Definizione e classificazione delle ADR

 

Una prima definizione di reazione avversa a farmaci è stata elaborata, circa trenta anni fa, dall'OMS che l’ha definita come "una risposta ad un farmaco che sia nociva e non intenzionale e che avviene a dosi che normalmente sono usate nell'uomo per la profilassi, la diagnosi o la terapia di una malattia o che insorga a seguito di modificazioni dello stato fisiologico" (6). Oggi la nuova normativa in materia di farmacovigilanza ha modificato la definizione di reazione avversa, intesa ora come “Effetto nocivo e non voluto conseguente all’uso di un medicinale”.Con tale definizione, che è indipendente dal tipo di uso del medicinale, tra le reazioni avverse oggetto di segnalazione, figurano anche quelle derivanti da errore terapeutico, abuso, misuso, uso off label, sovradosaggio ed esposizione professionale (7,8). Nel corso degli anni le classificazioni proposte per le reazioni avverse al farmaco (Adverse Drug Reactions - ADR) sono state diverse. In particolare, su proposta di Rawlins e Thompson (9), sono state classificate in: reazioni di tipo A (Augmented), reazioni avverse di tipo B (Bizzarre), reazioni di tipo C (Chronic), reazioni di tipo D (Delayed), reazioni di tipo E (End of use) ed in reazioni di tipo F (Failure) (Tabella 1).

Reazioni di tipo A (Augmented), dose-dipendenti e prevedibili in funzione delle caratteristiche del farmaco. Si tratta di reazioni comuni, prevedibili e quindi evitabili. Di solito note prima dell’immissione in commercio, sono riproducibili con facilità in ambito sperimentale e, sebbene frequenti, raramente mettono in pericolo la vita del paziente. Possono derivare da un aumento dell’azione farmacologica, oppure da un’azione del farmaco che si esplica su sistemi diversi da quello dove si intendeva intervenire; pertanto, sono generalmente gestibili con riduzione della dose o la sospensione del farmaco, dopo aver considerato gli effetti della terapia concomitante.

Reazioni avverse di tipo B (Bizzarre), dose-indipendenti ed imprevedibili. Sono difficili da identificare prima che un farmaco sia immesso in commercio, sono spesso gravi e apparentemente non rappresentano un’estensione dell’azione farmacologica. Sono spesso di natura allergica, immunologica o idiosincrasica; per questo motivo, risultano imprevedibili e danno luogo a reazioni gravi con scarsa correlazione con la dose. In questi casi, oltre alla sospensione immediata del farmaco, si rende necessario evitarne la somministrazione in futuro (10).

Tale classificazione, in reazioni di tipo A e B, non tiene conto del fatto che alcune reazioni dipendono non solo dalla dose, ma anche dal tempo di esposizione (es. osteoporosi da glucocorticoidi), pertanto, è stata modificata ed estesa ad altri tipi di reazioni, indicate come (11-12):

Reazioni di tipo C (Chronic), reazioni croniche, dose e tempo dipendenti. Necessitano di svariati anni per essere messe in evidenza. Tali reazioni sono spesso intrattabili, ma una volta note possono essere prevenute.

Reazioni di tipo D (Delayed), reazioni ad insorgenza tardiva e ritardata rispetto alla terapia farmacologica imputata come causa dell'ADR.

Reazioni di tipo E (End of use), reazioni da sospensione del farmaco; compaiono subito dopo la sospensione di un farmaco e si correggono in genere con la risomministrazione del farmaco, seguita da una sospensione graduale.

Reazioni di tipo F (Failure), da insuccesso terapeutico, spesso legate ad interazione fra farmaci. Un esempio è la concomitante somministrazione di un induttore enzimatico insieme a contraccettivi orali, che può ridurre la loro efficacia

 

TABELLA 1. CLASSIFICAZIONE DELLE ADR DI RAWLINS E THOMPSON.

 

TIPO DI REAZIONE

CARATTERISTICHE

METODOLOGIE PER L’IDENTIFICAZIONE

ESEMPI

TIPO A (Augmented)

 

Dose-dipendente

Nota prima dell’immissione in commercio del farmaco

Prevedibile

Riproducibile sperimentalmente

Comune

Correlata alle caratteristiche farmacologiche del farmaco

Bassa mortalità

Trial clinici (fase III e IV)

Studi di follow up

Studi sperimentali

Monitoraggio di eventi di prescrizione

Rapporti aneddotici e spontanei

Sedazione da antistaminici H1

Ipokalemia da diuretici

Ototossicità da aminoglicosidi

TIPO B

(Bizzarre)

 

Dose-indipendente

Difficile da identificare prima dell’immissione in commercio del farmaco

Imprevedibile

Rara

Non correlata alle caratteristiche farmacologiche del farmaco

Alta mortalità

Segnalazione spontanea

Monitoraggio di eventi di prescrizione

Studio e sorveglianza caso-controllo

Banca dati a morbidità e farmaco-utilizzazione e record linkage

Shock anafilattico da penicilline

Idiosincrasie

Ipertermia maligna da anestetici

TIPO C

(Chronic)

 

Dose e tempo

dipendente

Dose e tempo dipendenti

Rara

Associata a fenomeni di accumulo del farmaco

Grave e persistente

Studi caso controllo

Studi di follow-up

Banca dati a morbidità e farmaco-utilizzazione e record linkage

Monitoraggio di eventi di prescrizione per lungo periodo.

Inibizione asse ipotalamo-ipofisi-surrene da cortisonici

Sordità da aminoglicosidi

aumentata incidenza di tumori al seno indotta da contraccettivi orali

TIPO D

(Delayed)

 

Tempo-dipendente

Rara

Normalmente dose-dipendente

Si manifesta a distanza di tempo dalla sospensione del farmaco

Studi caso controllo

Studi di follow-up

Banca dati a morbidità e farmaco-utilizzazione e record linkage

Teratogenesi (talidomide, farmaci antitumorali)

Carcinogenesi (estrogeni)

Discinesia tardiva (da neurolettici)

TIPO E

(End of use)

Sospensione

Rara

Si manifesta subito dopo la sospensione del farmaco

Studi caso controllo

Studi di follow-up

Banca dati a morbidità e farmaco-utilizzazione e record linkage

Astinenza da oppiacei

Ischemia cardiaca da sospensione di b-bloccanti

Ipertensione da sospensione di clonidina

insonnia da sospensione di benzodiazepine

TIPO F

(Failure)

Fallimento della terapia

Comune

Dose-dipendente

Spesso correlata ad un’interazione tra farmaci

 

Antiepilettici

Anticoncezionali

b2 stimolanti

 

Il decorso temporale da solo non permette, tuttavia, di avere una classificazione soddisfacente delle ADR, poiché non tiene conto delle informazioni importanti relative alla suscettibilità individuale. Pertanto, Aronson e Ferner (13) hanno proposto un’ulteriore classificazione, descritta come tridimensionale ed indicata con la sigla DoTS, che prende in considerazione per ogni ADR:

 

  1. dose-dipendenza (Do);
  2. tempo di insorgenza della reazione (T);
  3. suscettibilità del paziente (S).

 

 

 a.         Dose-dipendenza

Sebbene le ADR su base immunologica, così come altre ADR, non vengano considerate dose-dipendenti, sono chiaramente dose-dipendenti le seguenti reazioni immunologiche:

 

  • la febbre da fieno in risposta ad un’alta concentrazione di polline (14);
  • la risposta immunogenica al vaccino dell’epatite B (15);
  • la desensibilizzazione da aumento della dose (es. nel caso delle cefalosporine) (15);
  • le reazioni cutanee di ipersensibilità di tipo IV (16).

 

E’, dunque, errato suggerire che le ADR di tipo B non siano dose-dipendenti e sarebbe preferibile suddividerle, in base alla dose, in:

 

  1. sovra-terapeutiche (effetti tossici);
  2. terapeutiche standard (effetti collaterali);
  3. sub-terapeutiche in pazienti suscettibili (reazioni di ipersensibilità).

 

Ciò anche in base al fatto che gli effetti (sia benefici che avversi) dei farmaci, proprio perché sono espressione di interazioni tra entità chimiche e quindi soggette alla legge d’azione di massa, sono sempre in qualche modo dose correlati.

 

Gli autori Aronson e Ferner (13) definiscono effetti collaterali le ADR conseguenti a dosi terapeutiche standard; in tale definizione includono sia le ADR dovute ad un effetto farmacologico diverso rispetto all’azione terapeutica, sia le ADR conseguenti all’azione terapeutica ma in un tessuto diverso.

 

  1. Tempo-dipendenza

 

Molti effetti farmacologici dipendono sia dalla concentrazione del principio attivo a livello del sito d’azione sia dal tempo necessario affinché questo raggiunga il sito d’azione.

 

Tale concetto è evidenziabile con i seguenti due esempi:

 

  • una dose di furosemide induce una diuresi maggiore quando somministrata per infusione che quando data in bolo (17);
  • la tossicità da metotrexato è maggiore quando una bassa dose viene somministrata in più volte rispetto a quando la stessa quantità totale è data come singola dose (18).

 

Sulla base di quanto sopra, gli autori distinguono due modelli di relazioni temporali delle ADR:

 

Reazioni tempo-indipendenti

 

Sono ADR che possono insorgere in ogni momento del trattamento, indipendentemente dalla sua durata e si verificano:

 

  1. come effetto farmaceutico, quando la dose e/o la biodisponibilità vengono alterate, come succede se si prescrive lo stesso farmaco, ma con una formulazione farmaceutica differente (es. litio);
  2. come effetto farmacocinetico, quando la concentrazione del farmaco nel sito d’azione viene modificata (es. tossicità da digossina in presenza di deficit della funzionalità renale);
  3. come effetto farmacodinamico, quando la risposta farmacologica è alterata senza una modificazione della concentrazione (es. tossicità da digossina in associazione ad una deplezione di potassio).

 

Quando insorge una tale reazione, la sua dipendenza temporale può essere influenzata dalla cinetica del farmaco.

 

Reazioni tempo-dipendenti

 

Esistono 6 sottotipi di ADR tempo-dipendenti: rapida, da prima dose, precoce, intermedia, tardiva e ritardata.

 

  1. Reazioni rapide: si verificano solo quando un farmaco viene somministrato troppo rapidamente (es. sindrome dell’uomo rosso da vancomicina (19)).
  2. Reazioni da prima dose: si manifestano dopo la prima dose del trattamento e non necessariamente con le successive somministrazioni (es. ipotensione dopo la prima dose di un ACE-inibitore (20); reazioni di ipersensibilità di tipo I (21)).
  3. Reazioni precoci: si verificano all’inizio del trattamento e rappresentano le reazioni verso cui il paziente sviluppa tolleranza (es. cefalea da nitrati).
  4. Reazioni intermedie: si manifestano con un certo ritardo, ma se non si sono verificate dopo un certo tempo esse presentano scarso o nessun rischio di insorgenza tardiva, [es. reazioni di ipersensibilità: a) di tipo II (trombocitopenia da chinina), b) di tipo III (nefrite interstiziale da penicilline), c) di tipo IV (ipersensibilità cutanea agli antistaminici e rash pseudoallegico da ampicillina/ amoxicillina) (13) e reazioni non allergiche (aumento del rischio di neutropenia da carbimazolo e del tromboembolismo venoso da antipsicotici)].

 

Le reazioni intermedie si manifestano in individui con differente suscettibilità: quelli ad alto rischio presentano la reazione e interrompono l’assunzione del farmaco; negli individui a basso rischio, invece, la reazione non si manifesta e vengono considerati superstiti sani. Dunque, dopo un certo tempo la popolazione a rischio sembra ridursi.

 

  1. Reazioni tardive: si verificano raramente o non si verificano affatto all’inizio del trattamento, ma il rischio aumenta con un’esposizione continuata o ripetuta (es. l’osteoporosi da corticosteroidi, la discinesia tardiva da antagonisti dei recettori dopaminergici, la retinopatia da clorochina e la deposizione dei fosfolipidi da amiodarone). Sono reazioni tardive anche quelle che si verificano quando un farmaco viene interrotto o quando la sua dose viene ridotta dopo un trattamento prolungato (es. sindrome da sospensione di oppiacei e benzodiazepine, ipertensione dopo sospensione di clonidina e di α-metil-DOPA, infarto acuto del miocardio dopo sospensione di beta-bloccanti).
  2. Reazioni ritardate: si osservano un certo tempo dopo l’esposizione, persino se il farmaco viene sospeso prima che appaia la reazione [es. carcinogenesi (adenocarcinoma vaginale in donne che sono state esposte a dietilstilbestrolo nell’utero), teratogenesi (focomelia da talidomide)].

 

c.         Suscettibilità
Il rischio di una ADR differisce fra i soggetti di una popolazione esposta. In alcuni casi, il rischio di una ADR si presenterà in soggetti sensibili e sarà assente in altri. In altri casi la sensibilità segue un andamento di distribuzione continua (es. aumento della suscettibilità con un aumento del danno della funzionalità renale).

 

Le cause di alterata sensibilità ai farmaci che causano ADR sono molte e tante sono quelle ancora sconosciute. Queste includono la variabilità genetica, l’età, il sesso, variazioni fisiologiche, fattori esogeni e malattie (Tabella 2).

 

 

TABELLA 2. ESEMPI DI ALTERATA SENSIBILITA' ALLE ADR.

 

 

Causa di sensibilità

Esempi

Conseguenze

Genetica

Porfiria

Importante lo screening

Evitare farmaci specifici

Sensibilità alla succinilcolina

Ipertermia maligna

Polimorfismo dell’isoenzima CYP

Età

Neonati (cloramfenicolo)

Aggiustare le dosi secondo l’età

Anziani (ipnotici )

Sesso

Intossicazione da alcool

Utilizzare dosi differenti nei due sessi

Effetti neuropsichiatrici da meflochina

Tosse da ACE inibitori

Sindrome simil-lupus

Alterazioni fisiologiche

Uso di fenitoina in gravidanza

Evitare o modificare la dose

Fattori esogeni

Interazioni tra farmaci

Evitare la cosomministrazione o modificare la dose

Interazioni con il cibo (es. succo di pompelmo con farmaci metabolizzati dal CYP3A4)

Patologie

Insufficienza renale (es. litio )

Importante lo screening

Evitare farmaci specifici

Utilizzare dosi ridotte

Cirrosi epatica (es. morfina )

 

 

Gli autori Aronson e Ferner(13) riportano alcuni esempi di applicazione della loro classificazione.

 

Osteoporosi da corticosteroidi: l’evento verrebbe classificato come collaterale per la dose (Do), tardivo in base al tempo di comparsa (T) e dipendente dall’età e dal sesso in base alla suscettibilità (S).

 

Epatotossicità da isoniazide: l’evento avverso verrebbe classificato come collaterale per la dose (Do), intermedio per il tempo di comparsa (T) e dipendente da corredo genetico (metabolismo del farmaco), età, sesso, fattori esogeni (alcool), patologie (malnutrizione) (S). Secondo gli autori, il classificare le ADR in questa maniera dovrebbe permettere ai medici di prendere in considerazione le implicazioni per la loro gestione.

 

Una classificazione di questo tipo potrebbe fornire anche informazioni più ampie ed inglobare tutti i requisiti per una classificazione utile delle ADR (Tabella 3).

 

TABELLA 3. ASPETTI SECONDO I QUALI LA SEGNALAZIONE DELLE ADR IN BASE ALLA DOSE, AL TEMPO E ALLA SUSCETTIBILITÀ  SODDISFA I CRITERI DI UNA ACCETTABILE CLASSIFICAZIONE.

 


Criterio

Classificazione

ADR correlata alla dose

ADR correlata al tempo

ADR correlata alla suscettibilità

Permette la classificazione in base alle caratteristiche cliniche

NO
la dipendenza dalla dose non è sempre chiara con l’osservazione clinica e non sempre sono disponibili studi sugli intervalli di dose

SI
il decorso temporale di una ADR può essere osservato direttamente nei singoli individui o nelle popolazioni

TALVOLTA
dipende dal tipo di suscettibilità

Fornisce delucidazioni sul meccanismo d’azione

NO
indica solo il range di dosi alle quali essa si verifica

SI
differenti meccanismi hanno anche differenti decorsi temporali

SI
il meccanismo e la suscettibilità sono spesso correlati

Evita di assegnare ADR a più di una categoria

NO

SI

NO
una ADR può essere associata a molteplici fattori di suscettibilità

Suggerisce come monitorare le ADR

SI

SI

SI

Suggerisce strategie di farmacovigilanza per la popolazione

SI

SI
inoltre rende il paziente consapevole di possibili ADR

SI
può identificare pazienti ad alto e a basso rischio

Contribuisce a fornire decisioni sul trattamento o ad evitare le ADR

Solo alcuni tipi

SI

Solo alcuni tipi

Guida lo sviluppo e la regolamentazione dei farmaci

SI
può contribuire a definire il range di dosaggio terapeutico

SI
suggerisce strategie per il monitoraggio durante lo sviluppo di un farmaco e dopo la sua commercializzazione

SI
definisce sottogruppi ad alto o a basso rischio

 

 

Fattori di rischio nelle ADR

La suscettibilità alle reazioni avverse dipende da diverse variabili, alcune dipendenti dalle caratteristiche del paziente e altre dalle caratteristiche del farmaco (Tabella 4).

 

 

TABELLA 4. FATTORI CHE MODULANO LA SUSCETTIBILITÀ ALLE REAZIONI AVVERSE.

 

 

Fattori correlati al paziente

Fattori correlati al farmaco

Variabilità farmacocinetica

Posologia

Variabilità farmacodinamica

Indice terapeutico

 

Via e modalità di somministrazione

Preparazione farmaceutica

 

I fattori che condizionano la variabilità farmacocinetica e farmacodinamica e, di conseguenza, la suscettibilità alle reazioni avverse sono molteplici; tra questi vi sono i fattori genetici, l'età, la gravidanza, il tipo di dieta, gli stati patologici associati, l’uso di sostanze voluttuarie come il fumo di sigaretta, le interazioni tra farmaci e l'assunzione di cibo.

Relativamente al ruolo dei fattori genetici è nota l’influenza dello stato di acetilatore (lento o rapido) sulla suscettibilità agli effetti avversi da parte di farmaci la cui eliminazione dipende da questo tipo di polimorfismo metabolico; meno conosciute sono, invece, le implicazioni derivanti dai polimorfismi ossidativi, con particolare riferimento a quelli correlati all’attività dei citocromi CYP2D6 e CYP2C19. Nelle popolazioni caucasiche una carenza geneticamente determinata del citocromo CYP2D6 si osserva in circa il 5% dei soggetti, mentre una carenza di citocromo CYP2C19 è molto rara nei caucasici, ma si rileva in oltre il 20% dei soggetti appartenenti ad alcune popolazioni orientali. Questi polimorfismi hanno importanti implicazioni cliniche, poichè i pazienti con carenza dei sistemi enzimatici sopra riportati presentano una capacità fortemente ridotta ad eliminare farmaci metabolizzati da tali enzimi. In pazienti con carenza geneticamente determinata di specifici isoenzimi microsomiali, sarebbe importante modificare la posologia dei farmaci substrati di tali enzimi; la ragione per cui questo approccio non viene seguito sistematicamente è che l’identificazione di un deficit di un isoenzima del sistema P450, con le metodologie attuali, risulta relativamente complesso. È auspicabile, tuttavia, che nel prossimo futuro al momento del ricovero in ospedale, accanto alla determinazione dei parametri routinari di chimica clinica, possano essere eseguiti anche test specifici di genotipizzazione per stabilire se il paziente sia portatore o meno di carenze di importanti sistemi enzimatici deputati al metabolismo dei farmaci.

Allo stato attuale, esistono evidenze relative a diversi farmaci, tra cui alcuni neurolettici, alcuni antidepressivi triciclici e il propafenone, per i quali una carenza di citocromo CYP2D6 comporti un aumento del rischio di effetti avversi dose-dipendenti. Per quanto riguarda le implicazioni della carenza di CYP2C19, è probabile che questa sia alla base del ridotto fabbisogno posologico del mefobarbitale, substrato di questo enzima, nei pazienti orientali. E’ interessante a questo riguardo come una quota significativa di pazienti asiatici presenti una risposta clinica insufficiente al proguanil, un antimalarico, il cui effetto terapeutico è mediato da attivazione a cicloguanil da parte del citocromo CYP2C19.

Oltre al patrimonio genetico, anche l’età svolge un ruolo importante nel modulare la suscettibilità agli effetti avversi. E’ noto, ad esempio, che la ridotta tollerabilità di alcuni farmaci nel paziente anziano può essere imputabile, almeno in parte, ad una diminuita capacità di eliminazione associata alla senescenza, soprattutto nel caso di farmaci escreti per via renale. L’età avanzata può comportare anche una modificazione della sensibilità a livello farmacodinamico: la particolare vulnerabilità dell’anziano agli effetti avversi delle benzodiazepine risulta in parte correlata a modificazioni farmacodinamiche.

Importanti alterazioni della suscettibilità a reazioni avverse possono essere osservate anche nel neonato e nel bambino. Il rallentato metabolismo del cloramfenicolo nel prematuro, ad esempio, è responsabile dell’insorgenza della "grey syndrome", una grave manifestazione di tossicità.

Anche un accelerato metabolismo può facilitare la comparsa di effetti tossici: ad esempio, l’aumento del rischio di necrosi epatica fatale da valproato nei bambini sotto i due anni di età, che assumono trattamenti concomitanti con farmaci inducenti, è probabilmente ascrivibile ad un accelerato metabolismo ossidativo che conduce alla formazione di quantità abnormi di metaboliti intermedi reattivi ad attività epatotossica.

Un ruolo di primaria importanza nella patogenesi di reazioni avverse spetta alle interazioni tra farmaci.

Un’interazione tra farmaci si verifica quando la risposta farmacologica o clinica alla somministrazione contemporanea di due o più farmaci è diversa da quella attesa sulla base degli effetti noti dei due o più farmaci somministrati singolarmente, o più semplicemente quando gli effetti di un farmaco vengono modificati dalla presenza di un altro farmaco.

In generale, l'azione di due o più farmaci somministrati contemporaneamente o in tempi ravvicinati può avvenire in modo indipendente o può portare ad un potenziamento (solo uno dei due farmaci esercita l'effetto, il secondo lo potenzia), ad un effetto sinergico (i due farmaci esercitano lo stesso effetto ma con meccanismi diversi e l'effetto finale è superiore alla somma algebrica delle risposte individuali) o alla diminuzione (effetto antagonista) dell'effetto di uno o più di essi, o provocare una reazione nuova e inaspettata.

L'incidenza delle interazioni clinicamente rilevanti è molto difficile da valutare e i pochi studi disponibili danno risultati spesso contrastanti o difficilmente confrontabili. La maggior parte fa riferimento più che alle interazioni che hanno provocato un problema clinicamente rilevante, a quelle "potenziali" ovvero prevedibili a priori, a partire dalle proprietà farmacologiche dei farmaci implicati, ma che non necessariamente hanno poi determinato un problema clinico per i pazienti esposti ai farmaci in questione.

Affinché si verifichi un’interazione tra farmaci, oltre alla contemporanea somministrazione di due farmaci entrano in gioco altri fattori legati:

- ai singoli farmaci: dosi impiegate, modalità di somministrazione, proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche, intervallo con cui i diversi farmaci vengono somministrati, durata della terapia,

- alle caratteristiche del paziente: età, stato di salute, presenza di polipatologie, assunzione di altre terapie non note o non segnalate dal malato al medico (per esempio assunzione di farmaci da banco, prodotti a base di erbe, etc.), compliance, predisposizione individuale,

- al setting in cui i farmaci sono prescritti (ambulatori, ospedali, case di riposo),

- alla capacità del medico di riconoscere e diagnosticare una interazione tra farmaci.

Gli effetti di una interazione tra farmaci possono comportare da un lato la perdita di efficacia di uno dei due farmaci, dall’altro la comparsa di eventi avversi, talora anche gravi.

Entrambi gli effetti possono avere implicazioni dirette sulla salute del paziente sia nel caso di mancanza di effetto terapeutico di un farmaco (si pensi per esempio al rischio a cui si espone un cardiopatico o un iperteso se in seguito ad una interazione vengono meno gli effetti della terapia in atto, oppure alla mancata risposta terapeutica ad alcuni antibiotici la cui azione viene inibita o ridotta dall’interazione per esempio con un antiacido, o con il ferro), sia nel caso di potenziamento dell’effetto di un farmaco con aumento del rischio di effetti avversi (si pensi al rischio di emorragie indotte dalla contemporanea assunzione di un anticoagulante orale e di un antinfiammatorio non steroideo, oppure al rischio di gravi aritmie cardiache in seguito all’assunzione di un antistaminico - astemizolo, terfenadina - contemporaneamente all’assunzione di un calcioantagonista o di un antimicotico).

Il rischio di interazioni tra farmaci è direttamente proporzionale al numero di farmaci assunti e le interazioni più frequenti riguardano in particolare i farmaci il cui uso è più comune (per esempio i farmaci per le malattie cardiovascolari o per i disturbi dell’apparato muscolo scheletrico o per disturbi neuro-psichici quali depressione, ansia e insonnia), o quelli che vengono assunti cronicamente (per esempio contraccettivi orali, anticoagulanti, alcuni antinfiammatori e antidolorifici, antidepressivi, ansiolitici, antipertensivi ed ipocolesterolemizzanti).

 

Il rischio di interazioni aumenta, inoltre, quando vengono utilizzati farmaci che agiscono sullo stesso sito d’azione o sullo stesso distretto anatomico. In questi casi si può provocare un potenziamento o una riduzione dell’effetto di uno dei farmaci o lo sviluppo di reazioni avverse. E’ il caso per esempio di alcuni ansiolitici, il cui effetto sedativo può essere aumentato dalla contemporanea somministrazione di farmaci antistaminici, o dalla combinazione di più farmaci attivi sul sistema nervoso centrale (per esempio benzodiazepine, antipsicotici, antidepressivi).

 

In particolare a maggior rischio di interazioni sono: pazienti con patologie croniche (scompenso cardiaco, depressione, psicosi, epatopatie e nefropatie croniche, osteoartrosi) che necessitano di pluriterapie prolungate nel tempo, pazienti con insufficienza epatica o renale; donne in terapia con contraccettivi orali e uso concomitante di altri farmaci (in particolare antibiotici, antimicotici, antivirali, lassativi) possono andare incontro al rischio di gravidanze non programmate; anziani in quanto sono generalmente affetti da polipatologie, e quindi in politerapia, e risentono delle modificazioni indotte dall’età sui diversi meccanismi di biotrasformazione dei farmaci.

 

Per quanto riguarda l’importanza di fattori dietetici, le modificazioni della tollerabilità dei farmaci da parte di componenti della dieta sono stati scarsamente studiati, ma possono essere rilevanti. Notevole importanza clinica assumono le interazioni tra farmaci e succo di pompelmo, che è in grado di aumentare in maniera significativa la biodisponibilità di alcuni farmaci, attraverso un meccanismo di inibizione dell’attività degli enzimi epatici del CYP450. Il risultato è, nella maggior parte dei casi, un aumento della concentrazione del farmaco che può quindi comportare un aumento della tossicità con conseguenti effetti avversi anche gravi. In seguito all’osservazione casuale che la somministrazione concomitante di succo di pompelmo era in grado di aumentare i livelli plasmatici di felodipina, è stata condotta un’ampia serie di studi che hanno evidenziato la presenza in questo frutto di sostanze flavonoiche dotate di spiccata attività inibitoria sul citocromo CYP3A4, un isoenzima implicato nel metabolismo di numerosi medicamenti. Come mostrato in tabella 5, sono numerosi gli esempi di farmaci il cui metabolismo di primo passaggio è alterato in misura clinicamente significativa dall’ingestione concomitante di succo di pompelmo, con conseguente rischio di tossicità.

 

 

TABELLA 5. ESEMPI DI FARMACI IL CUI METABOLISMO DI PRIMO PASSAGGIO È RALLENTATO IN MISURA SIGNIFICATIVA DAL SUCCO DI POMPELMO.

 

 

Farmaco

Conseguenza dell’interazione con succo di pompelmo

Ciclosporina

Aumento della biodisponibilità (sino al 162%)

Felodipina

Aumento di quasi tre volte della biodisponibilità

Nisoldipina

Raddoppio della biodisponibiltà

Terfenadina

Aumento spiccato della biodisponibilità e comparsa di modificazioni del Qtc al tracciato ECG

Midazolam

Aumento del 170% della biodisponibilità

 

I potenziali effetti di altri componenti della dieta sui sistemi deputati al metabolismo dei farmaci sono in larga misura sconosciuti; è da segnalare una probabile attivazione del metabolismo di primo passaggio, CYP1A2-mediato, della fenacetina da parte di componenti del succo d’uva (22).

 

 

Altro esempio di interazioni tra farmaco e componente della dieta è rappresentato dalla riduzione dell’efficacia clinica del paracetamolo se assunto contemporaneamente al cavolo, che è in grado di stimolarne il metabolismo.

 

Il cibo può avere effetti sia sulla velocità di assorbimento che sulla quantità di farmaco assorbito. A tutti è noto, ad esempio, che gli antinfiammatori non steroidei devono essere assunti a stomaco pieno per diminuire gli effetti irritanti gastrici. Prodotti caseari (latte, formaggi, yogurt) in quanto ricchi di calcio possono ridurre l’assorbimento di molti antibiotici, per cui è bene assumere questi farmaci con un intervallo di tempo di almeno un ora prima o due ore dopo il consumo di questi alimenti.

 

Inoltre, i soggetti in terapia con farmaci che agiscono sul sistema nervoso centrale (antidepressivi, barbiturici, antipsicotici, benzodiazepine, antiepilettici, analgesici oppioidi) o con farmaci come gli antistaminici, dovrebbero evitare di assumere bevande alcoliche. Infatti, l’alcool può aumentare, anche a piccole dosi, gli effetti di depressione sul sistema nervoso centrale prodotti da questi farmaci, con conseguente sedazione, riduzione della vigilanza e delle capacità attenzionali, riduzione dei riflessi e in alcuni casi torpore fino al coma.

 

Infine, la crescente diffusione di prodotti a base di erbe o di prodotti omeopatici, non può non suscitare l’interesse per eventuali rischi di interazione tra questi prodotti e i farmaci tradizionali.

 

Il caso forse meglio studiato e conosciuto è quello dell’hypericum perforatum (più conosciuto come “iperico” o “Erba di San Giovanni”), utilizzato per il trattamento della depressione di grado lieve o moderato. Da uno studio del 2006 (23) è stato dimostrato che l’iperico può interagire con diversi farmaci alterandone il metabolismo a livello epatico. In particolare sono state descritte interazioni con alcuni antidepressivi (fluoxetina, fluvoxamina, paroxetina, citalopram, trazodone, sertralina e nefazodone), con i triptani (sumatriptan, rizatriptan e zolmitriptan), farmaci impiegati per il trattamento della cefalea e dell’emicrania, provocando un aumento degli effetti serotoninergici (agitazione, tremori, disturbi cognitivi, ipertensione arteriosa), con la warfarina (un anticoagulante orale) riducendone l’efficacia, con i contraccettivi orali riducendone l’effetto e aumentando il rischio di gravidanze non desiderate, con la digossina riducendone gli effetti cardioprotettivi e con alcuni antivirali utilizzati per il trattamento dell’AIDS.

 

 

 

Bibliografia

 

6. Drug Monitoring. The role of the hospital. WHO Technical Report Series 425. World Health Organization, Geneva, Switzerland, 1969.

7. Regolamento UE 1235/2010 entrato in vigore il 2 luglio 2012.   

8. Direttiva n. 2010/84/UE entrata in vigore 21 luglio 2012.

9. Rawlins MD, Thompson JW Pathogenesis of adverse drug reactions. In: Davies DM, ed Textbook of adverse reactions  Oxford: Oxford University Press 1977;10.

10. Rawlins MD Clinical pharmacology: adverse reactions to drugs. Br Med J 1981;282:974-6.

11. Grahame-Smith DG, Aronson JK Adverse drug reaction In: Oxford textbook of clinical pharmacology and drug therapy. Oxford University Press, 1984;132-57.

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