Farmacovigilanza

Miocardite da clozapina: i dati di una revisione sistematica

Recentemente, sono stati pubblicati sulla rivista scientifica International Journal of Cardiology, i risultati di una revisione sistematica atta a valutare la cardiotossicità ed, in particolare, la miocardite indotta da clozapina [1].

La clozapina è un antipsicotico atipico indicato nel trattamento di seconda linea della schizofrenia in pazienti resistenti ad altri farmaci antipsicotici. Come emerso da diversi studi clinici, il trattamento con clozapina rispetto agli altri antipsicotici è associato a numerosi benefici in termini di ridotta aggressività, minor numero di ricoveri psichiatrici e minori effetti extrapiramidali che si traducono in una migliore qualità di vita per il paziente schizofrenico [2]. Inoltre, i soggetti trattati con clozapina presentano un tasso di mortalità per suicidi significativamente inferiore rispetto ai pazienti in trattamento con altri antipsicotici [3-4]. Tuttavia, la clozapina trova indicazione solo come trattamento di seconda linea nella schizofrenia a causa del suo profilo di tollerabilità caratterizzato dal rischio di reazioni avverse potenzialmente fatali, quali cardiomiopatie e miocardite [5-6].Non è noto il meccanismo alla base di tali reazioni avverse, ma l’ipotesi più accreditata è correlata alla formazione di metaboliti cardiotossici da parte della clozapina in grado di danneggiare le proteine cardiache ed attrarre cellule infiammatorie [7-8].

In questo contesto, Bellissima B.L. e collaboratori hanno condotto una revisione sistematica, effettuando una ricerca di tutti gli studi pubblicati fino al settembre 2016, nei quali fosse stato valutato il profilo di tollerabilità della clozapina ed, in particolare, la sua potenziale cardiotossicità [1].

Gli autori, su un totale di 3.347 studi in cui erano riportate possibili complicanze cardiache da clozapina, ne hanno individuato 82 con 359 possibili casi di miocardite indotta dal suddetto trattamento, alla posologia media di 250 mg/die. I pazienti presentavano un età media di 30 anni, con un esordio della miocardite nell’87% dei casi entro il primo mese di trattamento. Il quadro clinico della miocardite indotta da clozapina è risultato estremamente variabile e caratterizzato da sintomi poco specifici quali dispnea (42%), dolore al petto (37%), sintomi simil-influenzali e/o sensazione di malessere (18%), tosse (12%) e disturbi gastrointestinali (11%); il segno più frequente è stato, invece, la tachicardia nel 58% dei pazienti. Tuttavia, è doveroso considerare che circa il 25% dei pazienti in terapia con clozapina manifesta un aumento della frequenza cardiaca mediata dalla sua azione anticolinergica [9].

Dalle analisi strumentali (ECG), riportate in 62 casi di sospetta miocardite da clozapina, è emerso che il 37% dei pazienti presentava una tachicardia sinusale ed il 24% un’inversione dell’onda T; all'ecocardiogramma, invece, il reperto più frequente è rappresentato da una disfunzione ventricolare diffusa (57%).

Infine, gli autori hanno evidenziato un aumento del tasso di mortalità (9%) nei pazienti  che sviluppano miocardite da clozapina rispetto alla popolazione generale.

Alla luce di tali evidenze, si può evincere che i pazienti con miocardite indotta da clozapina possono manifestare segni e sintomi non specifici che possono determinare una diagnosi ritardata. Pertanto, l’insorgenza di miocardite dovrebbe essere sospettata nei pazienti che assumono clozapina e presentano, in modo inspiegabile, senso di affaticamento, dispnea, tachipnea, febbre, dolore al petto, palpitazioni ed altri segni e sintomi di insufficienza cardiaca o anomalie del tratto ST. E’ necessario, quindi, un attento monitoraggio del paziente in trattamento con clozapina, soprattutto nel primo trimestre, al fine di individuare precocemente i summenzionati segni di miocardite [1].

Bibliografia

1. Bellissima BL, Tingle MD, Cicović A et al. A systematic review of clozapine induced myocarditis. Int J Cardiol. 2018 May 15;259:122-129.

2. Wheeler AJ. Treatment pathway and patterns of clozapine prescribing for schizophrenia in New Zealand. Ann Pharmacother. 2008;42(6):852-60.

3. Meltzer HY. Suicide and schizophrenia: clozapine and the InterSePT study. International Clozaril/Leponex Suicide Prevention Trial. J Clin Psychiatry. 1999;60 Suppl 12:47-50.

4. Tiihonen J, Lönnqvist J, Wahlbeck K et al. 11-year follow-up of mortality in patients with schizophrenia: a population-based cohort study (FIN11 study). Lancet. 2009;374(9690):620-27.

5. J.A. Lieberman, A.Z. Safferman, Clinical profile of clozapine: adverse reactions and agranulocytosis, The Psychiatric quarterly. 1992;63(1): 51–70.

6. Kilian JG, Kerr K, Lawrence C, Celermajer DS. Myocarditis and cardiomyopathy associated with clozapine. Lancet. 1999 Nov 27;354(9193):1841-5.

7. Wang JF, Min JY, Hampton TG, Amende I, Yan X, Malek S, Abelmann WH, Green AI,  Zeind J, Morgan JP. Clozapine-induced myocarditis: role of catecholamines in a murine model. Eur J Pharmacol. 2008;592(1-3): 123-27.

8. Pieroni M, Cavallaro R, Chimenti C et al. Clozapine-induced hypersensitivity myocarditis. Chest. 2004; 126(5): 1703-05.

9. Michelsen JW, Meyer JM. Cardiovascular effects of antipsychotics. Expert Rev Neurother. 2007;7(7):829-39. 

L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) pubblica una nota informativa in merito al rischio di interazione farmacologica tra ritonavir e levotiroxina.

In data 11 Maggio 2018, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha pubblicato una nota informativa sul rischio di interazione farmacologica tra ritonavir e levotiroxina con riduzione dell’efficacia terapeutica della levotiroxina e conseguente ipotiroidismo.

Il trattamento con levotiroxina rappresenta lo standard of care nei pazienti affetti da ipotiroidismo [1]. Dopo somministrazione, la levotiroxina è biologicamente convertita nella sua forma attiva, triiodotironina (T3), attraverso la deiodinazione dell’anello esterno in fegato e reni. Oltre alla deiodinazione, gli ormoni tiroidei sono metabolizzati dalle solfotrasferasi e dall’uridina difosfato glucuronosiltransferasi (UGT). Ritonavir è un inibitore della proteasi ampiamente utilizzato nella terapia del virus dell'immunodeficienza umana (HIV). È stato ampiamente dimostrato che il ritonavir è implicato in numerose interazioni farmacologiche, in quanto agisce sia come farmaco-inibitore di alcune isoforme del citocromo P 450 (CYP3A4 e CYP2D6) e della glicoproteina P, che come farmaco induttore dei CYP1A2, CYP2B6, CYP2C9, CYP2C19 e UGT [2]. Questi effetti possono influenzare le concentrazioni sieriche di farmaci metabolizzati dai sopracitati enzimi, comportando in taluni casi la necessità di utilizzare dosi di farmaco più elevate per ottenere un effetto terapeutico. A riguardo, sono stati riportati casi di interazione farmaco-farmaco tra ritonavir e substrati dell’UGT, quali etinil estradiolo, lamotrigina, acido valproico e levotiroxina [3]. Per quanto riguarda la levotiroxina, è stata descritta l’interazione con ritonavir in una paziente affetta da tiroidite autoimmune secondaria alla terapia con interferone alfa. In particolare, in tale caso, dopo un mese dall’inizio della terapia con ritonavir, la paziente ha presentato un aumento delle concentrazione di ormone tireostimolante (TSH), richiedendo un raddoppio della dose di levotiroxina per il raggiungimento del target terapeutico. Successivamente allo switch della terapia con ritonavir all’indinavir a causa dell’insorgenza di epatite, la dose di levotiroxina è stata nuovamente ridotta [4]. Altro sospetto di interazione farmacologica tra ritonavir e levotiroxina è stata descritta da Touzot et al. in un paziente affetto da HIV e ipotiroidismo secondario, i cui livelli di TSH si sono normalizzati solo dopo la sospensione della terapia antivirale con ritonavir [5]. Infine, Ruellan et al. descrivono brevemente due casi di sospetta interazione farmacologica con fosamprenavir/ritonavir e levotiroxina. In entrambi i casi è stato necessario sospendere la terapia fosamprenavir/ritonavir per il raggiungimento del target terapeutico con la levotiroxina [6].

La nota informativa dell’AIFA è conseguente all’analisi del segnale del database di Farmacovigilanza (Eudravigilance) effettuata dall’Agenzia Europea dei Medicinali, che ha evidenziato un aumento del numero di casi segnalati post-marketing e indicativi di una potenziale interazione tra ritonavir e levotiroxina. In particolare, in seguito a tale segnale, il Comitato di Valutazione dei Rischi per la Farmacovigilanza (PRAC) ha raccomandato a tutti i Titolari di Autorizzazione all’Immissione in Commercio di tali farmaci l’aggiornamento del Riassunto Caratteristiche del Prodotto e del Foglio Illustrativo per aggiungere informazioni inerenti l’interazione tra ritonavir e levotiroxina. Nello specifico, sarà raccomandato all’interno del Riassunto Caratteristiche del Prodotto e del Foglio Illustrativo il monitoraggio del TSH in pazienti co-trattati con levotiroxina e ritonavir.

Referenze

1.      Jonklaas J, Bianco AC, Bauer AJ et al. Guidelines for the treatment of hypothyroidism: prepared by the American Thyroid Association Task Force on Thyroid Hormone Replacement. Thyroid. 2014; 24:1670-751.

2.      Sahajpal R, Ahmed RA, Hughes CA, Foisy MM. Probable interaction between levothyroxine and ritonavir: Case report and literature review. Am J Health Syst Pharm. 2017 Apr 15;74(8):587-592.

3.      Foisy MM, Yakiwchuk EM, Hughes CA. Induction effects of ritonavir: implications for drug interactions. Ann Pharmacother. 2008; 42:1048-59

4.      Tseng A, Fletcher D. Interaction between ritonavir and levothyroxine. AIDS. 1998; 12:2235-6.

5.      Touzot M, Beller CL, Touzot F et al. Dramatic interaction between levothyroxine and lopinavir/ritonavir in a HIV-infected patient. AIDS. 2006; 20:1210-2.

6.      Ruellan A, Veyrac G, Lefbvre M et al. Interaction between levothyroxine and ritonavir-boosted amprenavir in human immunodeficiency virus infected patients. Reactions Weekly. 2011; 1378:18.

La terapia a base di inibitori di pompa per periodi di tempo prolungati aumenta il rischio di cancro esofageo: risultati di uno studio svedese

Sono stati recentemente pubblicati sulla rivista scientifica internazionale Cancer Epidemiologyi risultati di un ampio studio osservazionale svedese, secondo i quali la terapia di mantenimento a lungo termine con inibitori di pompa protonica (IPP) è risultata associata ad un aumento del rischio di carcinoma esofageo, in assenza di altri fattori di rischio e in pazienti che assumono IPP per indicazioni non associate in precedenza al rischio di tale neoplasia [1].

Gli IPP rappresentano da anni il trattamento di elezione delle ulcere gastriche e duodenali, della malattia da reflusso gastroesofageo e della sindrome di Zollinger-Ellison. Sebbene caratterizzati da un buon profilo di tollerabilità per quanto concerne il trattamento farmacologico di breve durata, la prolungata somministrazione di tali farmaci può risultare associata, seppur raramente, alla comparsa di reazioni avverse, che includono infezioni da Clostridium difficile, fratture e ipomagnesemia [2,3]. La possibile promozione carcinogenica gastrica indotta da IPP è, invece, ancora oggetto di dibattito [4,5]. Alcuni autori ipotizzano che la promozione carcinogenica gastrica possa derivare dall’alterazione del microbioma gastro-intestinale. In particolare, il blocco della secrezione acida gastrica potrebbe determinare una riduzione della capacità di difesa nei confronti di batteri patogeni, con conseguente aumento della colonizzazione batterica. Il potenziale aumento di batteri in grado di produrre nitrosammine rappresenterebbe un ben noto fattore di rischio per lo sviluppo di cancro gastrico ed esofageo. Altri autori suggeriscono, invece, un ruolo chiave dei sali biliari nello sviluppo di metaplasia della mucosa esofagea [6-10].

Uno studio svedese, condotto da Brusselaers e coll., ha analizzato i dati provenienti da registri nazionali, identificando oltre 700.000 pazienti (59% di sesso femminile e il 34% con età<70 anni), senza una storia pregressa di neoplasia, trattati con una terapia di mantenimento (almeno 6 mesi) a base di IPP tra il 2005 e il 2014. Dal confronto di tale popolazione con adulti della popolazione generale è emerso che il rapporto di incidenza standardizzato complessivo per l’adenocarcinoma esofageo e per il carcinoma a cellule squamose esofageo negli utilizzatori di IPP era, rispettivamente, pari a 3,93 e 2,77. Un'analisi comparativa condotta su circa 20.000 pazienti che assumevano solo antagonisti dei recettori H2 non ha rilevato alcun aumento del rischio di adenocarcinoma esofageo o carcinoma a cellule squamose dell’esofago.

Alla luce dei risultati ottenuti, i ricercatori hanno richiamato all’attenzione della comunità scientifica l’importanza di un uso appropriato degli IPP come terapia di mantenimento nonché dell’attento monitoraggio dei pazienti trattati con tali farmaci.

Sono chiaramente necessari ulteriori studi che possano confermare i risultati dello studio di Brusselaers e coll.

Bibliografia

1. Brusselaers N, Engstrand L, Lagergren J. Maintenance proton pump inhibition therapy and risk of oesophageal cancer. Cancer Epidemiol. 2018 Apr;53:172-177.

2. Chen J, Yuan YC, Leontiadis GI, Howden CW. Recent safety concerns with proton pump inhibitors. J Clin Gastroenterol. 2012 Feb;46(2):93-114.

3. Proton pump inhibitors in long-term use: reports of hypomagnesaemia. https://www.gov.uk/drug-safety-update/proton-pump-inhibitors-in-long-term-use-reports-of-hypomagnesaemia

4. Sanduleanu S, Jonkers D, de Bruine A, Hameeteman W, Stockbrugger RW. Changes in gastric mucosa and luminal environment during acid-suppressive therapy: a review in depth. Digest Liver Dis 2001;33:707-19.

5. Lamberts L, Brunner G, Solcia E. Effects of Very Long (up to 10 Years) Proton Pump Blockade on Human Gastric Mucosa. Digestion 2001;64:205-13.

6. Neto AG, Whitaker A, Pei Z. Microbiome and potential targets for chemopreventionof esophageal adenocarcinoma, Semin. Oncol. 43 (1) (2016) 86–96.

7. Seto CT, Jeraldo P, Orenstein R, Chia N, DiBaise JK. Prolonged use of a proton pump inhibitor reduces microbial diversity: implications for Clostridium difficile susceptibility, Microbiome 2 (2014) 42.

8. Canani RB, Terrin G. Gastric acidity inhibitors and the risk of intestinal infections, Curr. Opin. Gastroenterol. 26 (1) (2010) 31–35.

9. Ahn JS, Eom CS, Jeon CY, Park SM. Acid suppressive drugs and gastric cancer: a meta-analysis of observational studies, World J. Gastroenterol. 19 (16) (2013) 2560–2568.

10. Engstrand L, Lindberg M. Helicobacter pylori and the gastric microbiota, Best Pract. Res. Clin. Gastroenterol. 27 (1) (2013) 39–45.

Azitromicina: importante nota informativa concordata con le autorità regolatorie nazionale ed europea.

In data 02/05/2018 è stata pubblicata sul portale web dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) un’importante nota informativa di sicurezza relativa all’uso a lungo termine di azitromicina per la prevenzione della sindrome da bronchiolite obliterante in pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali ematopoietiche (HSCT). In particolare, tale nota informativa fa riferimento ad un aumentato tasso di recidive delle neoplasie ematopoietiche e di mortalità associato all’uso di azitromicina per tale indicazione riscontrato nell’ambito di uno studio clinico francese che, pertanto, è stato interrotto prematuramente. Obiettivo di tale studio, denominato ALLOZITHRO,  era quello di valutare se la somministrazione precoce, e quindi profilattica, e a lungo termine di azitromicina in pazienti sottoposti a trapianto HSCT ne migliorasse la sopravvivenza senza peggioramento della funzionalità respiratoria a 2 anni dal trapianto. Per tale studio randomizzato, placebo-controllato, condotto a gruppi paralleli in 19 policlinici universitari francesi specializzati in trapianti, erano stati arruolati complessivamente 480 pazienti di età >16 anni che, a causa di una neoplasia ematologica, erano stati sottoposti a HSCT. Del campione complessivo di pazienti, 243 sono stati randomizzati a ricevere 250 mg di azitromicina 3 volte/settimana per 2 anni, mentre i restanti 237 pazienti sono stati randomizzati a ricevere placebo per due anni. Tuttavia, i trattamenti dello studio in oggetto sono stati interrotti dopo tredici mesi dal completamento del reclutamento, in quanto, dopo la revisione dei dati in cieco, il comitato indipendente di monitoraggio della sicurezza e dei dati (DSMB) ha rilevato un inatteso squilibrio nel numero di recidive ematologiche tra i due gruppi (77 vs. 48 pazienti; HR aggiustato (IC 95%) = 1,6 (1,12-2,4) per azitromicina e placebo). Sebbene non sia chiaro in che modo la somministrazione di azitromicina possa aver contribuito all’aumento del tasso osservato nel gruppo trattato con azitromicina, gli stessi autori, seppur sulla base di dati parziali, hanno concluso che la somministrazione profilattica precoce di azitromicina risultava associata ad una più bassa sopravvivenza senza peggioramento della funzionalità respiratoria rispetto al placebo e che, pertanto, l’esposizione a lungo termine ad azitromicina in seguito a HSCT potrebbe comportare rischi maggiori rispetto ai benefici previsti. Tali conclusioni hanno determinato l’interruzione anticipata dello studio.           

Si fa presente, tuttavia, che attualmente l’azitromicina non risulta autorizzata per la profilassi della sindrome da bronchiolite obliterante (BOS) in pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali emopoietiche. Ad ogni modo l’AIFA conclude invitando alla segnalazione di qualsiasi reazione avversa sospetta tramite il sistema nazionale di segnalazione dell’Agenzia Italiana del Farmaco, cogliendo l’occasione per ricordare a tutti gli operatori sanitari l’importanza della segnalazione delle sospette reazioni avverse da farmaci, quale strumento indispensabile per confermare un rapporto beneficio/rischio favorevole nelle reali condizioni di impiego

Fonte: AIFA

ASSOCIAZIONE FARMACI-ALLERGIE IN ETÀ PEDIATRICA

I risultati di un ampio studio retrospettivo, pubblicato sulla rivista scientifica JAMA, hanno dimostrato che l'uso di antibiotici e gastroprottettori nei neonati può indurre alterazioni del microbioma intestinale che predispongono allo sviluppo di allergie.

Nei Paesi occidentali l’incidenza delle malattie infiammatorie croniche, compresa l'asma allergica, è aumentato drammaticamente negli ultimi decenni. Comprovate evidenze indicano che, fin dalle prime fasi dell’infanzia, il microbioma, denominato anche flora batterica intestinale, riveste un ruolo di peculiare importanza nello sviluppo dell'immunità adattativa e innata, nonché nei processi digestivi, finanche nella produzione di vitamine (comprese le vitamine B12, tiamina, riboflavina e la vitamina K necessaria per la coagulazione del sangue) [1,2].

La colonizzazione dell’intestino da parte del microbioma inizia alla nascita e aumenta progressivamente fino ai primi 3 anni di vita, età in cui la composizione e la distribuzione della flora batterica è quella osservata nell’adulto, sebbene alcuni studi abbiano ipotizzato che la presenza di batteri del microbioma intestinale sia rilevabile anche durante la gestazione [2].

In condizioni fisiologiche (eubiosi) il microbioma intestinale regola direttamente o indirettamente i componenti del sistema immunitario del neonato agendo come barriera contro i patogeni. Nello specifico, il microbioma intestinale regola l'equilibrio tra cellule T helper di tipo 17 e cellule T regolatorie (Treg) nella lamina propria dell'intestino tenue e induce sia la maturazione delle cellule B che la relativa differenziazione degli isotipi immunoglobulinici. Il cross-talk tra il microbioma intestinale e il sistema immunitario, infatti, stimola lo sviluppo dell'immunità nella mucosa intestinale, prevenendo l'intrusione di agenti patogeni esogeni. L’intestino è costantemente stimolato sia da parte di agenti microbici che dagli antigeni assunti con la dieta e, in condizioni di eubiosi, tale stimolazione favorisce una risposta infiammatoria controllata. Tuttavia, alterazioni nella composizione del microbioma intestinale, soprattutto durante la fase neonatale, possono innescare la differenziazione preferenziale delle IgE piuttosto che delle IgA con attivazione di basofili e mastociti e conseguente alterazione della flora batterica intestinale. Il processo di alterazione del microbioma è definito ‘disbiosi’ e può predisporre all’insorgenza e alla progressione di molte patologie comprese obesità, gli stati allergici, le malattie infiammatorie intestinali e le alterazioni metaboliche. Peraltro, recenti evidenze hanno evidenziato che i farmaci gastroprotettori e gli antibiotici possono essere una causa diretta di disbiosi intestinale [1-3].

In questo contesto, diversi studi hanno dimostrato l’importanza del microbioma intestinale nello sviluppo del sistema immunitario e l’esistenza di una correlazione tra la comparsa di allergie e le alterazioni della composizione della flora batterica intestinale.

Björkstén e collaboratori hanno analizzato nell’ambito di uno studio osservazionale il microbioma intestinale di 44 pazienti pediatrici, dalla nascita fino all’età di 2 anni, dimostrando che nei soggetti che avevano sviluppato allergie la composizione e la quantità della flora batterica intestinale era notevolmente ridotta rispetto rispetto agli individui sani [4]. Analogamente, Kalliomäki e collaboratori, hanno dimostrato che il microbioma intestinale di neonati che sviluppano atopia è inferiore rispetto ai soggetti sani [5].

Alla luce di tali evidenze, Mitre e collaboratori hanno implementato uno studio retrospettivo utilizzando i dati di 792.130 bambini nati tra il 2001 e il 2013 al fine di valutare l’impatto sull’insorgenza di patologie allergiche in pazienti pediatrici che avevano assunto farmaci gastroprotettori e/o antibiotici nel primo semestre di vita [1]. In particolare, dei 792130 bambini arruolati nello studio, 60.209 (7,6%) hanno ricevuto inibitori del recettore per l’istamina di tipo 2, 13.687 (1,7%) un inibitore di pompa protonica e i restanti 131.708 (16,6%) sono avevano ricevuto un antibiotico durante i primi 6 mesi di vita.

I risultati dello studio in oggetto sono in linea con quanto riportato in letteratura scientifica. Infatti, nei bambini che avevano assunto, rispettivamente, un inibitore del recettore per l’istamina di tipo 2 o un inibitore di pompa protonica è emerso che le ospedalizzazioni sono avvenute per allergie alimentari (2,18; IC 95%, 2,04-2,33 e 2,59; 95% CI, 2,25-3,00), allergia ai farmaci (1,70; IC 95%, 1,60-1,80 e 1,84; IC 95%, 1,56-2,17) anafilassi (1,51; IC 95%, 1,38-1,66 e 1,45; IC 95%, 1,22-1,73) rinite allergica (1,50; IC 95%, 1,46-1,54 e 1,44; IC 95%, 1,36-1,52) e asma (1,25; IC 95%, 1,21-1,29 e 1,41; IC 95%, 1,31-1,52). In bambini che avevano assunto antibiotici nei primi 6 mesi di vita le ospedalizzazioni osservate sono state 2,09 (IC al 95%, 2,05-2,13) per l'asma, 1,75 (IC 95%, 1,72-1,78) per la rinite allergica, 1,51 (IC 95%, 1,38-1,66) per anafilassi e 1,42 (95% CI, 1,34-1,50) per congiuntivite allergica.

Tale studio, pertanto, fornisce ulteriori elementi che dimostrano una correlazione tra inibitori del recettore per l’istamina di tipo 2, inibitori di pompa protonica e antibiotici somministrati durante l'infanzia e il successivo sviluppo di malattie allergiche, evidenziando che suddetti medicinali dovrebbero essere usati durante l'infanzia solo in situazioni di evidente bisogno clinico e soprattutto in maniera appropriata.

Bibliografia

1. Mitre E, Susi A, Kropp LE, Schwartz DJ, Gorman GH, Nylund CM. Association Between Use of Acid-Suppressive Medications and Antibiotics During Infancy and Allergic Diseases in Early Childhood. JAMA Pediatr. 2018 2:e180315.

2. Ipci K, Altıntoprak N, Muluk NB, Senturk M, Cingi C. The possible mechanisms of the human microbiome in allergic diseases. Eur Arch Otorhinolaryngol. 2017; 274(2):617-626.

3. Bridgman SL, Kozyrskyj AL, Scott JA, Becker AB, Azad MB. Gut microbiota andallergic disease in children. Ann Allergy Asthma Immunol. 2016;116(2):99-105.

4. Björkstén B, Sepp E, Julge K, et al. Allergy development and the intestinal microflora during the first year of life. J Allergy Clin Immunol 2001;108:516-20.

5. Kalliomaki M, Kirjavainen P, Eerola E, et al. Distinct patterns of neonatal gut microflora in infants in whom atopy was and was not developing. J Allergy Clin Immunol 2001;107:129-34

   

  

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