Farmacovigilanza

Comunicato EMA: nuove misure per ridurre il rischio di gravi effetti collaterali associati agli inibitori della Janus chinasi nel trattamento dei disturbi infiammatori cronici.

In data 11 Novembre 2022, il Comitato per i medicinali per uso umano (Committee for Medicinal Products for Human Use, CHMP) dell'Agenzia Europea dei Medicinali (European Medicines Agency, EMA) ha approvato le misure di minimizzazione del rischio di gravi effetti collaterali associati agli inibitori della Janus chinasi (JAK) nel trattamento dei disturbi infiammatori cronici, raccomandate dal Comitato di Valutazione dei Rischi per la Farmacovigilanza (PRAC) di EMA [1].

Gli inibitori della Janus chinasi ad oggi autorizzati in Europa includono Cibinqo® (abrocitinib), Jyseleca® (filgotinib), Olumiant® (baricitinib), Rinvoq® (upadacitinib) e Xeljanz® (tofacitinib).

Tali farmaci vengono utilizzati nel trattamento di diverse patologie infiammatorie croniche, quali artrite reumatoide, artrite psoriasica, spondiloartrite assiale, colite ulcerosa, dermatite atopica. Si tratta di una classe di farmaci che agisce inibendo l'attività di uno o più componenti della famiglia di enzimi JAK, delle tirosin-chinasi non recettoriali che trasducono il segnale mediato dalle citochine attraverso la via metabolica JAK-STAT, svolgendo un ruolo importante nel processo infiammatorio.

A febbraio 2022, il PRAC ha avviato la revisione dei risultati relativi allo studio clinico ORAL Surveillances [1] condotto al fine di verificare l’associazione tra l’uso degli inibitori delle JAK chinasi e l’insorgenza di gravi effetti collaterali. Tale studio, pubblicato sulla rivista medica The New England Journal of Medicine, ha analizzato il rischio di effetti cardiovascolari e oncogeni in pazienti affetti da artrite reumatoide, associato al trattamento con l’inibitore delle JAK chinasi tofacitinib (Xeljanz®) rispetto al trattamento con inibitori del TNF-alfa (adalimumab o etanercept). La conduzione di tale studio prospettico di sicurezza era stata richiesta dalla Food and Drug Administration, poiché durante lo sviluppo del farmaco era stato osservato un incremento dei livelli sierici di lipidi e dell'incidenza di tumori nei pazienti trattati con tofacitinib [1].

Complessivamente, per tale studio post-marketing, randomizzato, in aperto e di non inferiorità sono stati arruolati 4.362 pazienti, di età pari o superiore ai 50 anni, affetti da artrite reumatoide e che presentavano almeno un fattore di rischio cardiovascolare addizionale. Tali pazienti sono stati randomizzati a ricevere tofacitinib per os (5 mg o 10 mg due volte al giorno) o un inibitore del TNF per via sottocutanea (adalimumab [40 mg ogni 2 settimane] o etanercept [50 mg una volta alla settimana]). Dai risultati dello studio è emersa una maggiore incidenza di gravi effetti collaterali di tipo cardiovascolare (come infarto o ictus), cancro, coaguli di sangue nei polmoni e nelle vene profonde, infezioni gravi e morte in pazienti in trattamento con tofacitinib, rispetto a quelli trattati con inibitori del TNF-alfa.

Accanto a questi dati, sono stati presi in considerazione anche i risultati preliminari dello studio osservazionale B023 che ha confrontato l’inibitore della JAK chinasi baricitinib (Olumiant®) con gli inibitori del TNF-alfa, mostrando anche in questo caso un aumento del rischio di patologie cardiovascolari nei pazienti in trattamento con inibitori della Janus chinasi [3].

Alla luce di questo, l'EMA ha concluso che questi aggiornamenti in merito ai profili di sicurezza e relative misure di minimizzazione del rischio vengano applicati a tutti gli usi approvati degli inibitori della JAK chinasi per disturbi infiammatori cronici.

In particolare:

$1-          nel caso di persone di età pari o superiore a 65 anni, persone ad aumentato rischio di gravi problemi cardiovascolari (come infarto o ictus), fumatori o ex fumatori di lunga data (che hanno fumato per molto tempo nel passato) e quelli ad aumentato rischio di cancro, gli inibitori della JAK devono essere usati solo se non sono disponibili alternative terapeutiche adeguate;

$1-          nel caso di pazienti con fattori di rischio per la formazione di coaguli nei polmoni e nelle vene profonde (tromboembolia venosa, TEV) diversi da quelli sopra elencati, si raccomanda cautela nell’utilizzo di tali farmaci;

$1-          infine, le dosi devono essere ridotte (nei limiti del possibile) nei gruppi di pazienti a rischio di TEV, cancro o gravi problemi cardiovascolari.

Infine, si raccomandano esami periodici della pelle dei pazienti in trattamento con inibitori della JAK per verificare l’eventuale presenza di cancro alla pelle, in particolare per i pazienti a maggiore rischio.

Allo stesso modo, si raccomanda ai pazienti di contattare immediatamente il medico se in qualsiasi momento durante il trattamento, si avverte dolore o costrizione toracica (che può diffondersi a braccia, mascella, collo e schiena), mancanza di respiro, sudore freddo, sensazione di testa vuota, vertigini improvvise, debolezza di braccia e gambe o difficoltà di parola.

A seguito di questa revisione, saranno aggiornate le informazioni sul prodotto per gli inibitori della JAK chinasi ed il relativo materiale educazionale al fine di informare pazienti ed operatori sanitari.

Riferimenti bibliografici e sitografici

[1] https://www.aifa.gov.it/-/l-ema-conferma-le-misure-per-ridurre-al-minimo-il-rischio-di-gravi-effetti-collaterali-con-gli-inibitori-della-janus-chinasi-per-i-disturbi-infiammatori-cronici

[2] Ytterberg, S. R., Bhatt, D. L., Mikuls, T. R., Koch, G. G., Fleischmann, R., Rivas, J. L., Germino, R., Menon, S., Sun, Y., Wang, C., Shapiro, A. B., Kanik, K. S., Connell, C. A., & ORAL Surveillance Investigators (2022). Cardiovascular and Cancer Risk with Tofacitinib in Rheumatoid Arthritis. The New England journal of medicine, 386(4), 316–326. https://doi.org/10.1056/NEJMoa2109927

[3] https://www.ema.europa.eu/en/news/ema-confirms-measures-minimise-risk-serious-side-effects-janus-kinase-inhibitors-chronic

Nota Informativa Importante dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) circa disturbi della visione a seguito dell’utilizzo di Xalkori® (crizotinib).

In data 04/11/2022 AIFA, in collaborazione con l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), ha informato gli operatori sanitari circa il rischio di comparsa di disturbi della visione conseguenti all’utilizzo di Xalkori®, il cui principio attivo è crizotinib [1].

Crizotinib è un medicinale antitumorale indicato per il trattamento di adulti affetti da un tipo di tumore polmonare chiamato carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC), quando la malattia è in fase avanzata. Può essere utilizzato se il NSCLC è "ALK-positivo", il che significa che le cellule tumorali contengono alcuni cambiamenti che interessano il gene responsabile di una proteina chiamata ALK (chinasi del linfoma anaplastico). Viene utilizzato anche quando il NSCLC è "ROS1-positivo". Ciò significa che le cellule tumorali contengono cambiamenti che interessano il gene responsabile della proteina ROS1.

Crizotinib può anche essere usato per il trattamento di bambini e adolescenti di età compresa tra 6 e meno di 18 anni con linfoma anaplastico a grandi cellule (ALCL) ALK-positivo, un tipo di tumore del sangue, o con tumore miofibroblastico infiammatorio (IMT) ALK-positivo che non può essere rimosso chirurgicamente. L'IMT è un tumore solitamente benigno che colpisce un tipo di cellule muscolari chiamate miofibroblasti, che svolgono un ruolo importante nel processo di guarigione delle ferite.

ALK e ROS1 appartengono a una famiglia di proteine chiamate recettore tirosina chinasi (RTK), che sono coinvolte nella crescita delle cellule. Nei tumori "ALK-positivi" o "ROS1-positivi", la proteina ALK o ROS1 è attiva in modo anomalo e può promuovere la crescita incontrollata delle cellule e lo sviluppo di nuovi vasi sanguigni che le riforniscono.

Crizotinib agisce principalmente bloccando l'attività di ALK o ROS1, anche quando è presente il cambiamento genetico, riducendo così la crescita e la diffusione del cancro in ALCL ALK-positivo e IMT e in entrambi i NSCLC ALK- e ROS1-positivo.

La Nota Informativa Importante fa seguito all’analisi degli studi clinici effettuati sui pazienti pediatrici a seguito dei quali, in data 28 ottobre 2022, crizotinib è stato indicato anche nei pazienti pediatrici (di età ≥ 6 e < 18 anni) in monoterapia per il trattamento di pazienti con ALCL sistemico recidivante o refrattario positivo per ALK, o di pazienti con IMT non resecabile positivo per ALK, recidivante o refrattario.

L'efficacia è stata valutata nello studio ADVL0912 (NCT00939770) [2], uno studio multicentrico, a braccio singolo, in aperto in pazienti di età compresa tra 1 e ≤21 anni che includeva 26 pazienti con ALCL sistemico ALK-positivo recidivante o refrattario dopo almeno un trattamento sistemico. I pazienti hanno ricevuto crizotinib 280 mg/m2 (20 pazienti) o 165 mg/m2 (6 pazienti) per via orale due volte al giorno fino a progressione della malattia o tossicità inaccettabile. Ai pazienti è stato permesso di interrompere crizotinib per sottoporsi a trapianto di cellule staminali ematopoietiche.

L'efficacia si basava sul tasso di risposta obiettiva (ORR) e sulla durata della risposta valutati da un comitato di revisione indipendente. L'ORR nei 26 pazienti era dell'88% (IC 95%: 71, 96), con un tasso di remissione completa dell'81%. Dei 23 pazienti che hanno ottenuto una risposta, il 39% ha mantenuto la risposta per almeno 6 mesi e il 22% ha mantenuto la risposta per almeno 12 mesi.

I disturbi della visione, che rappresentano un rischio noto con l’utilizzo di crizotinib, sono stati

segnalati, nell’ambito degli studi clinici, nel 61% dei pazienti pediatrici con linfoma anaplastico a grandi cellule (Anaplastic Large Cell Lymphoma, ALCL) positivo per ALK (chinasi del linfoma anaplastico) di tipo sistemico recidivante o refrattario oppure con tumore miofibroblastico infiammatorio (Inflammatory Myofibroblastic Tumour, IMT) non resecabile positivo per ALK (chinasi del linfoma anaplastico).

Poiché i pazienti pediatrici potrebbero non segnalare o non accorgersi spontaneamente di eventuali disturbi della visione gli operatori sanitari sono tenuti ad avvisare informare pazienti e caregiver dei sintomi associati ai disturbi della visione (ad es. percezione di lampi di luce, visione annebbiata, sensibilità alla luce, mosche volanti) e del rischio di perdita della vista, e avvisarli della necessità di contattare il medico se si sviluppano sintomi visivi o perdita della vista.

I pazienti pediatrici devono essere monitorati per rilevare l’eventuale insorgenza di disturbi della visione. Prima di iniziare il trattamento con crizotinib è necessario effettuare un esame oftalmologico al basale, con esami di follow-up entro 1 mese, successivamenteogni 3 mesi e in caso si osservino nuovi sintomi che interessano la vista. La valutazione oftalmologica deve comprendere la misurazione della massima acuità visiva corretta, fotografie della retina, campi visivi, tomografia ottica a radiazione coerente (OCT) e altre valutazioni, se del caso.

Inoltre, per quel che concerne la gestione di eventuali eventi avversi a carico dell’occhio, nella Nota Informativa Importante AIFA viene indicato:

$1-          di prendere in considerazione una riduzione della dose di crizotinib nei pazienti che sviluppanopatologie dell’occhio di Grado 2. Inoltre, di sospendere il trattamento con crizotinib in attesa della valutazione di eventuali disturbi dell’occhio

$1-          di interrompere definitivamente il trattamento con crizotinib nel caso di eventi di Grado 3 o 4, a meno che non venga identificata un’altra causa.

AIFA coglie l’occasione per ricordare a tutti gli operatori sanitari l’importanza della segnalazione delle reazioni avverse da farmaci, quale strumento indispensabile per confermare un rapporto beneficio rischio favorevole nelle reali condizioni di impiego.

Bibliografia

$1  1.       https://www.aifa.gov.it/-/nota-informativa-importante-su-xalkori-crizotinib-

$  2.      Foster JH, Voss SD, Hall DC, Minard CG, Balis FM, Wilner K, Berg SL, Fox E, Adamson PC, Blaney SM, Weigel BJ, Mossé YP. Activity of Crizotinib in Patients with ALK-Aberrant Relapsed/Refractory Neuroblastoma: A Children's Oncology Group Study (ADVL0912). Clin Cancer Res. 2021 Jul 1;27(13):3543-3548.

Nota Informativa Importante AIFA su TERLIPRESSINA: insufficienza respiratoria grave o fatale e sepsi/shock settico in pazienti con sindrome epatorenale di tipo 1 (HRS-1).

In data 1 dicembre 2022, è stata pubblicata sul portale web dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) una Nota Informativa Importante (NII) relativa alla terlipressina.                                                

La terlipressina è un analogo sintetico della vasopressina (nota anche come ormone antidiuretico ADH), un ormone endogeno secreto in seguito a stimoli osmotici, emodinamici ed endocrinologici.La terlipressina possiede attività vasocostrittrice nel sistema vascolare splancnico e sistemico e riduce, perciò, la pressione portale e il rischio di sanguinamento ipertensivo portale [1]. Proprio per questi effetti, le indicazioni terapeutiche della vasopressina includono: il trattamento delle emorragie da varici esofagee, il trattamento delle emorragie conseguenti a chirurgia (in particolare del tratto gastrointestinale e urogenitale) e il trattamento della sindrome epato-renale di tipo 1 (HRS-1). Tale sindrome è caratterizzata da insufficienza renale in rapida progressione che si verifica in pazienti con cirrosi scompensata e ascite [2]. L'opzione terapeutica più comunemente utilizzata per il trattamento di tale sindrome nei pazienti con cirrosi in tutto il mondo prevede terlipressina associata ad albumina [3], quest’ultima introdotta per migliorare ulteriormente il volume circolante effettivo e la ridotta gittata cardiaca [4].                                                           

A partire dal mese di gennaio 2022, su richiesta della Danimarca, il comitato per la valutazione dei rischi per la farmacovigilanza (Pharmacovigilance Risk Assessment Committee, PRAC) dell’Agenzia Europea dei Medicinali (European Medicines Agency, EMA) ha avviato una revisione dei medicinali a base di terlipressina.

A tal proposito, sono stati revisionati i risultati dello studio CONFIRM. Tale studio multicentrico di fase 3, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo è stato condotto al fine di valutare l’efficacia e la sicurezza della terlipressina co-somministrata con l’albumina nel trattamento della HRS-1. In totale, 300 pazienti sono stati sottoposti a randomizzazione, di cui 199 sono stati assegnati al gruppo terlipressina e 101 al gruppo placebo; l’albumina concomitante, inoltre, è stata somministrata a 165 pazienti (83%) nel gruppo terlipressina. Per quanto riguarda l’endpoint primario di efficacia, la percentuale di pazienti in cui è stato riscontrato la regressione di HRS era significativamente più alta per il gruppo in trattamento con terlipressina (32%) rispetto al gruppo placebo (17%). Tuttavia, la somministrazione di terlipressina non ha mostrato benefici per quanto concerne la mortalità a 90 giorni, identificata come endopoint secondario. Nell’ambito di tale studio, la causa più comune di morte era rappresentata dall’insufficienza respiratoria e l’incidenza di tale evento è stata maggiore nel gruppo terlipressina rispetto al gruppo placebo.Sebbene l’insufficienza respiratoria sia già un noto effetto collaterale della terlipressina, la novità introdotta da questo studio è rappresentata dalla frequenza, risultata superiore rispetto a quella precedentemente nota e riportata nel riassunto caratteristiche prodotto (RCP).

Pertanto, nella NII viene indicato di stabilizzare quei pazienti in cui insorgono difficoltà respiratorie o con un peggioramento dei problemi respiratori preesistenti prima della somministrazione della prima dose di terlipressina oppure, in alternativa, si può pensare di ridurre la dose di albumina umana, se utilizzata. Qualora i sintomi fossero gravi o non si risolvessero, la terlipressina deve essere interrotta.

Dallo studio è, inoltre, emerso che nel gruppo di trattamento con terlipressina rispetto al placebo sono stati riscontrati un maggior numero di eventi avversi, tra cui dolore addominale, nausea e diarrea, ed uno squilibrio in termini di eventi avversi di sepsi/shock settico, i quali non erano mai stati precedentemente associati alla terlipressina. Alla luce di ciò, si raccomanda un attento monitoraggio dei pazienti per eventuali segni e sintomi di infezione [5].         

Ulteriori informazioni sono emerse per quel che concerne pazienti con HRS-1 e disfunzione renale avanzata (con livelli basali di creatinina[sCr] ≥ 442µmol/L (5.0 mg/dL)) o insufficienza epatica acuta (che insorge su una malattia epatica cronica (ACLF), di grado 3 e/o con un punteggio Model for End-stage Liver Disease (MELD) ≥39). In tali pazienti il trattamento con terlipressina è risultato meno efficace, e associato ad un aumento della mortalità e del rischio di eventi aversi. Pertanto, l’uso di medicinali a base di terlipressina deve essere evitata in tali pazienti.

Il PRAC ha infine revisionati i risultati emersi da un altro studio clinico, controllato, randomizzato, in open label, in cui sono stati confrontati due modalità di somministrazione della terlipressina: infusione endovenosa continua e boli endovenosi.In particolare, da tale studio è risultato chenei pazienti con cirrosi scompensata la terlipressina somministrata per infusione endovenosa continua risultava più vantaggiosa rispetto alla somministrazione per boli endovenosa, in quanto associata ad una minore incidenza di eventi avversi, incluso quelli gravi [6].                        

In conclusione, sulla base dei dati emersi dai suddetti studi e dopo un confronto con un gruppo di esperti nel campo della sindrome epatorenale di tipo 1, il PRAC ha stabilito che sarà necessario un aggiornamento delle informazioni del prodotto al fine di ridurre il rischio di insufficienza respiratoria e sepsi/shock settico quando la terlipressina è indicata per il trattamento della sindrome epatorenale di tipo 1.

Bibliografia                                                                                                                                            

1. Jamil K, Pappas SC, Devarakonda KR. In vitro binding and receptor-mediated activity of terlipressin at vasopressin receptors V1 and V2. J Exp Pharmacol 2017;10:1-7.                                                             
2.  Salerno F, Gerbes A, Ginès P, Wong F, Arroyo V. Diagnosis, prevention and treatment of hepatorenal syndrome in cirrhosis. Gut 2007;56:1310-1318.                                                                                                                                  
3. European Association for the Study of the Liver. EASL clinical practice guidelines on the management of ascites, spontaneous bacterial peritonitis, and hepatorenal syndrome in cirrhosis. J Hepatol 2010;53:397-417.
4. Angeli P, Merkel C. Pathogenesis and management of hepatorenal syndrome in patients with cirrhosis. J Hepatol 2008;48(Suppl. 1):S93-S103.      
5. Wong F, Pappas SC, Curry MP, et al. Terlipressin plus Albumin for the Treatment of Type 1 Hepatorenal Syndrome. N Engl J Med. 2021;384(9):818-828. doi:10.1056/NEJMoa2008290       
6. Cavallin M, Piano S, Romano A, et al. Terlipressin given by continuous intravenous infusion versus intravenous boluses in the treatment of hepatorenal syndrome: A randomized controlled study. Hepatology. 2016;63(3):983-992. doi:10.1002/hep.28396.                                                                           

Finasteride 1 mg e possibili disturbi sessuali e psichiatrici :comunicazione di sicurezza dell'AIFA

In data 30/11/2022 l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha pubblicato una comunicazione di sicurezza per richiamare l’attenzione su alcune importanti informazioni di sicurezza inerente all’impiego di medicinali contenenti finasteride (1 mg) indicati per il trattamento dell’alopecia androgenetica.

I medicinali contenenti finasteride inibiscono la 5-alfa reduttasi, un enzima deputato alla conversione del testosterone in diidrotestosterone. L’impiego di tale farmaco è indicato soprattutto negli uomini di età compresa tra i 18 e i 41 anni per il primo stadio dell’alopecia androgenetica.

Studi recenti hanno consolidato l’efficacia del trattamento con finasteride nell’uomo. In particolare, dallo studio condotto su 458 pazienti randomizzati è emerso che l’impiego di finasteride rispetto al placebo, nelle prime 24 settimane (endpoint primario di efficacia), ha portato ad un aumento nella conta dei capelli significativamente maggiore rispetto al placebo. Inoltre per ridurre al minimo gli effetti avversi derivanti dall’esposizione sistemica in seguito a somministrazione orale della finasteride, è stata sviluppata una formulazione topica che agisce specificamente sui follicoli piliferi con risultati simili, in termini di efficacia, alla somministrazione della finasteride per via orale [1]. L'incidenza, il tipo di eventi avversi e la causa dell'interruzione non differiscono significativamente tra finasteride topica e placebo. 
L’efficacia della finasteride nelle donne è stata argomento di dibattito. La prescrizione di finasteride nelle donne si basa sulla premessa che non vi siano differenze di sesso nei processi che riducono la perdita di capelli negli uomini così come nelle donne. Uno studio condotto in una clinica specializzata contro la caduta dei capelli dimostra che, come negli uomini, la riduzione dello spessore dei capelli e la perdita di capelli nelle donne con alopecia androgenetica potrebbero essere fermate o invertite dagli inibitori della 5-alfa-reduttasi [2]
. L’efficacia e la durata del trattamento devono essere continuamente valutate dal medico curante. In genere, prima che si possa avere evidenza di stabilizzazione della perdita dei capelli, sono richiesti da tre a sei mesi di trattamento con una singola somministrazione giornaliera. Per mantenere il beneficio è consigliato l’uso continuato. Se il trattamento viene sospeso, gli effetti benefici iniziano a regredire in sei mesi e ritornano al livello basale in 9-12 mesi.

Con la nota recentemente pubblicata l’AIFA intende richiamare l’attenzione sui possibili effetti indesiderati dovuti alla somministrazione giornaliera di finasteride 1 mg. Già nel 2018 l’AIFA aveva rilasciato una comunicazione di sicurezza in merito [3].
Come riportato nel Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto sono stati evidenziati casi in cui i pazienti, in seguito all’assunzione di finasteride, hanno riportato disordini psichiatrici (come ansia, depressione o persino pensieri suicidi) accompagnati da disturbi sessuali (tra cui disfunzione erettile, disfunzione eiaculatoria, dolore ai testicoli, diminuzione della libido).          
Tali effetti indesiderati sono stati consolidati da una revisione sistematica che ha analizzato i rischi di depressione in soggetti trattati con o senza finasteride in cui è emerso che il rischio di ideazione o comportamento suicidario era maggiore in pazienti che assumevano finasteride rispetto a quelli che non l’assumevano (21,2% vs 14,0%) e il rischio di disfunzione sessuale era alto (60,1%).
I risultati supportano l’ipotesi che la finasteride possa essere associata ad effetti avversi psichiatrici in associazione con la disfunzione sessuale. Tali sintomi possono persistere anche dopo l'interruzione del trattamento con finasteride [4].         
La durata di tali sintomi può variare da pochi giorni ad alcuni anni dall’inizio del trattamento.
Pertanto l’AIFA raccomanda, dopo un’accurata diagnosi di alopecia androgenetica:
1) di acquisire una anamnesi completa, che includa eventuali informazioni su malattie sia fisiche che mentali (es. disturbi d'ansia e depressione) ed informazioni su eventuali trattamenti in corso (medicinali, integratori, ecc);   
2) di avvisare i pazienti dei possibili effetti indesiderati dovuti all’impiego di finasteride, con particolare riferimento alla possibilità che si verifichino disturbi sessuali e/o disordini psichiatrici e che tali eventi, in alcuni casi, possano persistere anche dopo l’interruzione della terapia;
3) di istruire i pazienti a rivolgersi al proprio medico in caso di comparsa di disturbi sessuali e/o disordini psichiatrici.  


In caso di comparsa di tali sintomi si consiglia di interrompere il trattamento con finasteride 1 mg, oltre a segnalare le sospette reazioni avverse all’Agenzia Italiana del Farmaco, come previsto dal sistema nazionale di segnalazione spontanea.

Bibliografia


1. Piraccini, B. M., Blume-Peytavi, U., Scarci, F., Jansat, J. M., Falqués, M., Otero, R., Tamarit, M. L., Galván, J., Tebbs, V., Massana, E., & Topical Finasteride Study Group (2022).
Efficacy and safety of topical finasteride spray solution for male androgenetic alopecia: a phase III, randomized, controlled clinical trial. Journal of the European Academy of Dermatology and Venereology : JEADV36(2), 286–294. https://doi.org/10.1111/jdv.17738

2. Boersma, I. H., Oranje, A. P., Grimalt, R., Iorizzo, M., Piraccini, B. M., & Verdonschot, E. H. (2014).
The effectiveness of finasteride and dutasteride used for 3 years in women with androgenetic alopecia. Indian journal of dermatology, venereology and leprology80(6), 521–525. https://doi.org/10.4103/0378-6323.144162

3.
https://www.aifa.gov.it/documents/20142/0/Nota_Informativa_Importante_Finasteride_30.07.2018.pdf.

4.Pompili, M., Magistri, C., Maddalena, S., Mellini, C., Persechino, S., & Baldessarini, R. J. (2021). Risk of Depression Associated With Finasteride Treatment. Journal of clinical psychopharmacology, 41(3), 304–309. https://doi.org/10.1097/JCP.0000000000001379

Avviso della task force di emergenza dell'EMA sulla perdita di attività degli anticorpi monoclonali contro le varianti di interesse emergenti di SARS-CoV-2.

In data 09/12/2022 è stata pubblicata sul portale web dell’Agenzia Europea dei Medicinali (European Medicines Agency, EMA) una nota informativa attraverso la quale si avverte dell’improbabile efficacia degli anticorpi monoclonali attualmente autorizzati per COVID-19 grave contro i ceppi emergenti di SARS-CoV-2 [1].

Ad oggi, in Europa, risultano autorizzati quattro anticorpi monoclonali: Evusheld (tixagevimab/cilgavimab), Regkirona (regdanvimab), Ronapreve (casirivimab/imdevimab) e Xevudy (sotrovimab). Questi, legandosi alla proteina spike di SARS-CoV-2, impediscono l’ingresso del virus nelle cellule del corpo ed hanno dimostrato efficacia nel prevenire la progressione a forme di malattia grave, ospedalizzazione e morte in quei pazienti che non richiedono ossigeno supplementare e che sono a maggior rischio di COVID-19 grave.

Tuttavia, dall’inizio della pandemia il virus si è continuamente evoluto e sono emerse nuove diverse varianti d’interesse. In particolare, i ceppi emergenti di SARS-CoV-2 presentano mutazioni a carico della proteina spike, tali da ridurre la capacità degli anticorpi monoclonali di legarsi ad essa.

Recenti studi di laboratorio mostrano che gli anticorpi monoclonali che prendono di mira la proteina spike sono scarsamente efficaci nel neutralizzare le varianti Omicron BA.4.6, BA.2.75.2 e XBB. Inoltre, i dati mostrano che tali anticorpi monoclonali non neutralizzano in modo significativo neppure le sottovarianti BQ.1 e BQ.1.1, che dovrebbero diventare i ceppi dominanti nell'Unione Europea (UE) nelle prossime settimane.

Sebbene non sia ancora noto in che misura la ridotta attività neutralizzante degli anticorpi monoclonali si traduca in benefici ridotti per i pazienti, l'Emergency Task Force (ETF) di EMA ha recentemente sottolineato che gli operatori sanitari dovranno prendere in considerazione trattamenti alternativi, soprattutto se BQ.1 e BQ.1.1 diventeranno le varianti prevalenti di SARS-CoV-2.

Pertanto, si consigliano i trattamenti Paxlovid (nirmatrelvir/ritonavir) e Veklury (remdesivir), che hanno meccanismi d'azione diversi. Tali opzioni terapeutiche antivirali alternative dovrebbero mantenere la loro attività contro i ceppi emergenti. Si ricorda che questi trattamenti sono approvati nell'Unione Europea (UE) per i pazienti con COVID-19 che non necessitano di ossigeno supplementare e sono a maggior rischio che la loro malattia progredisca in COVID-19 grave.

L'ETF incoraggia, dunque, gli Stati membri dell'UE a garantire che gli operatori sanitari abbiano rapido accesso ai suddetti trattamenti antivirali per trattare tempestivamente i pazienti vulnerabili ed a maggior rischio di COVID-19 grave.

Nel frattempo, la situazione epidemiologica nell'UE continuerà ad essere monitorata dalla ETF insieme al Centro Europeo per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (European Centre for Disease Prevention and Control, ECDC), e se necessario, sarà valutata anche la possibilità di raccomandare un aggiornamento del riassunto delle caratteristiche del prodotto (RCP) per i singoli anticorpi monoclonali.

Si sottolinea infine che la comunicazione dell'ETF non fa riferimento a RoActemra, il cui principio attivo è rappresentato dal tocilizumab, un altro anticorpo monoclonale che non ha come bersaglio il virus stesso, ma agisce come modulatore della risposta immunitaria ed è utilizzato in combinazione con un medicinale a base di corticosteroidi in pazienti che necessitano di ossigeno supplementare o ventilazione meccanica [1].

Riferimenti sitografici

[1] https://www.ema.europa.eu/en/news/etf-warns-monoclonal-antibodies-may-not-be-effective-against-emerging-strains-sars-cov-2#:~:text=EMA's%20Emergency%20Task%20Force%20(ETF,spike%20protein%20on%20its%20surface.

   

  

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