Pembrolizumab: i dati preliminari dello studio di Fase III KEYNOTE-240 non confermano il beneficio clinico nei pazienti affetti da carcinoma epatocellulare.

In data 21 Febbraio, 2019 MSD ha annunciato i dati preliminari dello studio di fase III KEYNOTE-240 dai quali si evince che il pembrolizumab non ha raggiunto gli end-point co-primari di sopravvivenza globale (OS) e di sopravvivenza libera da progressione contro placebo.

Pembrolizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato indicato per il trattamento del melanoma avanzato (non resecabile o metastatico) nei pazienti adulti il quale agisce bloccando l’interazione tra i ligandi PD-L1 e PD-L2 e il recettore PD-1 (Programmed Death-1). Il recettore PD-1 è un regolatore negativo dell’attività delle cellule T che ha dimostrato di essere coinvolto nel controllo delle risposte immunitarie delle cellule T. Attraverso il blocco del legame del PD-1 a PD-L1 e PD-L2, espressi sulle cellule che presentano l’antigene in tumori o in cellule nel microambiente tumorale, pembrolizumab potenzia le risposte delle cellule T, comprese le risposte antitumorali.

Il farmaco solo 3 mesi fa (9 Novembre 2018), a seguito dei risultati incoraggianti dello studio KEYNOTE-224, aveva ricevuto l’approvazione accelerata da parte della Food and Drug Administration (FDA) per il trattamento del carcinoma epatocellulare.

Il carcinoma epatocellulare è la forma più comune di tumore al fegato e si sviluppa principalmente nei pazienti cirrotici. L'incidenza massima si registra in alcuni paesi dell'Africa e nelle isole del Pacifico (incidenza massima riscontrata: 104 su 100.000, contro la media 2-7 su 100.000), in paesi come Cina, Taiwan e Corea vi sono 150 casi ogni milione di abitanti. [1]

Lo studio, multicentrico a braccio singolo, aveva arruolato 104 pazienti con carcinoma epatocellulare. I pazienti dovevano avere una progressione della malattia a seguito del trattamento con sorafenib o essere intolleranti a sorafenib, avere una malattia misurabile e una compromissione epatica secondo la classificazione di Child-Pugh di classe A. Il 21% dei pazienti arruolati era HBV sieropositivo, il 25% era HCV sieropositivo e 9 pazienti (9%) erano sieropositivi sia per HBV che per HCV. I pazienti hanno ricevuto pembrolizumab 200 mg in infusione endovenosa ogni tre settimane fino a progressione della malattia, tossicità inaccettabile o fino a 24 mesi in pazienti senza progressione della malattia.

Lo studio aveva mostrato un tasso di risposta pari al 17%, pertanto il farmaco aveva ricevuto l’approvazione accelerata da parte dell’FDA. L'approvazione accelerata dei farmaci da parte dell’FDA generalmente comporta l'obbligo di verificare i benefici attraverso uno studio di conferma. 

Lo studio KEYNOTE-240 non ha, però, dato i risultati sperati e gli end-point co-primari non sono stati raggiunti. Lo studio di fase III ha arruolato 413 pazienti con HCC avanzato precedentemente trattati con terapia sistemica i quali sono stati assegnati casualmente al trattamento con pembrolizumab o placebo, entrambi in combinazione con la migliore terapia di supporto. Oltre agli endpoint primari di OS e PFS, gli obiettivi secondari includevano ORR, durata della risposta, tasso di controllo della malattia e tempo di progressione.

Il caso del pembrolizumab non è il solo: solo il mese scorso l’FDA ha consigliato ai medici di non iniziare nuove terapie con olaratumab, un farmaco di Eli Lilly studiato per il sarcoma dei tessuti molli, dopo che tale farmaco non è riuscito a mostrare un beneficio di sopravvivenza in Fase III. L'agenzia americana aveva concesso a olaratumab un'approvazione accelerata nell'ottobre 2016 sulla base dei dati di uno studio di Fase II.

A questo punto non è ancora chiaro se l’FDA sospenderà o meno l’utilizzo del pembrolizumab come terapia di seconda linea per l’HCC.

Bibliografia

1. Rustgi VK., Epidemiology of hepatocellular carcinoma., in Gastroenterol Clin North Am., vol. 16, dicembre 1987, pp. 545-51.

   

  

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