Farmacovigilanza

FDA approva Lymparza® (olaparib) per il trattamento di mantenimento di pazienti adulti affetti da adenocarcinoma pancreatico metastatico con mutazioni di uno dei due geni BRCA.

In data 30/12/2019, la FDA ha approvato Lymparza® (olaparib) per il trattamento di mantenimento di pazienti adulti affetti da adenocarcinoma pancreatico metastatico con mutazioni di uno dei due geni BRCA.

Il cancro del pancreas resta uno dei più letali: solo 7 pazienti su 100 sopravvive a cinque anni dalla diagnosi. In Italia, nel 2017, sono stati circa 13.500 nuovi casi, circa il 4% di tutti i nuovi tumori. Nelle donne oltre i 75 anni il carcinoma pancreatico è compreso tra i cinque tumori più frequenti (5% dei casi). La malattia è generalmente più diffusa nella popolazione anziana di età compresa tra i 60 e gli 80 anni. Si tratta di una delle neoplasie a prognosi più severa.

Olaparib è un farmaco antineoplastico indicato in monoterapia per il trattamento di mantenimento di pazienti adulte con recidiva platino-sensibile di carcinoma ovarico epiteliale sieroso di alto grado, di carcinoma delle tube di Falloppio o carcinoma peritoneale primitivo, BRCA-mutato (mutazione nella linea germinale e/o mutazione somatica), che rispondono (completamente o parzialmente) alla chemioterapia a base di platino. I pazienti con una o entrambe le mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2 costituiscono il 5-6% del totale di coloro che sono colpiti da tumore del pancreas. Nello studio POLO questa stima è stata del 7,5% (154 su 3315) (1).

Olaparib è un potente inibitore dell’enzima umano poli (ADP-ribosio) polimerasi (PARP-1, PARP-2 e PARP-3) e ha dimostrato di inibire la crescita di linee cellulari tumorali selezionate in vitro e la crescita tumorale in vivo, quando è stato impiegato in monoterapia o in associazione con regimi chemioterapici noti.

L’approvazione fa seguito ai risultati dello studio POLO, un trial di fase III pubblicato sul New England Journal of Medicine e presentato all'American Society of Clinical Oncology Annual Meeting del 2019 (1).I risultati hanno mostrato un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente rilevante della sopravvivenza libera da progressione: olaparib ha quasi raddoppiato il tempo di sopravvivenza senza progressione di malattia dei pazienti con tumore pancreatico metastatico gBRCAm, fino a una mediana di 7,4 mesi contro i 3,8 mesi del placebo, con una riduzione del 47% del rischio di decesso o di progressione della malattia.

Gli eventi avversi più comuni di qualsiasi grado riportati nel gruppo “olaparib” sono stati affaticamento/astenia (60% vs 35% nel gruppo placebo), nausea (45% vs 23%), dolore addominale (29% vs 25%), diarrea (29% vs 15%) e anemia (27% vs 17%). Eventi avversi di grado ≥ 3 si sono verificati nel 40% vs 23% dei pazienti. Gli eventi avversi hanno portato all’interruzione del trattamento nel 35% vs 5% e alla riduzione della dose nel 16% vs 3%. Non sono stati osservati casi di sindrome mielodisplastica o leucemia mieloide acuta in entrambi i gruppi.

Saranno necessari ulteriori studi osservazionali al fine di approfondire meglio le conoscenze sul profilo rischio/beneficio di olaparib nella reale pratica clinica.


Bibliografia

1. Golan T, Hammel P, Reni M, Van Cutsem E,et al. Maintenance Olaparib for Germline BRCA-Mutated Metastatic Pancreatic Cancer. N Engl J Med. 2019 Jul 25;381(4):317-327.

Statine: rischio di comparsa di diabete e di infezioni cutanee

Le statine, comunemente assunte per ridurre i livelli di colesterolo, potrebbe aumentare il rischio di infezioni cutanee e dei tessuti molli (skin and soft tissue infections, SSTI).

È noto che le statine aumentano il rischio di diabete e che il diabete è un fattore di rischio di infezioni da stafilococco della cute e dei tessuti molli, ma un recente studio pubblicato nel numero di novembre del British Journal of Clinical Pharmacology[1] suggerisce che l’effetto delle statine sullo sviluppo di infezioni può essere anche indipendente dal diabete.

Humphrey H.T. Ko, della School of Pharmacy and Biomedical Sciences presso la Curtin University di Perth, Australia, e collaboratori hanno condotto una sequence symmetry analysis sulle richieste di prescrizione ottenute dall’Australian Department of Veterans’ Affairs dal 2001 al 2011 dei farmaci antidiabetici, antibiotici antistafilococcici e statine per valutare l’eventuale correlazione tra 1) statine e SSTI, 2) statine e diabete e 3) diabete e SSTI. L’uso di statine è risultato associato ad un aumento del rischio di diabete, ma anche ad un aumento del 40% circa del rischio di sviluppare infezioni da stafilococco, e tale rischio era simile nei pazienti con o senza diabete, soprattutto per atorvastatina e simvastatina. In particolare, il rischio è maggiore nei tre mesi successivi all’inizio del trattamento e diminuisce con il tempo, ma resta significativo ad un anno.

In conclusione, lo studio evidenzia un’associazione tra uso di statine e insorgenza di SSTI sia direttamente che indirettamente correlata al diabete e suggerisce ai clinici, consapevoli del rischio, di monitorare, quando appropriato, i livelli ematici di glucosio in pazienti utilizzatori di statine. Tuttavia, i pazienti che assumono statine dovrebbero continuare il loro trattamento come prescritto e discutere di eventuali problemi con i loro medici, perché i benefici delle statine superano ampiamente il rischio di diabete e/o infezioni della pelle.


Bibliografia

1. Ko HHT, Lareu RR, Dix BR, Hughes JD, Parsons RW. A sequence symmetry analysis of the interrelationships between statins, diabetes and skin infections. Br J Clin Pharmacol. 2019 Nov;85(11):2559-2567. doi: 10.1111/bcp.14077.

Confermato il beneficio clinico di belantamab mafodotin nel trattamento del mieloma multiplo: i risultati di uno studio di fase II

I pazienti affetti da mieloma multiplo, precedentemente trattato, hanno ottenuto tassi di risposta statisticamente significativi al trattamento in monoterapia con belantamab mafodotin [1].

Belantamab mafodotin (GSK2857916) è un anticorpo monoclonale sviluppato da GlaxoSmithKline per il trattamento dei pazienti affetti da mieloma multiplo; è un anticorpo IgG1 umanizzato anti-BCMA coniugato a monometil auristatina-F (agente di disgregazione dei microtubuli) tramite maleimidocaproile, un linker stabile e resistente alle proteasi [2]. L’antigene di maturazione delle cellule B (BCMA; noto anche come TNFRSF17) è un recettore di superficie espresso maggiormente sulle cellule di mieloma, ma è praticamente assente su cellule B, rendendolo un bersaglio terapeutico ideale [3, 4]. Belantamab mafodotin si lega al BCMA e uccide le cellule del mieloma multiplo attraverso un meccanismo multimodale, incluso il rilascio di MMAF alle cellule che esprimono BCMA, inducendo così apoptosi; inoltre, stimola il potenziamento della citotossicità cellulare anticorpo-dipendente e della fagocitosi cellulare anticorpo-dipendente inducendo morte cellulare immunogenica [5, 6].

I risultati dello studio DREAMM-1 (DRiving Excellence in Approaches to Multiple Myeloma) avevano già evidenziato un buon tasso di risposta al trattamento con belantamab mafodotin somministrato in monoterapia alla dose di 3-4 mg/kg ogni 3 settimane in pazienti affetti da mieloma multiplo recidivante o molto refrattario a precedenti trattamenti [6, 7]; la risposta complessiva è stata ottenuta nel 60% dei pazienti trattati (21/35) ed è risultata duratura nel tempo (durata mediana di risposta: 14 mesi). In un sottogruppo di 13 pazienti con mieloma precedentemente trattato con un anticorpo monoclonale anti-CD38 e refrattario sia agli inibitori del proteasoma che ai farmaci immunomodulatori, è stata ottenuta una risposta globale in 5 pazienti (38,5%) e la sopravvivenza mediana libera da progressione della malattia è stata di 6,2 mesi (IC 95%: 7-7,9) [7]. Recentemente sono stati pubblicati su Lancet Oncology i risultati completi dello studio di fase II, DREAMM-2 [1].

DREAMM-2 è uno studio in aperto che ha arruolato pazienti che presentavano un mieloma multiplo in progressione, peggiorato nonostante la terapia standard. I pazienti sono stati randomizzati in due bracci a ricevere belantamab mafodotin alla dose di 2,5 mg/kg o di 3,4 mg/kg, ogni tre settimane.

Complessivamente, i pazienti inclusi nello studio DREAMM-2 presentavano uno stadio più avanzato della malattia, una prognosi e un performance status (PS) peggiori nonché un numero maggiore di precedenti terapie effettuate rispetto ai pazienti inclusi nello studio DREAMM-1, il primo studio clinico, first in human, di belantamab mafodotin.

I risultati di DREAMM-2 confermano quelli osservati in un sottogruppo simile di pazienti nello studio DREAMM-1: 30 su 97 pazienti (31%) nella coorte trattata con 2,5 mg/kg di farmaco hanno ottenuto una risposta. Di questi, 18 pazienti hanno ottenuto una risposta parziale molto buona o migliore, inclusi tre pazienti con risposte complete o stringenti.

Il profilo di sicurezza e tollerabilità è coerente con i dati precedentemente riportati su belantamab mafodotin. I tre eventi avversi di grado di severità 3-4 più comunemente riportati nella coorte trattata con 2,5 mg/kg sono stati cheratopatia (27%), trombocitopenia (20%) e anemia (20%).

Ulteriori studi sono in corso per valutare l’effetto di belantamab mefodotin in monoterapia di terza linea nel mieloma multiplo recidivante/refrattario e in combinazione con trattamenti standard e nuovi in prima e seconda linea nell’ambito di un programma più ampio di sviluppo clinico DREAMM.

Belantamab mefodotin ha ottenuto dalla Food and Drug Administration (FDA) la designazione di Breakthrough Therapy e dall’Agenzia Europea dei medicinali la designazione di PRIME.

 


 

Bibliografia

1. Lonial S, Lee HC, Badros A, Trudel S, et al. Belantamab mafodotin for relapsed or refractory multiple myeloma (DREAMM-2): a two-arm, randomised, open-label, phase 2 study. Lancet Oncol. 2019 Dec 16. pii: S1470-2045(19)30788-0. doi: 10.1016/S1470-2045(19)30788-0.

2. Tai Y-T, Mayes PA, Acharya C, et al. Novel anti-B-cell maturation antigen antibody-drug conjugate (GSK2857916) selectively induces killing of multiple myeloma. Blood. 2014; 123: 3128-3138. 

3. Lee L Bounds D Paterson J et al. Evaluation of B cell maturation antigen as a target for antibody drug conjugate mediated cytotoxicity in multiple myeloma. Br J Haematol. 2016; 174: 911-922.

4. O'Connor BP Raman VS Erickson LD et al. BCMA is essential for the survival of long-lived bone marrow plasma cells. J Clin Exp Med. 2004; 199: 91-98.

5. Montes De Oca R, Bhattacharya S, Vitali N, et al. The anti-BCMA antibody-drug conjugate GSK857916 drives immunogenic cell death and immune-mediated anti-tumor responses, and in combination with an Ox40 agonist potentiates in vivo activity. EHA Library. Jun 14, 2019; 266357; PF558.

6. Trudel S Lendvai N Popat R et al. Targeting B-cell maturation antigen with GSK2857916 antibody–drug conjugate in relapsed or refractory multiple myeloma (BMA117159): a dose escalation and expansion phase 1 trial. Lancet Oncol. 2018; 19: 1641-1653. 

7. Trudel S, Lendvai N, Popat R et al. Antibody–drug conjugate, GSK2857916, in relapsed/refractory multiple myeloma: an update on safety and efficacy from dose expansion phase I study. Blood Cancer J. 2019; 9: 37.

Gli inibitori di pompa protonica aumentano il rischio di insorgenza di gastroenterite virale acuta durante il periodo invernale

L’aumento del rischio di infezioni enteriche batteriche acute in pazienti in terapia con inibitori di pompa protonica (IPP) è stato già documentato ma non è stato sufficientemente studiato il rischio di gastroenterite acuta di origine virale associata all’esposizione a questi farmaci, specialmente durante il periodo invernale in cui vi è un picco di diffusione dei virus enterici. Uno studio di coorte pubblicato su Jama Network Open [1] ha valutato la correlazione tra terapia cronica con IPP e l’insorgenza di gastroenterite acuta durante il periodo epidemico invernale della stagione 2015-2016, tramite l’analisi di un database di distribuzione di farmaci relativamente ad un ampio gruppo di farmacie comunitarie nella Francia continentale. Sono stati identificati 233.596 pazienti esposti alla terapia, ciascuno di quali abbinato a tre controlli non esposti (in totale sono stati inclusi 626.887 pazienti non esposti a terapia con IPP) in base all’anno di nascita, al sesso e alla farmacia dove si serviva solitamente. È stato osservato almeno un episodio epidemico di gastroenterite acuta nell’1,3% delle persone che avevano ricevuto la terapia e nello 0,7% dei non esposti. Il rischio relativo aggiustato (aRR) di insorgenza di gastroenterite durante il periodo in studio nei pazienti esposti a terapia con IPP è stato di 1,81 (IC 95%: 1,72-1,90) per tutte le età considerate; dall’analisi stratificata per fascia d’età è emerso un aumento del rischio all’aumentare dell’età e, pertanto, è stato misurato un RR di 1,66 (1,54-1,80) tra i pazienti di età compresa tra 45 e 64 anni, 2,19 (1,98-2,42) tra quelli di età compresa tra 65 e 74 anni e 1,98 (1,82-2,15) tra quelli di età pari o superiore a 75 anni.

I risultati ottenuti da questo studio sostengono l’ipotesi che l’uso di IPP è associato all’aumento del rischio di insorgenza di gastroenterite virale nei periodi di maggiore diffusione dei virus enterici dell’80% in più rispetto alla non esposizione; pertanto, sono necessari ulteriori studi per confermare tale associazione e per studiare i meccanismi fisiopatologici che la supportano.

Come suggerito in un editoriale di accompagnamento [2], «per i pazienti con un’indicazione documentata per l’uso di IPP, i medici devono assicurarsi che i benefici attesi siano bilanciati rispetto ai rischi della terapia e che venga utilizzata la dose efficace più bassa per la durata raccomandata più breve».


 


 

Bibliografia

1. Vilcu A, Sabatte L, Blanchon T, et al. Association Between Acute Gastroenteritis and Continuous Use of Proton Pump Inhibitors During Winter Periods of Highest Circulation of Enteric Viruses. JAMA Netw Open. 2019;2(11):e1916205. https://doi.org/10.1001/jamanetworkopen.2019.16205

2. Hayes KN, Nakhla NR, Tadrous M. Further Evidence to Monitor Long-term Proton Pump Inhibitor Use. JAMA Netw Open. 2019;2(11):e1916184. doi:https://doi.org/10.1001/jamanetworkopen.2019.16184

Farmacovigilanza: il successo del sistema di gestione dei segnali di sicurezza in UE

Un recente articolo pubblicato su Clinical Pharmacology & Therapeutics [1] ha messo in luce le qualità del sistema europeo di farmacovigilanza che dall’entrata in vigore della legislazione europea sulla farmacovigilanza, oltre sei anni fa, ha dimostrato di essere in grado di individuare, valutare e gestire in modo efficace ed affidabile i segnali di sicurezza che emergono nella fase post-autorizzativa di un medicinale, aprendo una nuova era per la protezione della salute dei pazienti e la trasparenza sulla sicurezza dei farmaci.

I metodi di farmacovigilanza garantiscono un monitoraggio proattivo dei farmaci durante il loro intero ciclo di vita. L’identificazione e la gestione di un segnale di sicurezza è un’attività fondamentale della farmacovigilanza che fornisce rapidamente nuove informazioni sulla sicurezza dei farmaci nella real world aiutando a colmare le lacune di conoscenza sul profilo beneficio-rischio dei farmaci al momento dell’AIC.

Da settembre 2012 a giugno 2018 sono stati individuati 26.848 potenziali segnali di sicurezza e 453 segnali confermati sono stati valutati dalla Pharmacovigilance Risk Assessment Committee (PRAC). Più della metà delle valutazioni del PRAC ha comportato modifiche delle informazioni sui prodotti medicinali, a supporto di un uso sicuro ed efficace dei farmaci, dimostrando che il processo di gestione del segnale messo in atto dall’Agenzia Europea dei Medicinale in stretta collaborazione con i Paesi membri dell’UE identifica, valuta e affronta in modo affidabile problemi di sicurezza e consente di ridurre al minimo il rischio di reazioni avverse.

Il costante miglioramento del processo di farmacovigilanza consentirà di ottimizzare l’efficacia e l’efficienza dell’uso dei dati della real-world, con un’attenzione particolare sull’uso improprio dei farmaci e sul loro abuso, sulla sicurezza nei pazienti anziani e sulla drug-drug interaction, nonché sull’impatto delle sospette reazioni avverse non gravi.


Bibliografia

1. Potts J, Genov G, Segec A, Raine J, Straus S, Arlett P. Improving the Safety of Medicines in the European Union: From Signals to Action. Clin Pharmacol Ther. 2019 Oct 17. doi: 10.1002/cpt.1678.

   

  

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