle persone affette da emofilia A non presenta inibitori del fattore VIII.

Riferimenti bibliografici

1.http://www.ema.europa.eu/docs/en_GB/document_library/Summary_of_opinion__Initial_authorisation/human/004406/WC500242386.pdf

2. Oldenburg J, Mahlangu JN, Kim B, Schmitt C, Callaghan MU, Young G, Santagostino E, Kruse-Jarres R, Negrier C, Kessler C, Valente N, Asikanius E, Levy GG, Windyga J, Shima M. Emicizumab Prophylaxis in Hemophilia A with Inhibitors. N Engl J Med. 2017 Aug 31;377(9):809-818.

3. Young, G., Sidonio, R. F., Liesner, R., Oldenburg, J., Chang, T., Uguen, M., Dhalluin, C., Schmitt, C., Levy, G. G., Shima, M., & Mahlangu, J. (2017). HAVEN 2 Updated Analysis: Multicenter, Open-Label, Phase 3 Study to Evaluate Efficacy, Safety and Pharmacokinetics of Subcutaneous Administration of Emicizumab Prophylaxis in Pediatric Patients with Hemophilia A with Inhibitors. Blood, 130(Suppl 1), 85.

PERSONALIZED ANTI-TNF THERAPY IN CROHN'S DISEASE STUDY (PANTS): I RISULTATI DIMOSTRANO CHE CT-P13 (BIOSIMILARE INFLIXIMAB) È PARAGONABILE A INFLIXIMAB E ADALIMUMAB NELLA MALATTIA DI CROHN

Lo studio osservazionale prospettico Personalized Anti-TNF therapy in Crohn's disease Study (PANTS) della durata di 3 anni, i cui risultati preliminari alla settimana 54 sono stati presentati al 13°Congresso della European Crohn's and Colitis Organisation (ECCO), hanno dimostrato che l'efficacia clinica, la sicurezza e l'immunogenicità di CT-P13 (biosimilare di infliximab) nei pazienti con malattia di Crohn sono sovrapponibili a quelli ottenuti con con infliximab originator e adalimumab 1

CT-P13 è il primo anticorpo monoclonale biosimilare di infliximab approvato nel 2013 sia dall'Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) con il nome commerciale Remsima®, che dalla Food and Drug Administration (FDA) con il nome commerciale Inflectra™. Come noto, CT-P13 (biosimilare di infliximab) è un anticorpo monoclonale chimerico che lega con elevata affinità la forma solubile e quella di membrana del fattore di necrosi tumorale (TNFα), ma non la linfotossina a (TNFb). Il farmaco trova indicazione nel trattamento di diverse malattie autoimmuni, ivi comprese l’artrite reumatoide, il morbo di Crohn, la rettocolite ulcerosa, le forme severe di spondilite anchilosante e quelle moderato-severe di psoriasi e artrite psoriasica 2.

Le malattie infiammatorie croniche intestinali, tra cui si annoverano il morbo di Crohn e la rettocolite ulcerosa, costituiscono una problematica di notevole impatto per il sistema sanitario, sia in termini di incidenza della patologia che per i costi di gestione ad essa correlati. Si stima, infatti, che solo in Europa dai 2,5 ai 3 milioni di persone siano affette da malattie infiammatorie croniche intestinali e che la spesa sanitaria di queste patologie ammonti a un importo compreso tra i 4,6 e i 5,6 miliardi di euro annui 3,4.

In questo contesto, l’introduzione degli anticorpi monoclonali anti-TNFa nel trattamento delle malattie infiammatorie croniche intestinali ha radicalmente cambiato  lo scenario terapeutico. Infatti, gli anticorpi monoclonali anti-TNFa hanno dimostrato una notevole efficacia nell’inibizione selettiva dei meccanismi che sottendono l'infiammazione rallentando la naturale progressione della malattia infiammatoria cronica intestinale, inducendo e mantenendo la remissione clinica, la guarigione delle mucose e migliorando la qualità della vita dei pazienti. In particolare, infliximab e adalimumab sono stati i primi anti-TNFa utilizzati per la cura delle malattie infiammatorie croniche intestinali 2,3,4

Dall’approvazione di CT-P13, biosimilare di infliximab, nel 2016 sono stati condotti numerosi studi sull’utilizzo degli anti-TNF-α in pazienti affetti da colite ulcerosa e morbo di Crohn. In particolare, durante lo studio osservazionale prospettico PROSIT-BIO, in cui sono stati arruolati 397 pazienti, 166 avevano ricevuto Inflectra® e 231 Remsima®. In accordo a quanto riportato dagli autori dello studio, i dati hanno dimostrato che, non sussistono differenze significative in termini di efficacia e sicurezza del biosimilare rispetto all’originator nel trattamento delle malattie infiammatorie croniche intestinali 5.

Alla stregua dello studio PROSIT-BIO, i risultati dello studio PANTS, condotto nel Regno Unito, costituiscono un ulteriore passo in avanti nel trattamento delle malattie infimmatorie intestinali ampliando la disponibilità di opzioni terapeutiche efficaci e più sostenibili per la spesa sanitaria. Nello specifico, infatti, lo studio PANTS ha valutato la mancata risposta primaria, la perdita di risposta, le reazioni avverse al farmaco (ADR) nonché i dati di immunogenicità in 1610 pazienti affetti da morbo di Crohn in trattamento con infliximab originator (Remicade®) vs CT-P13 (biosimilare di infliximab) vs adalimumab (Humira®) 1.

I pazienti sono stati suddivisi per bracci di trattamento, di cui 751 (47%) in terapia con infliximab originator, 200 (12%) con CT-P13 e 650 (41%) con adalimumab 1. L'immunogenicità è stata definita come titolo dei livelli di farmaco (DL) e anticorpi anti-farmaco (ADA) misurati utilizzando saggi ELISA dove il limite era definito come ADA ≥10 AU / ml + DL non rilevabile 1

I dati hanno dimostrato un'efficacia sovrapponibile tra CT-P13, l'infliximab di riferimento e adalimumab in termini di tassi di mancata risposta primaria, perdita di risposta e ADR. Inoltre, il tasso di remissione alla settimana 54 per i pazienti trattati con l'infliximab originator, CT-P13 e adalimumab era, rispettivamente, del 40%, 40% e 34%. Sempre nello stesso periodo di osservazione, il tasso di immunogenicità per l'infliximab originator, CT-P13 e adalimumab era, rispettivamente, del 26%, 28% e 11% (CT-P13 vs adalimumab = p<0,0001; infliximab originator vs CT-P13 p=0,25). Nello studio PANTS, l'immunogenicità è stata associata alla non remissione del morbo di Crohn alla settimana 54 (p <0,0001 per infliximab originator/CT-P13 e adalimumab); inoltre, è stato dimostrato che l'impiego di immunomodulatori (azatioprina, mercaptopurina e metotrexato) riduce il rischio di immunogenicità per infliximab originator/CT-P13 (HR = 0,37,p < 0,0001) e adalimumab (HR=0,34 p <0,0001) 1

Dai dati emersi dallo studio PANTS risulta chiaro che, nel trattamento delle malattie infiammatorie intestinali, l'immunogenicità costituisce un fattore importante nella mancata risposta primaria e nella perdita di risposta alla settimana 54, sia per i pazienti trattati con infliximab, sia per quelli trattati con adalimumab e che l’utilizzo di immunomodulatori può ridurre l’incidenza di tale problematica. Inoltre, tale studio ha dimostrato che questo il rischio di immunogenicità è in parte geneticamente determinato, il che pone le basi per lo sviluppo futuro di algoritmi di trattamento personalizzati 1

Alla luce dei di quanto emerso, lo studio di coorte prospettico PANTS costituisce una biorisorsa clinica unica per lo sviluppo di strategie anti-TNFa personalizzate in pazienti affetti da malattie infiammatorie intestinali e per la prevenzione dei fallimenti terapeutici per immunogenecità. 

Bibliografia

1.      Kennedy, N.A. et al. Clinical effectiveness, safety and immunogenicity of anti-TNF therapy in Crohn’s Disease: 12 month data from the PANTS study Congress of the European Crohn’s and Colitis Organisation (ECCO) 2018. OP031 Disponibile al sito: https://www.ecco-ibd.eu/publications/congress-abstract-s/abstracts-2018/item/op031-clinical-effectiveness-safety-and-immunogenicity-of-anti-tnf-therapy-in-crohn-x2019-s-disease-12-month-data-from-the-pants-study.html

2.      Blair HA, Deeks ED. Infliximab Biosimilar (CT-P13; Infliximab-dyyb): A Review in Autoimmune Inflammatory Diseases. BioDrugs. 2016;30(5):469-480.

3.      Molodecky NA, et al. Increasing incidence and prevalence of the inflammatory bowel diseases with time, based on systematic review. Gastroenterology. 2012; 142(1)46–54. 

14.      Burisch J, et al. The burden of inflammatory bowel disease in Europe. Journal of Crohn's and Colitis (2013)7,322-337.

5.      Fiorino G, Manetti N, Armuzzi A, Orlando A, Variola A, Bonovas S, Bossa F, Maconi G, DʼIncà R, Lionetti P, Cantoro L, Fries W, Annunziata ML, Costa F, Terpin MM, Biancone L, Cortelezzi CC, Amato A, Ardizzone S, Danese S, Guidi L, Rizzuto G, Massella A, Andriulli A, Massari A, Lorenzon G, Ghione S, Kohn A, Ventra A, Annese V; PROSIT-BIO Cohort. The PROSIT-BIO Cohort: A Prospective Observational Study of Patients with Inflammatory Bowel Disease Treated with Infliximab Biosimilar. Inflamm Bowel Dis. 2017;23(2):233-243.

Raccomandazioni del PRAC per l’uso di retinoidi in gravidanza

Il Comitato di Valutazione dei Rischi per la Farmacovigilanza (PRAC) dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) ha concluso la revisione relativa all’aggiornamento delle misure di prevenzione della gravidanza in pazienti in trattamento con retinoidi. Il riesame condotto dal PRAC si è basato sui dati presenti in letteratura e sui report post-marketing delle segnalazioni di sospetta reazione avversa [1].

I retinoidi sono derivati della vitamina A utilizzati, sia per via orale che per via topica, nel trattamento di varie forme gravi di acne, di eczema delle mani non rispondente ai corticosteroidi, di forme gravi di psoriasi e altre condizioni della pelle, inclusi alcuni tipi di cancro. È stato dimostrato che tali farmaci sono estremamente teratogeni in quanto sono in grado di indurre importanti malformazioni fetali e di aumentare il rischio di aborto. In particolare, l'acido retinoico ed i suoi derivati possono causare la malformazione dello scheletro del cranio, della faccia ed una scorretta divisione cardiaca. Inoltre, dati recenti hanno dimostrato la possibile associazione al rischio di sviluppo di disturbi neuropsichiatrici (depressione, ansia, cambiamenti d’umore) nel nascituro.

Nonostante nelle schede tecniche delle specialità medicinali a base di retinoidi sia indicato che al momento della prescrizione il medico debba accertarsi che la paziente intraprenda misure efficaci di contraccezione, ancora persistono le problematiche relative all’inefficace comunicazione tra il medico e il paziente. Infatti, uno studio pubblicato nel 2015 sulla rivista Pharmacoepidemiology and drug safety ha evidenziato che solo una piccola percentuale di donne in trattamento con i retinoidi viene adeguatamente informata relativamente alle misure da intraprendere per la prevenzione della gravidanza. In particolare, dallo studio, condotto in Francia su una coorte di 8.672 donne tra i 15 e i 49 anni esposte a acitretina, è emerso che solo il 12% delle donne aveva eseguito un test di gravidanza durante il trattamento e nei due anni successivi l'interruzione del farmaco [2].
Allo scopo di valutare l'adeguatezza delle misure intraprese per la prevenzione delle gravidanze e per la minimizzazione del rischio di disordini neuropsichiatrici, nel 2016 i farmaci contenenti retinoidi sono stati sottoposti alla revisione dell'EMA [3].

Nel corso della riunione che si è svolta tra il 5 e l’8 febbraio 2018, il PRAC ha confermato gli effetti nocivi che potrebbero derivare dall’uso di retinoidi durante la gravidanza, con particolare riferimento a quelli assunti per via orale. Per quelli assunti per via topica, invece, i dati sembrano suggerire che la quantità di principio attivo assorbita per via cutanea sia estremamente bassa e la possibilità di indurre effetti nocivi sul feto risulta ridotta [4]. Tuttavia, il PRAC precisa che un uso eccessivo o la presenza di lesioni cutanee potrebbe aumentare l’assorbimento del prodotto, pertanto è preferibile evitare del tutto l’uso di questi prodotti in gravidanza.        
Le raccomandazioni del PRAC si riferiscono soprattutto alle preparazioni a base di acitretina, alitretinoina e isotretinoina, le quali non devono essere assunte dalle donne in età fertile a meno che non siano soddisfatte le condizioni previste dal programma di prevenzione della gravidanza (PPP). Il nuovo piano PPP, raccomandato dal PRAC al fine di garantire un supporto ottimale nella discussione tra il medico e il paziente, contiene le informazioni necessarie per le pazienti in merito alla probabilità di rimanere incinta, al test di gravidanza, alla necessità di adottare una contraccezione efficace prima, durante e dopo il trattamento. Sono, inoltre, state raccomandate modalità di verifica relative all’utilizzo da parte dei prescrittori dell’apposita modulistica per il consenso informato a conferma che sia stata fornita alle pazienti una consulenza appropriata.

Per i retinoidi orali bexarotene e tretinoina non è stata ritenuta necessaria l’istituzione di un PPP poiché questi medicinali, indicati nel trattamento di alcuni tipi di cancro, sono utilizzati in una popolazione di pazienti molto diversa, sotto stretto controllo medico.        
Infine, relativamente alla correlazione tra retinoidi e disturbi neuropsichiatrici il PRAC ha stabilito che nelle informazioni utili per la prescrizione di tutti i retinoidi orali venga inserito anche questo avvertimento. Quelli topici, invece, non sembrano essere associati a tale rischio.

In conclusione, le raccomandazioni del PRAC saranno ora trasmesse al Comitato per i Medicinali ad Uso Umano (CHMP), che adotterà il parere dell’Agenzia Europea.

Bibliografia

1. http://www.agenziafarmaco.gov.it/sites/default/files/IT_Retinoids_09.02.2018.pdf

2. Raguideau F, Mezzarobba M, Zureik M, Weill A, Ricordeau P, Alla F. Compliance with pregnancy prevention plan recommendations in 8672 French women of childbearing potential exposed to acitretin. Pharmacoepidemiol Drug Saf. 2015 May;24(5):526-33.

3. http://www.aifa.gov.it/sites/default/files/Retinoid_medicines_EMA_referral_IT_08.07.2016.pdf

4. Panchaud A, Csajka C, Merlob P, Schaefer C, Berlin M, De Santis M, Vial T, Ieri A, Malm H, Eleftheriou G, Stahl B, Rousso P, Winterfeld U, Rothuizen LE, Buclin T. Pregnancy outcome following exposure to topical retinoids: a multicenter prospective study. J Clin Pharmacol. 2012 Dec;52(12):1844-51.

CERTOLIZUMAB PEGOL: AGENZIA EUROPEA DEI MEDICINALI ESTENDE L'IMPIEGO ALLE DONNE IN GRAVIDANZA E DURANTE L'ALLATTAMENTO

Recentemente, l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) ha approvato l'estensione delle indicazioni terapeutiche attualmente autorizzate di certolizumab pegol alle donne in gravidanza e in allattamento 1,2.

Certolizumab pegol è un anticorpo monoclonale ricombinante che presenta il Fragment antigen binding (Fab) umanizzato di un anticorpo diretto contro il fattore di necrosi tumorale (TNF alfa) espresso in Escherichia coli e coniugato con polietilenglicole (PEG).

Certolizumab pegol è approvato da EMA e dalla Food and Drug Administration(FDA) per il trattamento dell'artrite reumatoide attiva di grado da moderato a grave in pazienti adulti in combinazione con metotressato qualora la risposta ai farmaci antireumatici modificanti la malattia (DMARDs, disease-modifying anti-rheumatic drugs) risulti inadeguata o, in monoterapia, in caso di intolleranza al metotressato3,4. Inoltre, certolizumab pegol è stato approvato dalla FDA nel trattamento della malattia di Crohn  attiva di entità da moderata a grave, allorché non sia stata ottenuta una risposta adeguata alle terapie convenzionali. Tuttavia, tale indicazione non è approvata in Europa in quanto l’EMA ha valutato che i benefici di certolizumab pegol non sono superiori ai rischi quando questi è impiegato nel trattamento del morbo di Crohn 3-6

Le attuali evidenze scientifiche indicano una maggiore incidenza delle malattie infiammatorie croniche (CID) come l'artrite reumatoide (RA), la spondilite anchilosante (AS), la spondiloartrite assiale (axSpA), l'artrite psoriasica (PsA) e il morbo di Crohn (CD) nei soggetti di sesso femminile, nei quali spesso l’esordio precoce coincide con l’età fertile. Pertanto, la gestione terapeutica in questa delicata popolazione ricopre un ruolo di peculiare importanza per i rischi correlati alla gravidanza, inclusi aborto spontaneo, parto prematuro e basso peso alla nascita, per riacutizzazione della malattia materna dopo il parto, finanche alla possibilità di garantire una nutrizione ottimale del nascituro attraverso l'allattamento al seno 1,2.

Alla luce di tale problematica, i due studi clinici post-marketing a supporto della decisione dell'ente regolatorio europeo, CRIB e CRADLE, hanno valutato l’entità del passaggio di certolizumab pegol attraverso la placenta e durante l'allattamento 1,2

A differenza dei congeneri anti-TNF alfa approvati infliximab, adalimumab, golimumab ed etanercept che contengono il frammento cristallizzabile (Fc), certolizumab pegol non presenta tale frammento nella sua struttura molecolare, pertanto non induce l’apoptosi di linfociti, granulociti e neutrofili e riduce la citotossicità mediata dal complemento e dalle cellule T anticorpo-dipendente 3,4. Benchè il meccanismo che sottende la differente attività di certolizumab pegol rispetto agli altri anti-TNF alfa non sia stato attualmente delucidato, ha costituito il razionale per avanzare l’ipotesi di un ridotto passaggio del farmaco ed una trascurabile secrezione nel latte materno 1-4.

I due studi clinici post marketing CRIB e CRADLE sono stati i primi ad essere sponsorizzati dall'industria farmaceutica (UCB Pharma) e, in entrambi, sono state arruolate pazienti in gravidanza o in allattamento affette da malattie infiammatorie croniche, quali artrite reumatoide, artrite psoriasica, spondiloartrite assiale e morbo di Crohn in terapia con certolizumab pegol 1,2.

Studi precedenti hanno dimostrato che le terapie anti-TNF alfa vengono spesso sospese dopo il primo trimestre per limitare il trasferimento placentare del farmaco al feto. Il passaggio delle immunoglobuline G (IgG) dalla madre al feto è un processo attivo che avviene durante il secondo e il terzo trimestre di gravidanza ed è mediato dalla presenza del recettore del frammento cristallino neonatale (FcRn) espresso a livello della placenta. Gli stessi studi hanno documentato che la presenza della regione Fc delle IgG1 consente il trasporto mediato da FcRn attraverso la placenta di tutti gli anti-TNF approvati (infliximab, adalimumab, golimumab ed etanercept) ad eccezione di certolizumab pegol. Alla luce di tali evidenze lo studio CRIB è stato progettato per misurare i livelli plasmatici di certolizumab pegol in presenti nei campioni di sangue di 16 pazienti gravide, nei cordoni ombelicali e nei neonati al momento della nascita, al quarto e all’ottavo mese di età. I risultati hanno dimostrato che i livelli di certolizumab pegol erano inferiori al limite inferiore di quantificazione (LLOQ ) in 13 su 14 campioni di sangue prelevati al momento della nascita e in tutti i campioni a quattro e a otto settimane. Inoltre, non è stato rilevato alcun anticorpo anti- certolizumab pegol nelle madri, nei cordoni ombelicali o nei neonati 1.

Lo studio CRADLE è stato concepito come uno studio "solo per il latte", durante il quale sono stati esaminati 137 campioni di latte materno raccolti in tre momenti diversi da 17 pazienti, per i quali sono state misurate le concentrazioni di certolizumab pegol ed è stata stimata la dose giornaliera media di anticorpo monoclonale potenzialmente ingerita dal bambino, valutata in percentuale come dose infantile relativa (RID). I risultati hanno dimostrato che in 4 su 17 madri i livelli di certolizumab pegol nei campioni esaminati erano 3 volte al di sotto del LLOQ mentre, il RID mediano era dello 0,15%. Pertanto, gli autori hanno concluso che in virtù della bassa biodisponibilità orale di certolizumab pegol e della sua particolare struttura molecolare senza frammento Fc la secrezione del farmaco nel latte materno è minima 2.

In conclusione, i risultati degli studi CRIB e CRADLE avallano la decisione di EMA relativamente alla continuazione del trattamento con certolizumab pegol durante gravidanza e l’allattamento quando ritenuto necessario.

Bibliografia

1. Mariette X, Förger F, Abraham B, et al. Lack of Placental Transfer of Certolizumab Pegol During Pregnancy: Results from CRIB, a Prospective, Postmarketing, Multicenter, Pharmacokinetic Study. Ann Rheum Dis. 2017; 0:1–6. doi:10.1136/annrheumdis-2017-212196. 

2. Clowse ME, Förger F, Hawng C, et al. Minimal to no transfer of certolizumab pegol into breast milk: results from CRADLE, a prospective, postmarketing, multicentre, pharmacokinetic study. Ann Rheum Dis. 2017;76:1890–1896. 

3. Smolen JS et al. Efficacy and safety of certolizumab pegol plus metho-trexate in active rheumatoid arthritis: The RAPID e Study. Ann Rheum Dis. 2009;68:797-804.

4. Goel N., Stephens S. Certolizumab pegol. MAbs. 2010 Mar-Apr; 2(2): 137–147.

5. Cimzia®.Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto (RCP).

6. Questions and answers on recommendation for the refusal of the marketing authorisation for CIMZIA. Doc. Ref. EMEA/CHMP/145497/2008. www.emea.europa.eu/.

   

  

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