Farmacovigilanza

La Commissione Tecnico Scientifica di AIFA pubblica il parere su una dose booster del vaccino Janssen

In data 03 Novembre 2021 la Commissione Tecnico Scientifica (CTS) di AIFA ha espresso un parere, dietro richiesta del Ministero della Salute, in merito alla possibilità di una dose di richiamo per i soggetti che hanno ricevuto un’unica dose di vaccino Janssen e alle relative tempistiche.

Il vaccino Janssen è un vaccino vettoriale, costituito da un adenovirus modificato, contente il gene per la proteina virale spike, solitamente presente sulla superficie di SARS-CoV-2 e indispensabile per la penetrazione del virus nelle cellule, ed è l’unico al momento approvato come mono somministrazione. Così come avviene per altri vaccini monodose, una dose booster (o dose di richiamo) potrebbe essere considerata una strategia che ha delle solide basi virologiche.

Sulla base di quanto evidenziato dai dati di letteratura circa l’efficacia del vaccino Janssen, i real world data indicano che pazienti a cui è stato somministrato il vaccino Janssen presentano una protezione forte e duratura nei confronti del virus da COVID-19.Il più grande studio di real-world evidence [1] condotto sul vaccino Ad26.COV2.SCOVID-19, prodotto da Janssen, effettuato negli Stati Uniti ha dimostrato un’efficacia stabile del vaccino del 79% (IC: 77%-80%) per le infezioni correlate a COVID-19 e dell’81% (IC: 79%-84%) per i ricoveri correlati al COVID-19. Non sono emerse prove di una riduzione dell’efficacia durante lo studio, nemmeno quando la variante Delta è diventata dominante negli Stati Uniti. Lo studio ha arruolato 390.000 persone che hanno ricevuto il vaccino Janssen e circa 1,52 milioni di persone non vaccinate abbinate per età, sesso, tempo, codice postale a tre cifre (quindi zona di residenza), comorbidità e fattori predittivi di gravità dell’infezione da SARS-COV2. I dati di questo studio sono in linea con quanto riportato nei trial clinici ENSEMBLE di fase 2 e di fase 3. In particolare, è emerso che una dose booster del vaccino Janssen contro COVID-19 somministrata sei mesi dopo la prima singola iniezione ha comportato un aumento dei livelli di anticorpi di nove volte ad una settimana dopo il richiamo, e di dodici volte a quattro settimane, indipendentemente dall’età del vaccinato.

Sulla base di un’approfondita valutazione dell’istruttoria da parte degli esperti dell’Agenzia, la CTS ha rilevato che i dati disponibili indicano una sostanziale stabilità della risposta immunitaria, sia umorale che cellulare, fino a 8 mesi dalla somministrazione di una dose di vaccino Janssen. Anche la protezione nei confronti di malattia grave, ospedalizzazione o morte risulta sostanzialmente stabile fino ad almeno 6 mesi dalla vaccinazione. Allo stesso tempo, tuttavia, con il passare dei mesi si osserva un lento declino dell’efficacia vaccinale nei confronti delle forme lievi/moderate di malattia. Le evidenze più recenti confermano l’efficacia di una dose booster (soprattutto con vaccino a mRNA) nel potenziare la risposta immunitaria al vaccino COVID-19 Janssen. 

La CTS ha, pertanto, concluso che la dose booster eterologa con vaccino a mRNA sia da ritenere opportuna per i soggetti vaccinati con COVID-19 Janssen a partire da 6 mesi dalla prima dose [2].


Bibliografia

  1. Jennifer M. Polinski, et al. Effectiveness of the Single-Dose Ad26.COV2.S COVID Vaccine. https://doi.org/10.1101/2021.09.10.21263385.
  2. https://www.aifa.gov.it/documents/20142/1289678/Comunicato_AIFA_670.pdf

NOTA INFORMATIVA IMPORTANTE: aumento del rischio di chetoacidosi diabetica da dapagliflozin in pazienti con diabete mellito di tipo 1

In data 29/10/2021, l’azienda AstraZeneca in accordo con l'Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) e l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha pubblicato una Nota Informativa Importante sul rischio di eventi avversi da chetoacidosi diabetica (CAD) associati all’uso di Forxiga® (dapagliflozin) per il trattamento del diabete mellito di tipo 1 (DMT1). Pertanto, a partire dal 25 ottobre 2021 Forxiga 5mg non è più autorizzato per il trattamento del DMT1 e non deve essere più utilizzato in questa popolazione [1].

Il dapagliflozin è un inibitore del trasportatore renale del sodio-glucosio 2 (SGLT2). L’inibizione di SGLT2 riduce il riassorbimento del glucosio dal filtrato glomerulare nel tubulo renale prossimale con una concomitante riduzione del riassorbimento del sodio, con conseguente escrezione urinaria del glucosio e diuresi osmotica. Dapagliflozin aumenta, inoltre, il rilascio di sodio a livello del tubulo distale, portando ad un maggior feedback tubuloglomerulare e riducendo la pressione intraglomerulare. Tutto ciò, associato alla diuresi osmotica, porta ad una diminuzione del sovraccarico di volume, della pressione sanguigna e del pre- e post-carico, che possono avere effetti benefici sul rimodellamento cardiaco e la funzione renale; il farmaco agisce indipendentemente dalla secrezione e dall’azione di insulina. In studi clinici con dapagliflozin è stato osservato un miglioramento nel modello di valutazione dell’omeostasi della funzionalità delle cellule beta (HOMA beta-cell); altri effetti includono aumento dell’ematocrito e riduzione del peso corporeo. I benefici cardiaci e renali di dapagliflozin non dipendono esclusivamente dall’effetto di riduzione della glicemia e non sono limitati ai pazienti con diabete, come dimostrato negli studi DAPA-HF e DAPA-CKD [2], pubblicati rispettivamente il 21 novembre 2019 e l’8 ottobre 2020 sul The New England Journal of Medicine [3,4].

Inoltre, sono stati condotti due studi clinici su dapagliflozin controllati con placebo, in pazienti con diabete mellito di tipo 1, sottoposti al monitoraggio della concentrazione ematica di chetoni in caso di sintomi sospetti di CAD. I pazienti si sono rivolti al medico specialista qualora l’automonitoraggio della chetonemia misurata fosse ≥ 0,6 mmol/L. Nei dati aggregati di 52 settimane, eventi di CAD sono stati riportati in 22 (4,0%) pazienti nel gruppo dapagliflozin 5 mg e in 6 (1,1%) pazienti nel gruppo placebo, con un corrispondente tasso di incidenza per 100 pazienti l’anno di 4,62 per dapagliflozin 5 mg e 1,27 per il placebo. Gli eventi di CAD verificati sono risultati uniformemente distribuiti durante il periodo di studio clinico; dosi non adeguate di insulina (mancata somministrazione di insulina o malfunzionamento della pompa insulinica) sono stati i fattori precipitanti più comuni. In circa 6 eventi su 23 nel gruppo di studio, la CAD ha interessato pazienti che presentavano glicemia nell’intervallo euglicemico (<14 mmol/L o 250 mg/dL) [2].

Gli inibitori del co-trasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT2) devono essere usati con cautela negli individui ad alto rischio di CAD, che comprendono pazienti con una bassa riserva funzionale delle cellule beta (ad es. diabete di tipo 1, diabete di tipo 2 con peptide C basso, diabete autoimmune latente dell’adulto definito LADA, oppure pazienti con storia di pancreatite), pazienti con condizioni che comportano una ridotta assunzione di cibo o una severa disidratazione, pazienti per i quali le dosi di insulina sono ridotte e con un aumentato fabbisogno insulinico a causa di patologia acuta, intervento chirurgico o abuso di alcool. Il rischio di chetoacidosi diabetica deve essere considerato in caso di sintomi non specifici come nausea, vomito, anoressia, dolore addominale, sete eccessiva, difficoltà di respirazione, confusione, insolita fatica o sonnolenza [2].

L’interruzione di dapaglifozin in pazienti con DMT1 deve essere eseguita sotto la supervisione di un medico specializzato e deve essere condotta non appena sia clinicamente possibile; a seguito dell'interruzione del trattamento, si raccomanda il monitoraggio frequente della glicemia e la dose di insulina somministrata deve essere aumentata attentamente per ridurre al minimo il rischio di ipoglicemia [1].


Riferimenti bibliografici e sitografici

  1. AIFA-Nota Informativa Importante su Forxiga® (dapagliflozin). Disponibile al link: https://www.aifa.gov.it/-/nota-informativa-importante-su-forxiga-dapagliflozin-
  2. AIFA-Riassunto delle caratteristiche del prodotto Forxiga®. Disponibile al link: https://farmaci.agenziafarmaco.gov.it/aifa/servlet/PdfDownloadServlet?pdfFileName=footer_000690_042494_RCP.pdf&retry=0&sys=m0b1l3
  3. McMurray JJV, et al; DAPA-HF Trial Committees and Investigators. Dapagliflozin in Patients with Heart Failure and Reduced Ejection Fraction. N Engl J Med. 2019 Nov 21;381(21):1995-2008.
  4. Heerspink HJL, et al; DAPA-CKD Trial Committees and Investigators. Dapagliflozin in Patients with Chronic Kidney Disease. N Engl J Med. 2020 Oct 8;383(15):1436-1446.

COMUNICATO AIFA: valutazione della Nota 96 a 20 mesi dalla sua introduzione

In data 22/10/2021, l’AIFA ha pubblicato i dati relativi all’andamento dei consumi e della spesa dei farmaci a base di vitamina D inclusi nella Nota 96, al fine di verificarne gli effetti nei primi 20 mesi di applicazione [1]. 

La Nota 96, istituita da AIFA ad ottobre 2019, limita la prescrizione a carico del Sistema Sanitario Nazionale (SSN) dei farmaci colecalciferolo, colecalciferolo/sali di calcio, calcifediolo con indicazione “prevenzione e trattamento della carenza di Vitamina D” nella popolazione adulta (età > 18 anni) in determinate condizioni cliniche (con e senza necessità di eseguire in precedenza il dosaggio di 25(OH) vit. D) [2].

Nei primi 20 mesi di applicazione della nota 96 si registra complessivamente una diminuzione dei consumi e della spesa dei farmaci in nota di circa il 25% rispetto ai periodi precedenti, sia in termini di confezioni erogate sia di spesa sostenuta dal SSN, con un risparmio medio mensile di circa 6,4 milioni di euro. Tale riduzione è stata registrata soprattutto nella fascia di età 40-60 anni e nella popolazione femminile. Contestualmente, non è stato osservato un aumento rilevante dei consumi degli altri analoghi della vitamina D non presenti in Nota.

A livello regionale, l’impatto della Nota è disomogeneo in quanto gli scenari regionali prima dell’applicazione della Nota stessa erano diversi. Pertanto, saranno effettuati ulteriori approfondimenti per valutare i valori anomali o fuori media.

Dal punto di vista economico, l’effetto più rilevante della Nota è stato osservato durante i primi 12 mesi dalla sua introduzione, portando ad un risparmio medio pari a 7,5 milioni/mese. Tuttavia, dopo 20 mesi, è stata riscontrata una graduale perdita di efficacia, in quanto, dal 13° al 20° mese, è stata stimato un risparmio pari a 4,7 milioni/mese.

In particolare, negli ultimi 20 mesi, in Regione Campania è stata osservata una riduzione del 6,9% del numero di confezioni e del 3,1% della spesa lorda, posizionandosi al di sotto della media nazionale.

Per garantire una appropriata prescrizione dei farmaci a base di vitamina D, l’AIFA ribadisce l’importanza di campagne di sensibilizzazione da rivolgere ai MMG e agli operatori sanitari.


Referenze

1. Agenzia Italiana del Farmaco. https://www.aifa.gov.it/-/valutazione-della-nota-96-a-venti-mesi-dall-introduzione

2.Centro Regionale di Farmacovigilanza e Farmacoepidemiologia delle Regione Campania. http://www.farmacovigilanza.unina2.it/index.php?option=com_content&view=article&id=960:comunicato-aifa-effetto-della-nota-96-nel-primo-trimestre-di-applicazione-sul-consumo-di-vitamina-d&catid=72&Itemid=485&lang=it 

EMERGENZA COVID-19: raccomandazione EMA e parere della CTS sulla dose di richiamo di Spikevax

In data 26 ottobre 2021, il Comitato per i Medicinali per Uso Umano (CHMP) dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) ha concluso dopo attenta valutazione che si può considerare la somministrazione di una dose di richiamo del vaccino COVID-19 Spikevax (di Moderna) alle persone di età pari o superiore a 18 anni, a sei mesi dopo la seconda dose del primo ciclo vaccinale [1]. Il parere favorevole è stato espresso sulla scia della decisione già presa per il vaccino Comirnaty in merito alla somministrazione di una dose di richiamo, almeno 6 mesi dopo la seconda dose, per le persone di età pari o superiore a 18 anni [2].

L’EMA ha precisato che la dose di richiamo (o booster) di Spikevax è costituita dalla metà della dose utilizzata per la vaccinazione primaria.

La dose di richiamo è somministrata alle persone con sistema immunitario normale che hanno completato la vaccinazione primaria al fine di ripristinare la protezione dopo la riduzione dei livelli di anticorpi. A tal proposito, emerge che una terza dose di Spikevax, somministrata da 6 a 8 mesi dopo la seconda dose, può aumentare il titolo anticorpale negli adulti in cui tale livello è in diminuzione. Inoltre, i dati attualmente disponibili mostrano che gli eventi avversi che si manifestano dopo la somministrazione della dose di richiamo sono simili a quelli osservati dopo la seconda dose [3].

Dopo aver esaminato attentamente l’istruttoria degli uffici e preso atto della decisione di EMA, la CTS di AIFA ha stabilito di rendere disponibile la dose booster del vaccino Spikevax, includendola nell’elenco di cui alla L.648/96 per consentirne l’uso eterologo in soggetti immunizzati con altri vaccini anti-COVID19 al primo ciclo, secondo l’indicazione autorizzata:

- dosaggio di 50 mcg in 0,25 ml a distanza di almeno 6 mesi dalla seconda dose in soggetti di età pari o superiore ai 18 anni [4].

La Commissione ribadisce inoltre che, come già stabilito per la dose booster di Pfizer, tale opportunità dovrebbe essere offerta in via prioritaria ai soggetti indicati nella Circolare del Ministero della Salute 45886 del 8 ottobre 2021:

  • soggetti di età ≥ 80;
  • personale e ospiti dei presidi residenziali per anziani;
  • esercenti le professioni sanitarie e operatori di interesse sanitario che svolgono le loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali;
  • persone con elevata fragilità motivata da patologie concomitanti/preesistenti di età uguale o maggiore di 18 anni;
  • soggetti di età ≥ 60 [5].

La dose aggiuntiva di Spikevax o di Comirnaty, invece, è destinata a soggetti gravemente immunocompromessi e va somministrata almeno 28 giorni dopo la seconda dose, come già stabilito dal CHMP (EMA) e dalla CTS (AIFA).


 

Bibliografia

1. AIFA-Spikevax: raccomandazione EMA sulla dose di richiamo. Disponibile al link: https://www.aifa.gov.it/documents/20142/1289823/2021.10.26_com-EMA_Spikevax_raccomandazione_dose_richiam_IT.pdf

2. CRFV-EMERGENZA COVID: raccomandazioni EMA e autorizzazioni dal Ministero della Salute su dosi aggiuntive e richiami vaccinali. Disponibile al link: http://www.farmacovigilanza.unina2.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1181:emergenza-covid-raccomandazioni-ema-e-autorizzazioni-dal-ministero-della-salute-su-dosi-aggiuntive-e-richiami-vaccinali&catid=72:farmacovigilanza&Itemid=485&lang=en

3. AIFA-Domande e risposte sui vaccini COVID-19. Disponibile al link: https://www.aifa.gov.it/documents/20142/1297852/domande_risposte_vaccini_COVID.pdf

4. Parere della Commissione Tecnico Scientifica di AIFA sulla somministrazione di una dose booster del vaccino Spikevax contro il COVID-19. Disponibile al link: https://www.aifa.gov.it/-/parere-della-commissione-tecnico-scientifica-di-aifa-sulla-somministrazione-di-una-dose-booster-del-vaccino-spikevax-contro-il-covid-19

5. Ministero della Salute. Comunicato n. 45886 del 08-10-2021. Disponibile al link http://3.flcgil.stgy.it/files/pdf/20211011/circolare-ministeriale-45886-dell-8-ottobre-2021-aggiornamento-indicazioni-sulla-somministrazione-di-dosi-addizionali-e-di-dosi-booster-nell-ambito-della-campagna-di-vaccinazione-anti-sars-cov-2-covid-19.pdf

 

COMUNICATO AIFA: presentato il primo rapporto sull’uso dei farmaci nella popolazione anziana

In data 13 Ottobre 2021,l’Agenzia Italiana del Farmaco ha pubblicato il primo Rapporto “L’uso dei farmaci nella popolazione anziana in Italia”, realizzato dall’Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei Medicinali (OsMed) con il coordinamento di AIFA e dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS).

In particolare, AIFA ha pubblicato un documento riassuntivo che descrive le caratteristiche della prescrizione farmaceutica nella popolazione ultrasessantacinquenne andando ad evidenziare l’uso concomitante di farmaci nei pazienti in trattamento per alcune patologie quali diabete, demenza, BPCO, parkinsonismo; ha valutato nuovi indicatori di qualità e appropriatezza prescrittiva, con particolare riferimento alla politerapia, alle interazioni farmacologiche e all’uso di farmaci potenzialmente inappropriati; ha analizzato l’uso dei farmaci nelle fasce di età più avanzate (pazienti ultranovantenni); ha descritto alcune esperienze nazionali di deprescrizione farmacologica (deprescribing) e infine ha analizzato l’impatto della pandemia da COVID-19 sull’uso dei medicinali nella popolazione anziana nel 2020 (a confronto con il 2019).

Secondo tale rapporto il 98% degli over 65 ha ricevuto almeno una prescrizione farmaceutica con una spesa annua media pro-capite di 660 euro. Sia a livello nazionale che regionale gli uomini mostrano un consumo superiore a quello delle donne, in tutte le classi di età. Per quasi tutte le categorie terapeutiche il consumo dei farmaci aumenta con l’età fino agli 84 anni, per poi diminuire nelle classi successive (“healthy survivor effect”). Nel 2019 i farmaci del sistema cardiovascolare, in particolare gli antipertensivi, sono stati tra quelli a maggiore prescrizione, mentre metà della popolazione ha ricevuto farmaci antibiotici o gastroprotettori.

La politerapia nella popolazione anziana risulta frequente. Nel rapporto è stato analizzato nel dettaglio il pattern prescrittivo dei soggetti in trattamento con farmaci antidiabetici, antidemenza, per la BPCO e per il morbo di Parkinson. Le categorie di farmaci più utilizzate nei pazienti in trattamento con farmaci per il diabete e la BPCO rispecchiano le principali comorbilità e/o complicanze associate a tali patologie, mentre nei soggetti in trattamento con farmaci antidemenza e con anti Parkinson è stato rilevato un potenziale uso inappropriato di alcuni farmaci in associazione, principalmente antipsicotici, che non portano a un reale beneficio clinico per il paziente. Sempre relativamente alla politerapia è emerso che il problema delle interazioni farmacologiche necessita di molta attenzione in quanto è emerso che a livello nazionale, il 29,0% degli uomini e il 30,3% delle donne di età ≥65 anni utilizzano 10 o più sostanze contemporaneamente. In particolare, dal rapporto si evidenzia che l’uso concomitante di 2 o più farmaci che aumentano il rischio di sanguinamento gastrointestinale è pari al 6,6%, con una più alta prevalenza al Sud (11,0%), rispetto al Centro (7,1%) e al Nord (3,6%). Valori di prevalenza d’uso pari al 9,5%, che risultano maggiori al Sud (15,3%) e nella popolazione femminile (10,4%) sono stati riscontrati anche per i farmaci la cui assunzione contemporanea aumenta il rischio di insufficienza renale.

Per quanto concerne l’impatto della pandemia da COVID-19 sull’uso dei farmaci nella popolazione anziana è emerso che nell’anno 2020 durante il periodo di lockdown vi è stato un enorme decremento delle visite per patologie croniche e un decremento dell’utilizzo di antibiotici e FANS per il trattamento delle patologie delle alte e basse vie respiratorie attribuibile alla riduzione della trasmissione di patologie infettive delle alte e basse vie respiratorie grazie all’adozione di norme igieniche finalizzate a contenere la diffusione dell’infezione da COVID-19. Al contrario, la categoria degli anticoagulanti è quella che ha subito il maggiore incremento durante il periodo pandemico ed è probabilmente il risultato dell’aumento di prescrizioni per eventi tromboembolici COVID-19 correlati o per la loro profilassi.

Dal monitoraggio del registro REPOSI sull’uso dei farmaci in ospedale emerge un incremento in ingresso e dimissione dei principi attivi in grado di causare allungamento dell’intervallo QT e il rischio di emorragie gastrointestinali.

Infine, dall’analisi sull’utilizzo dei farmaci nelle RSA in cinque Regioni italiane (PA di Bolzano, Veneto, FVG, Emilia-Romagna e Umbria) emerge come nel 2019 la spesa per giornata di degenza (pari a 1,30 euro) e il consumo (pari a 797,9 DDD/100 giornate di degenza) siano in riduzione rispetto all’anno precedente (rispettivamente di -1,6% e -5,2%). I farmaci cardiovascolari, quelli attivi sul metabolismo e tratto gastrointestinale, i farmaci del sangue e quelli del sistema nervoso centrale sono risultati quelli a maggior consumo.

Come sottolineato dal Direttore Generale di AIFA Nicola Magrini: «Questo nuovo Rapporto, centrato sul consumo dei farmaci negli anziani, rappresenta uno strumento prezioso per promuovere interventi e progetti mirati a migliorare la qualità e la sicurezza dell’uso del farmaco in questa popolazione», e come concluso dal Presidente dell’ISS Silvio Brusaferro: «Si stima, che un terzo degli over 65enni utilizzi 10 o più farmaci contemporaneamente. Questo rapporto aiuta a comprendere diversi aspetti di questo fenomeno individuando nella deprescrizione farmacologica, ovvero nella riduzione del numero dei principi attivi prescritti, una risposta mirata per garantire una maggior sicurezza e appropriatezza delle cure. Non sempre, infatti, la prescrizione di un numero elevato di farmaci corrisponde alle migliori cure o a più salute».


 

Bibliografia

https://www.aifa.gov.it/-/presentato-rapporto-uso-farmaci-popolazione-anziana

   

  

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