Esposizione intrauterina a farmaci biologici: risultati rassicuranti sulla sicurezza a breve termine.

Recentemente sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Annals of the Rheumatic Diseases i risultati di uno studio di popolazione, condotto sui dati di un registro canadese, secondo i quali l’utilizzo di farmaci biologici prima e durante la gravidanza non risulta associato ad un aumento del rischio di parto pre-termine né di nascita di bambini sottopeso per l’età gestazionale (small-for-gestational-age, SGA).

I farmaci biologici, i cui principi attivi sono molecole prodotte o estratte da una sorgente biologica, sono spesso utilizzati per trattare giovani donne affette da patologie autoimmuni, come quelle reumatiche e quelle infiammatorie croniche intestinali. Poiché alcune di queste, come l’artrite, colpiscono con maggiore frequenza le donne e sono caratterizzate da insorgenza in età fertile, la sicurezza d’uso dei farmaci biologici in gravidanza risulta una problematica di interesse rilevante. Infatti tali farmaci, seppur con una certa variabilità, sono in grado di attraversare la placenta e, pertanto, possono potenzialmente avere effetti sul feto e sul suo sviluppo [1]. Le evidenze in tale ambito risultano scarse; i pochi dati disponibili, infatti, provengono da studi caratterizzati da un’esigua numerosità campionaria e dalla scelta di gruppi di controllo talora non adeguati. L’uso dei farmaci biologici in gravidanza e allattamento viene, quindi, sconsigliato quasi sempre per mancanza di informazioni, piuttosto che per un rischio effettivamente verificato. Difatti si raccomanda la sospensione temporanea delle terapie con farmaci biologici prima del concepimento, per un periodo di tempo variabile a seconda del farmaco, e per l’intera fase gestazionale [2].

I meccanismi patologici coinvolti nelle patologie autoimmuni, quali artrite reumatoide, spondilite anchilosante, artrite psoriasica, psoriasi e malattie infiammatorie intestinali, sono sostenuti principalmente da disfunzioni o alterazioni relative all’attività di citochine e chemochine, mediatori chiave del sistema immunitario. In particolare, una citochina-chiave coinvolta nelle risposte immunitarie anomale è il tumor necrosis factor-alfa (TNF-α), capace di modulare l’azione della ciclossigenasi. È ben noto come in gravidanza la ciclossigenasi influenzi, a sua volta, diversi processi, quali l'impianto della blastocisti, la permeabilità e decidualizzazione dell’endometrio (ovvero tutte le modificazioni morfologiche e biochimiche del tessuto stromale endometriale che permettono l'impianto dell'embrione) nonché il travaglio. Alla luce di tali effetti, è stato dimostrato che alti livelli di TNF-alfa e altre citochine si correlano a complicanze della gravidanza, soprattutto parto pretermine, ritardo della crescita fetale e aborti spontanei. Al contempo, le evidenze suggeriscono che un’elevata attività delle patologie autoimmuni al momento del concepimento e durante la gravidanza risulta correlata ad un aumento del rischio di outcomes materni e neonatali avversi.

Lo studio recentemente pubblicato ha valutato il rischio di parto pretermine e di nascita di bambini SGA usando i dati di un registro canadese (Population Data British Columbia), dal quale sono state estrapolate le informazioni relative alle donne in stato di gravidanza, affette da una patologia autoimmune e trattate con farmaci biologici. L’esposizione a tali farmaci è stata definita da almeno una prescrizione per tali farmaci nei 3 mesi prima o durante la gestazione. Inoltre, i dati delle donne esposte prima o durante la gravidanza sono stati incrociati con quelli relativi a donne in gravidanza non esposte, secondo un rapporto 1:5 usando la metodica del high-dimensional propensity scores (HDPS). L’eventuale correlazione tra l’uso dei farmaci biologici e il rischio di parto pretermine o nascita SGA è stata, invece, valutata usando il modello di regressione logistica. Complessivamente l’analisi è stata condotta su 109 donne, andate incontro a gravidanza dal 2002 al 2012 ed esposte a farmaci biologici, quali infliximab (N=58), etanercept (N=48), adalimumab (N=40), certolizumab (N<5), ustekinumab (N<5), rituximab (N<5), golimumab (N<5) e alefacept (N<5). Da una prima analisi dei dati, non corretta per fattori confondenti, è emerso un aumento statisticamente significativo del rischio di parto pre-termine pari al 64% nelle donne esposte rispetto al gruppo di controllo (OR= 1,64; IC95%= 1,02-2,63), mentre per il rischio di nascita SGA è emerso un OR=1,34 (IC95%= 0,72-2,51). In seguito al matching dei dati per HDPS con i dati relativi a 600 gravidanze non esposte ai farmaci biologici, non è emerso alcun aumento significativo dei rischi di parto pre-termine e di nascita SGA (nascite pre-termine, OR=1,13; IC95%= 0,67-1,90; nascite sottopeso, OR=0,91; IC95%= 0,46-1,78). Pertanto, secondo i risultati di tale studio non risulta alcuna correlazione tra l’utilizzo pre- e durante la gravidanza ed un aumento del rischio di parto pre-termine o nascita SGA [3]. Sono, tuttavia, necessari ulteriori dati provenienti da studi clinici ad hoc che possano validare e supportare la sicurezza dei farmaci biologici in gravidanza.

Bibliografia:

[1] May Ching Soh, Lucy MacKillop. Biologics in pregnancy – for the obstetrician. The Obstetrician & Gynaecologist.2016;18:25–32.

[2] Kimme L. HyrichSuzanne M. M. Verstappen. Biologic therapies and pregnancy: the story so far. Rheumatology, Volume 53, Issue 8, 1 August 2014, Pages 1377–1385.

[3] Tsao NW, Sayre EC, Hanley G, et al. Risk of preterm delivery and small-for-gestational-age births in women with autoimmune disease using biologics before or during pregnancy: a population-based cohort study [published online March 1, 2018]. Ann Rheum Dis. 

   

  

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