Farmacovigilanza

Vitamina D: un gruppo di esperti dell’Associazione Medici Endocrinologi (AME) presenta un un documento di consenso circa il trattamento della carenza da tale vitamina.

In data 18 Luglio 2018 è stata resa nota la pubblicazione, da parte di un gruppo di esperti dell’AME, di un documento di consenso in cui si fa chiarezza circa la carenza di vitamina D.

Il documento, pubblicato sulla rivista Nutrients, in primis sottolinea che l’attuale limite di 30 ng/dl che definisce l’ipovitaminosi non è adeguato in quanto troppo elevato. Pertanto, andrebbe ridefinito il limite a 20 ng/dl.

La vitamina D non è una vera e propria vitamina ma un ormone steroideo. Le forme inattive, ergocalciferolo (vitamina D2) e il colecalciferolo (vitamina D3) sono convertite nella forma attiva (vitamian D) attraverso il metabolismo epatico e renale. La principale funzione fisiologica della vitamina D è la regolazione dell’assorbimento di calcio dal lume interstinale in modo da mantenere sufficienti concentrazioni di calcio sierico e supportare la salute delle ossa. Inoltre, la vitamina D è coinvolta nel processo di risposta immunitaria, nella crescita cellulare e nel processo infiammatorio così come nel processo genico di proliferazione cellulare, differenziazione e morte cellulare. Quindi, la funzione svolta dalla vitamina D sia a livello cellulare che a livello genomico, spiega il potenziale ruolo della vitamina D in malattie quali la sclerosi multipla, la depressione, la tubercolosi, malattie cardiovascolari, asma e cancro [1].

Gli autori sottolineano, però, che non vi sono, ad oggi, sufficienti prove scientifiche che permettono di associare la carenza di vitamina D ad altre malattie ed è, quindi, importante controvertire l’attuale tendenza che vede i prodotti a base di vitamina D come “elisir di lunga vita” in quanto si rischia di andare incontro ad un’iper-prescrizione senza che vi sia alcun reale beneficio.

Gli autori ricordano, invece, i benefici di una alimentazione sana e una giusta esposizione ai raggi solari come fonte di Vitamina D tranne nei casi in cui vi è una mancata efficacia dei meccanismi biosintetici cutanei che rendono difficoltosa la produzione e l’assorbimento di quest’ultima come ad esempio nei pazienti anziani. Solo in questi casi è opportuna la prescrizione di supplementi di vitamina D e, in particolare, di molecole poco liposolubili come il calcefidiolo che non necessita di essere attivato a livello epatico e, vista la sua bassa liposolubilità, non viene accumulato nel tessuto adiposo. Anche in questi casi, però, la prescrizione di tali molecole deve essere appropriata in quanto può portare a aumento dei livelli di calcio sierico (ipercalcemia) e/o nelle urine.

Bibliografia

$11.      Haines ST, Park SK. Vitamin D supplementation: what's known, what to do, and what's needed. Pharmacotherapy. 2012 Apr;32(4):354-82. doi: 10.1002/phar.1037. Review.

Valsartan: l’Agenzia Italiana del Farmaco dispone il ritiro lotti a causa della presenza di un’impurezza.

In data 6 Luglio 2018, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha comunicato l’immediato ritiro di alcuni lotti di valsartan e valsartan idroclorotiazide da farmacie e catene distributive come misura cautelativa. In particolare, AIFA ha pubblicato l’elenco dei lotti oggetto del ritiro al fine di permettere ai cittadini di verificare quali lotti sono coinvolti.

Valsartan appartiene alla famiglia degli antagonisti del recettore di tipo 1 dell'angiotensina II (AT1). L’antagonismo determina una riduzione della pressione arteriosa (BP), oltre ad una riduzione della contrattilità della muscolatura liscia vascolare e del riflesso simpatico, migliorando in tal modo la funzionalità renale e determinando una riduzione della progressione delle lesioni aterosclerotiche. [1].

Il valsartan è quindi indicato per il trattamento dell’ipertensione arteriosa, dell’insufficienza cardiaca e nei pazienti che hanno subito un infarto cardiaco.

La decisione di AIFA deriva dalla presenza, nel principio attivo prodotto dall’officina della Zhejiang Huahai Pharmaceuticals in Cina, di un’impurezza: la N-nitrosodimetilammina (NDMA).

La NDMA è un sottoprodotto di disinfezione riscontrato, specialmente, nel caso in cui si ricorra a tecniche di cloramminazione. La sua presenza può essere dovuta anche ad inquinamento industriale o al fumo da sigaretta, nonché all’utilizzo di polimeri con effetto coagulante/flocculante nei confronti delle acque destinate al consumo umano. NDMA è classificata dalla United States Environmental Protection Agency (US EPA) come probabile cancerogeno per l’uomo, il che rende ragione del crescente interesse sviluppatosi in questi ultimi anni nei confronti di tale sostanza, classificata come sostanza potenzialmente cancerogena nell’uomo. Gli effetti cancerogeni di NDMA sui ratti sono stati a lungo studiati. L’inalazione di NDMA provoca su tali animali forme tumorali a livello di fegato, polmoni e reni. Analoghi effetti sono stati riscontrati nel caso di somministrazione per iniezione intramuscolare o interperitoneale, ma anche in seguito a somministrazione per via orale.

US EPA ha classificato NDMA tra i probabili cancerogeni per l’uomo, con un livello di rischio di 10-6 per esposizione ad una concentrazione di 0,7 ng/L nel corso della vita, mentre secondo il California Office of Environmental Health Hazard Assessment (COEHHA) lo stesso livello di rischio si riscontra per un’esposizione di 2 ng/L.

Tale impurezza sarebbe presente solo nei lotti oggetti del ritiro.

Pertanto, i pazienti che sono in cura con farmaci a base di valsartan presenti nella lista nei medicinali coinvolti nel ritiro a scopo precauzionale, devono rivolgersi al proprio medico prima di interrompere il trattamento ed eventualmente concordare un trattamento alternativo.

Bibliografia

$11.      Nadeem Siddiqui, Asif Husain, Lakshita Chaudhry et al. Pharmacological and Pharmaceutical Profile of Valsartan: A Review. Journal of Applied Pharmaceutical Science 01 (04); 2011: 12-19

Due studi osservazionali confermano il buon profilo di sicurezza oncologica e cardiovascolare del tocilizumab in pazienti affetti da artrite reumatoide (AR).

Nel corso dell’ultimo congresso EULAR, i risultati di due studi osservazionali condotti negli Stati Uniti, hanno confermato il profilo di sicurezza del tocilizumab in pazienti affetti da AR.

In particolare, gli studi hanno evidenziato che non vi è un aumento del rischio di insorgenza di neoplasie (rispetto agli ai farmaci anti-TNF) o un maggior rischio cardiovascolare (nonostante l’aumento dei livelli di LDL indotti dal farmaco).

L'artrite reumatoide (RA) è una malattia infiammatoria sistemica ad eziologia sconosciuta. Ricerche condotte su modelli animali hanno dimostrato che le citochine proinfiammatorie, come il fattore di necrosi tumorale-a (TNF-α) e l'interleuchina (IL)-6 o IL-1, giocano un ruolo chiave nella sua patogenesi [1]. L’AR è caratterizzata da artrite simmetrica e infiammazione sinoviale che porta a progressiva erosione articolare e, infine, deformità.

La prevalenza mondiale varia da 0,5% a 1%, mentre l'incidenza è stimata in 30 casi ogni 100.000 persone all'anno e varia in base al sesso, alla popolazione e all'etnia [2].

Tre sono le classi di farmaci comunemente utilizzate per il trattamentodell’AR: agenti anti-infiammatori non steroidei (FANS), corticosteroidi e Disease Modifying anti-rheumatic drugs biologici (DMARDb), farmaci sviluppati appositamente per avere come bersaglio molecole specifiche, come ad esempio i recettori di superficie cellulare sul sito attivo di un enzima. I FANS e i corticosteroidi sono caratterizzati da un breve inizio d'azione mentre il DMARDb può richiedere diverse settimane o mesi per dimostrare la sua efficacia clinica. Il metotressato è considerato l’agente di prima linea per molti pazienti affetti da AR: ha una rapida insorgenza d’azione a dosi terapeutiche (6-8 settimane), buona efficacia clinica, profilo di tossicità favorevole, facilità di somministrazione e costi relativamente bassi.

Recentemente, alcuni studi avevano evidenziato un aumento di incidenza di comparsa di neoplasie nei pazienti affetti da artrite reumatoide probabilmente a causa di alterazione a carico del sistema immunitario e/o infiammazione cronica. Inoltre, l’introduzione dei DMARDb ha posto alcuni dubbi sulla possibilità che questi ultimi potessero aumentare il rischio di comparsa di neoplasia a causa del loro meccanismo d’azione, che porta ad una inibizione del sistema immunitario.

Al fine di fare chiarezza sulla presunta relazione tra assunzione di DMARDb e aumento di rischio di neoplasie, è stato condotto uno studio osservazionale [3] il cui obiettivo era esaminare il tasso di incidenza di comparsa di neoplasia nei pazienti affetti da AR in trattamento con Tocilizumab o con anti-TNF.

Tocilimumab è un anticorpo monoclonale IgG1 umanizzato che si lega con alta affinità sia alle forme solubili sia a quelle legate alla membrana del recettore IL-6, che impedisce a IL-6 di legarsi al suo recettore [4].

Lo studio ha incluso pazienti adulti affetti da AR che avevano appena iniziato il trattamento con TCZ o con un anti-TNF dopo fallimento terapeutico con abatacept, tofacitinib o un altro anti-TNF. Lo studio ha utilizzato, come fonte dati, tre database di assistenza sanitaria (Medicare, IMS ParMetrics Plus e Truven MarketScan) e sono stati utilizzati i dati dal 2010 al 2015 per identificare 10.393 utilizzatori di TCZ con un propensity score allineato (rapporto variabile 1:3) e 26.357 utilizzatori di anti-TNF. I pazienti sono stati seguiti fino all'interruzione del trattamento, fino al verificarsi dell'evento di studio, al disarruolamento, alla morte o alla fine del periodo di studio.

L'outcome primario era la valutazione di comparsa di incidenza di malignità (escluso NMSC) identificata sulla base di due codici diagnostici entro due mesi. I ricercatori hanno registrato 118 casi di neoplasie occorse nel gruppo di pazienti trattati con TCZ e 322 casi in quelli trattati con farmaci anti-TNF. Nello specifico, il tasso di incidenza di malattia neoplastica per 100 persone-anno è risultato essere compreso da 0,81 (IMS) a 2,18 (Medicare) per il gruppo TCZ e da 0,98 (MarketScan) a 2,16 (Medicare) per il gruppo trattato con farmaci anti-TNF.

L'analisi statistica non ha rivelato l'esistenza di differenze statisticamente significative tra i 2 gruppi per ciascuno dei tre database consultati.

Per quanto concerne il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari a seguito dell’utilizzo di TCZ, l’assenza nella real world evidence di dati a supporto dell’ipotesi di un aumento del rischio cardiovascolare (CV), ha portato alla messa a punto di un ulteriore studio osservazionale retrospettivo [5] il cui obiettivo era la valutazione del rischio cardiovascolare a seguito del trattamento con TCZ rispetto al trattamento con i farmaci anti-TNF nei pazienti affetti da AR.

Utilizzando i dati di pazienti che avevano ricevuto un trattamento con farmaci biologici tra il 2006-2015 delle banche dati Medicare e MarketScan, gli autori hanno condotto uno studio retrospettivo di coorte tra i pazienti affetti da AR. Sono stati inclusi pazienti che trattamento con DMARDb dopo il 1° gennaio 2010 con almeno 365 giorni di copertura medica e farmaceutica prima dell'inizio dello studio. L'outcome primario era l’insorganza di infarto miocardico (MI), ictus e evento CV fatale valutati utilizzando un metodo convalidato. Le analisi dei sottogruppi sono state condotte per i pazienti affetti da AR già trattati con DMARDb prima dell'inizio dello studio e mediante stratificazione dei pazienti rispetto ai principali fattori di rischio CV per identificare sia i pazienti con rischio CV superiore che quelli a basso rischio. A seguito dell’applicazione dei criteri di inclusione, sono stati arruolati nello studio 88,463 pazienti con AR e 117.493 trattamenti con farmaco biologico. La maggior parte dei pazienti era di sesso femminile, con un'età media pari a 65 anni, per i pazienti recensiti nel database del programma Medicare, e pari a 52 per quelli recensiti nel database assicurativo privato MarketScan.

Il tasso di incidenza (IR) per 1000 anni-paziente dell’end-point composito CV tra i pazienti afferenti al programma Medicare variava da 13,3 (IC 95%: da 11,1 a 16,0) per etanercept a 19,4 (IC 95%: da 16,3 a 20,9) per gli utilizzatori di rituximab. Rispetto al TCZ, gli Hazard Ratio (HR) erano rispettivamente:

$1·         1,03 (0,8-1,29) per abatacept

$1·         1,25 (0,96-1,61) per rituximab

$1·         1,13 (0,84-1,52) per etanercept

$1·         1,33 (0,91-1,80) per adalimumab

$1·         1,57 ( 1.21-2.05) per infliximab

Non sono state evidenziate differenze significative nel rischio CV tra tocilizumab e qualsiasi altro farmaci biologico; pertanto, non vi sono dati a supporto di un maggior rischio cardiovascolare a seguito dell’utilizzo di TCZ rispetto agli altri DMARDb.

È, quindi, possibile concludere che l’impiego di tocilizumab per il trattamento dei pazienti affetti da AR non è correlato ad un aumento del rischio CV o ad un aumento del rischio di insorganza di neoplasie. Si conferma, dunque, il buon profilo di efficacia e sicurezza di quest’ultimo.

Bibliografia

$11.      Lubberts E, van den Berg WB. Cytokines in the pathogenesis of rheumatoid arthritis and collagen-induced arthritis. Adv Exp Med Biol. 2003;520:194-202.

$12.      Assayag D, Lee JS, King TE Jr. Rheumatoid arthritis associated interstitial lung disease: a review. Medicina (B Aires). 2014;74(2):158-65.

$13.      Kim SC, Pawar A, Desai RJ, et al. No difference in the risk of malignancy in tocilizumab versus TNF inhibitor initiators in patients with rheumatoid arthritis: A multi-database cohort study. EULAR 2018; Amsterdam: Abstract OP0002.

$14.      Shetty A, Hanson R, Korsten P, Shawagfeh M, Arami S, Volkov S, Vila O, Swedler W, Shunaigat AN, Smadi S, Sawaqed R, Perkins D, Shahrara S, Sweiss NJ. Tocilizumab in the treatment of rheumatoid arthritis and beyond. Drug Des Devel Ther. 2014 Mar 28;8:349-64.

$15.      Xie F, et al "Tocilizumab and the risk for cardiovascular disease events among rheumatoid arthritis patients: a direct comparison in real world setting" EULAR 2018; OP0193.

Rapporto AIFA 2017: l’Agenzia conferma il profilo di sicurezza dei vaccini.

In data 9 Luglio 2018, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha pubblicato il Rapporto Vaccini 2017 nel quale vengono descritte tutte le reazioni averse che sono state segnalate nella Rete Nazionale di Farmacovigilanza (RNF) nell’ultimo anno (comprese quelle insorte in anni precedenti).

Come è possibile evincere nel rapporto, nel 2017 vi è stato un aumento del tasso di segnalazione che è passato da 7,9 segnalazioni per 100000 abitanti (2016) a 11,1/100000 abitanti (2017), dato positivo che sottolinea l’efficienza dei sistemi di farmacovigilanza e la maggiore sensibilizzazione di operatori sanitari e cittadini. La maggior parte delle segnalazioni di reazione avversa provengono dal Nord Italia con picchi specialmente in Trentino Alto-Adige e in Veneto (regione con il maggior numero di segnalazioni in assoluto – tasso di segnalazione 39,8%). Nel corso del 2017, a seguito dell’entrata in vigore della legge 119/2017, che stabilisce l’obligatorietà dei vaccini al fine di assicurare una copertura vaccinale superiore al 95%, vi è stato un progressivo aumento del tasso delle segnalazioni che riguardavano per lo più reazioni avverse antecedenti al 2015. Gli operatori sanitari non medici sono stati i principali segnalatori (57%), ma vi è stato un incremento delle segnalazioni da parte dei cittadini che sono passate dal 2,3% nel 2016 al 13,2% nel 2017.

Per quanto concerne la valutazione delle segnalazioni di reazione avversa, l’80% di queste ultime sono state classificate come “non gravi” e 10 casi hanno avuto esito fatale. Per queste ultime, in 8 casi è stata esclusa la relazione dell’evento fatale segnalato con la vaccinazione (“non correlabile”), sulle rimanenti 2 il nesso di causalità risulta “indeterminato”.

Indipendentemente dal nesso di causalità, le reazioni avverse più frequentemente descritte (>1.000 casi) nelle schede di segnalazione, sia inserite che insorte, per tutti i vaccini sono state: febbre (temperatura corporea ≥38°), reazioni locali (sito di inoculazione), reazioni cutanee generalizzate (comprese le reazioni a tipo ash cutaneo e esantema) e iperpiressia (temperatura corporea ≥39,5°). Per la maggior parte dei vaccini, queste reazioni avverse sono descritte nel riassunto delle caratteristiche del prodotto con frequenza compresa fra molto comune (≥1/10) e comune (≥1/100 –<1/10) [1].

Meno comuni (> 500 e <1000 casi) sono risultate le reazioni avverse agitazione e irritabilità condizioni allergiche, vomito, dolore, pianto e cefaleain genere riportate nel riassunto delle caratteristiche del prodotto con frequenza compresa fra comune (≥1/100, <1/10) e non comune (≥1/1.000, <1/100).

Le segnalazioni di sospette reazioni avverse considerate gravi sono state rare e nella maggior parte dei casi sono risultate a carattere transitorio, con risoluzione completa dell’evento segnalato e non correlabili alla vaccinazione. Va sottolineato che un evento avverso viene definito grave quando ha esito fatale, ha provocato o prolungato l’ospedalizzazione, ha provocato invalidità grave o permanente, ha messo in pericolo la vita del paziente, ha causato anomalie congenite e/o difetti alla nascita oppure riporta un evento clinicamente rilevante a prescindere dalle conseguenze (evento presente in IME list - Important Medically Event list) e in caso di mancanza di efficacia del vaccino.

Come sottolineato dal Direttore Generale dell’AIFA, Mario Melazzini, “non sono emersi particolari problemi di sicurezza che possano modificare il rapporto rischio/beneficio dei vaccini attualmente utilizzati”. Pertanto, si conferma l’importanza di assicurare per i vaccini il mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza epidemiologica in termini di profilassi e di copertura vaccinale (che deve essere superiore al 95%) al fine di evitare di incorrere in malattie gravi, specialmente nei bambini.

Bibliografia

$11.      Rapporto Vaccini 2017 – la sorveglianza Post-marketing in Italia. http://www.aifa.gov.it/sites/default/files/Rapporto_Vaccini_2017_0.pdf

La Commissione Europea approva la terapia a base di bictegravir, emtricibina e tenofovir alafenamide per il trattamento dell’HIV in regime di singola compressa.

In data 25 Giugno 2018 la Commissione Europea ha approvato la terapia di combinazione di bictegravir, emtricibina e tenofovir alafenamide per il trattamento dei pazienti affetti da HIV-1.

Il farmaco combina l’effetto del bictegravir (somministrato una volta al giorno senza bisogno di booster), con l’attività di tenofovir/emtricitabina, che costituiscono la terapia di backbone per il trattamento dell’HIV.

Bictegravir appartiene alla classe degli “Integrase strand transfer inhibitors” (INSTIs), i quali agiscono inibendo la replicazione del virus dell’HIV-1 bloccando l’integrazione dell’RNA virale nel genoma della cellula ospite (1-3).

Emtricibina e tenofovir alafenamide (Truvada®) sono pro-farmaci che, una volta fosforilati in vivo a emtricitabina trifosfato e tenofovir difosfato inibiscono competitivamente la trascrittasi inversa dell’HIV-1, provocando l’interruzione della catena del DNA [4].

La decisione della Commissione Europea fa seguito ai risultati di quattro studi clinici di fase III (1489,1490, 1844 e 1878) (5-8) ancora in corso. In particolare, gli studi 1489 e 1490 hanno arruolato in totale 1286 pazienti näive al trattamento con farmaci antiretrovirali e l’endpoint primario era la proporzione di pazienti che ottengono una riduzione dell'RNA del virus (<50 copie/ml) dell’HIV a 48 settimane dall’inizio del trattamento.

Gli studi 1844 e 1878 hanno, invece, arruolato in totale 1145 pazienti affetti da HIV-1 con soppressione virologica e l’end-point primario era la proporzione di partecipanti con insufficiente risposta virologica (RNA dell'HIV-1 ≥ 50 copie/ml) a 48 settimane dall’inizio del trattamento.

I dati preliminari hanno confermato il buon profilo di efficacia e sicurezza della terapia di combinazione: nessun paziente ha mostrato resistenza virologica a 48 settimane e nessun paziente ha interrotto la terapia a causa della comparsa di uno o più eventi avversi. In particolare, non sono stati evidenziati casi di sindrome di Fanconi con insufficineza renale e disfuzione tubulare. Tali eventi avversi sono stati evidenziati durante la fase post-marketing, nei pazienti che assumono tenofovir, a causa di accumulo di farmaco a livello cellulare mediato dalle hOAT (trasportatori di anioni organici che si trovano sul lato basolaterale del tubulo) e diminuzione dell'efflusso nel lume tubulare (mediata dalle Multidrug-Resistance-Protein - MRP 2) (9).

In linea con il profilo di tollerabilità dei singoli principi attivi, i principali eventi avversi sono stati diarrea, nausea e cefalea.

Una delle principali caratteristiche della nuova terapia è l’elevata barriera genetica, che esprime l’entità delle mutazioni richieste affinchè il virus sviluppi resistenza. Tale caratteristica, insieme all’ottimo profilo di tollerabilità e sicurezza determina una semplificazione della terapia e un miglioramento della qualità della vita dei pazienti che possono beneficiare di tale trattamento.

Bibliografia

  1. Hazuda DJ. 2012. HIV integrase as a target for antiretroviral therapy. Curr Opin HIV AIDS 7:383–389.
  2. Powderly WG. 2010. Integrase inhibitors in the treatment of HIV-1 infection.J Antimicrob Chemother 65:2485–2488.
  3. Messiaen P, Wensing AM, Fun A, Nijhuis M, Brusselaers N, Vandekerckhove L. 2013. Clinical use of HIV integrase inhibitors: a systematic review and meta-analysis. PLoS One 8:e52562.
  4. RCP Truvada. https://farmaci.agenziafarmaco.gov.it/aifa/servlet/PdfDownloadServlet?pdfFileName=footer_002455_036716_RCP.pdf&retry=0&sys=m0b1l3
  5. Gallant J, Lazzarin A, Mills A, Orkin C, Podzamczer D, Tebas P, Girard PM, Brar I, Daar ES, Wohl D, Rockstroh J, Wei X, Custodio J, White K, Martin H, Cheng A, Quirk E. Bictegravir, emtricitabine, and tenofovir alafenamide versus dolutegravir, abacavir, and lamivudine for initial treatment of HIV-1 infection (GS-US-380-1489): a double-blind, multicentre, phase 3, randomised controlled non-inferiority trial. Lancet. 2017 Nov 4;390(10107):2063-2072.
  6. Phase 3, randomized, double-blind, active-controlled Study 1490 (ClinicalTrials.gov NCT02607956).
  7. Safety and Efficacy of Switching From Dolutegravir and ABC/3TC or ABC/DTG/3TC to B/F/TAF in HIV-1 Infected Adults Who Are Virologically Suppressed (ClinicalTrials.gov identifier NCT02603120).
  8. Safety and Efficacy of Switching From Regimens Consisting of Boosted Atazanavir or Darunavir Plus Either Emtricitabine/Tenofovir or Abacavir/Lamivudine to Bictegravir/Emtricitabine/Tenofovir Alafenamide in Virologically Suppressed HIV-1 Infected Adults. (ClinicalTrials.gov identifier NCT02603107).
  9. Malik A, Abraham P, Malik N. Acute renal failure and Fanconi syndrome in an AIDS patient on tenofovir treatment--case report and review of literature. J Infect. 2005 Aug;51(2):E61-5. Review.

   

  

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